Il consigliere regionale Giovanni Vizziello ha subito evidenziato “la necessità di assicurare ai pazienti oncologici ogni percorso assistenziale appropriato a cominciare dalla prevenzione. Per questo – ha sottolineato – occorre garantire l’estensione dei programmi di sorveglianza e dei test genetici su mutazioni BRCA, breastcancer. Di qui, infatti – ha spiegato – partono la capacità e la possibilità di individuare le persone che presentano una particolare predisposizione a sviluppare alcuni tipi di tumore, in particolare della mammella, ovaio, pancreas e prostata”.
“Due gli obiettivi fondamentali: la prevenzione, dunque, e l’attivazione di un percorso diagnostico. Il tutto con la valorizzazione imprescindibile della medicina del territorio. Allo stato attuale – ha puntualizzato Vizziello – in Basilicata lo screening avviene in service, vale a dire viene demandato ad un laboratorio terzo, fuori regione, per eseguire l’esame. I costi elevati possono essere abbattuti attuando il procedimento in regione, presso gli ospedali di Potenza e Matera, utilizzando l’attrezzatura già presente in loco e la struttura in grado di operare. Basta comprare dei reagenti ed usufruire della professionalità di un tecnico e di un biologo. A questo si aggiunge la creazione di un data base unico, consultabile in maniera univoca”.
“Alcune persone, sono circa 150mila in tutta Italia – ha detto Vizziello – presentano una mutazione di due geni (BRCA 1 e BRCA2) che li espone a sviluppare alcuni tipi di tumore, in particolare mammella ovaio, pancreas e prostata, più frequentemente rispetto alla popolazione generale. La maggior parte di queste persone non sa di essere portatore della mutazione e, quindi, del rischio oncologico correlato, perché i test genetici atti ad individuare questa mutazione non sono ancora abbastanza diffusi, soprattutto tra le persone sane ed in maniera egualitaria sull’intero territorio nazionale.A queste persone noi vogliamo dare la caccia, estendendo lo screening con test genetici alle persone sane che hanno familiari portatori delle mutazioni BRCA, prima che sviluppino un carcinoma della mammella, dell’ovaio o anche del pancreas e della prostata”.
“Questi sono i nemici contro i quali siamo chiamati a combattere – ha proseguito Vizziello – ed è importante individuare tempestivamente le persone che, in virtù di fattori ereditari, presentano una particolare predisposizione allo sviluppo di queste neoplasie.L’identificazione delle mutazioni BRCA è,quindi, uno step fondamentale della ricerca oncologica e un aspetto rilevante della medicina di precisione diretta ad individuare terapie antitumorali personalizzate. Il momento cruciale per l’identificazione delle suddette varianti è quello in cui viene effettuato sulla paziente il test genetico atto ad identificare l’eventuale presenza di una mutazione BRCA, test genetico che si inserisce all’interno del percorso di counseling oncogenetico (CGO), un atto medico multidisciplinare e multistep, essenziale sia per i soggetti affetti da neoplasia sia per i familiari sani e che consente di identificare la sindrome genetica all’interno di una famiglia, di valutare il profilo di rischio, e di proporre programmi di sorveglianza personalizzati ed eventuali strategie di riduzione del rischio neoplastico. Dopo aver individuato una persona che presenta queste mutazioni- ha specificato Vizziello – non la si lascia in balia di se stessa”.
“Ipotesi questa tutt’altro che remota – ha continuato – soprattutto nelle regioni italiane, come la Basilicata, che nonhanno ancora provveduto ad introdurre e a rendere effettivi i PDTA ad Alto Rischio, cioè i protocollio percorsi di diagnosi trattamento e assistenza delle persone ad alto rischio eredo-familiare, giàprevisti dal Piano Nazionale Prevenzione 2014-2018 ed approvati solo da otto regioni (EmiliaRomagna, Lombardia, Liguria, Lazio, Veneto, Campania, Toscana, Piemonte) alle quali, di recente, si è aggiunta la Sicilia.Istituire un PDTA per i test genetici BRCAsignifica – ha spiegato Vizziello – che qualora dal test dovesse emergere una mutazione genetica BRCA, appunto, occorre estendere la ricerca a tutti i membri della famiglia del soggetto positivo, partendo dai familiari di primo grado, ed elaborare uno specifico programma di riduzione del rischio oncologico in favore del soggetto risultato positivo e dei sui familiari.Cioè, in concreto, prevedere strategie di riduzione del rischio, sia di tipo strumentale, sia di tipo chirurgico, che andranno discusse con il paziente all’interno di un percorso di counseling oncologico, saranno il frutto di PDTA e dovranno essere elaborate sulla base di elementi quali l’età, il sesso e l’anamnesi personale e familiare.Per i soggetti sani potranno essere offerte le due opzioni preventive della sorveglianza intensificata (esami e visite annuali e semestrali agli organi a rischio, ecografia mammaria semestrale, mammografia annuale a partire dai 35 anni, risonanza magnetica mammaria annuale a partire dai 25 anni ed ecografia transvaginale ogni 6 mesi a partire dai 30 anni) e della chirurgia profilattica (mastectomia profilattica e annessiectomia profilattica).Occorre, inoltre, garantire l’esenzione del ticket per i suddetti accertamenti diagnostici e la presenza nel PDTA di uno psicologo che possa aiutare la donna nella gestione delle reazioni psicologiche conseguenti all’esito del test genetico.Da tenere presente che la mastectomia bilaterale riduce fino al 95 per cento il rischio di sviluppare una neoplasia mammaria, come la salpingovariectomia riduce il rischio di carcinoma ovarico dell’80 per cento”.
“Queste pratiche – ha detto ancora Vizziello – sono senza dubbio fattori di forte stress che si inseriscono su una componente psichica già messa a dura prova dalla notizia del test genetico (pericolo per la propria salute, senso di colpa per la possibile trasmissione del fattore ereditario ai propri figli) e che determinano ulteriori elementi di fragilità per effetto della compromissione dell’immagine di una donna, della sua identità femminile, della sua vita sessuale, riproduttiva e relazionale”.
All’incontro hanno partecipato, esplicitando la parte tecnica delle tematiche affrontate, Oronzo Scarciolla, dirigente medico presso l’ambulatorio di Genetica Medica del P.O. di Matera e Marina Susi, dirigente medico responsabile UOSD Oncologia del P.O. di Matera.Le conclusioni sono state affidate all’onorevole Marcello Gemmato, responsabile nazionale del Dipartimento Sanità di Fratelli d’Italia e segretario della Commissione Sanità e Affari Sociali della Camera dei Deputati.