Quale futuro per il Sud del nostro paese dopo l’emergenza sanitaria. Il giornalista Michele Rutigliano prova ad indicare la strada: “La Rinascita del Mezzogiorno non è solo una questione di soldi”: Di seguito la nota integrale.
Nel passato, le grandi epidemie non hanno provocato solo morti, disastri e tragedie. Quasi sempre hanno cambiato anche il corso della Storia. E’ successo non solo nel nostro continente, in Europa, ma anche in Asia, in Africa e in America. Egli effetti, diretti e collaterali sono stati pari o addirittura peggiori di quelli provocati dalle guerre. A cominciare da quelle puniche, fino ai due conflitti mondiali scoppiati nel Novecento. La pandemia che sta sconvolgendo il pianeta,per nostra somma fortuna, non ha causato, finora,quei disastri che provocò la seconda guerra mondiale. E meno male! Ricordiamo a noi stessi com’era ridotta l’Italia nel 1945. Ci volle il Piano Marshall a risollevare il nostro Paese. Bastarono quegli aiuti? Sì, ma non per il nostro Mezzogiorno. Il vero Recovery Fund di quegli annisi chiamò Intervento Straordinario. La presenza dello Stato si fece sentire con l’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, che negli anni 50 e 60 non fu affatto un carrozzone. Fu invece un potentissimo strumento di politica economica, concepito da grandi uomini politici, economisti e imprenditori del calibro diAlcide De Gasperi, Pasquale Saraceno, Enrico Mattei, Adriano Olivetti. Nella sola Basilicata, furono avviate opere infrastrutturali e impianti produttivi che avrebbero segnato il destino della Regione, da sempre fanalino di coda nelle statistiche del nostro Paese. In quegli anni, furono costruite le grandi arterie di fondo valle, la Basentana, La Sinnica, la Val d’Agri e la Bradanica. Nella sola Valbasento e nell’area industriale di Tito, la Pozzi Ginori e l’ Anic dettero lavoro a più di settemila persone. Furono costruite dighe, scuole, ospedali, opere di civilizzazione nelle campagne, strade interpoderali. Furono avviate bonifiche, costruiti oleodotti, acquedotti e metanodotti. Solo allora, dopo secoli di immobilismo, incominciò a funzionare il cosiddetto ascensore sociale. Un sistema che permetteva ai contadini di mandare a scuola i figli più bravi. E di vederli tornare a casa, dopo gli studi universitari,come medici, ingegneri, avvocati, professori, architetti. Ecco la visione di allora. Un progetto di radicale trasformazione economica, sociale e culturale realizzato, in soli vent’anni, da quelle menti che, con espressione molto sintetica, possiamo ben definire la classe dirigente della ricostruzione italiana. Per risollevare il Sud d’Italia fu dispiegata una potenza di fuoco finanziaria mai vista nella storia. E, paradossalmente, furono raggiunti grandi traguardi e ambiziosi obiettivi senza che fossero ancora costituite Le Regioni. E di chi fu il merito? Fu soprattutto dell’Intervento straordinario che si avvalse di grandi professionalità allora molto presenti nella Cassa per il Mezzogiorno.Un Ente dello Stato che nacque nel 1950 e che poteva essere paragonato alla americanaTennessy Valley Autority, per l’eccellenza dei suoi manager, per l’efficienza della sua spesa e per l’alto profilo dei suoi dirigenti. Eccellenti Manager, diremmo oggi, che si chiamavano Pasquale Saraceno, Donato Menichella, Francesco Giordani , Rodolfo Morandi, Nino Novacco, Gabriele Pescatore. Nel decennio 1951 -1962 furono stanziati e spesi, per il Mezzogiorno, ben 1.280 miliardi di lire. E i risultati si videro tutti. Purtroppo, con l’avvento delle Regioni nel 1970, l’intervento straordinario subì una forte politicizzazione degli apparati. Che, a sua volta, provocò inefficienza, degrado ebassa qualità della spesa, cui si aggiunsero fenomeni di clientelismo e illegalità. Il resto è storia recente e sappiamo tutti com’è andata a finire. Con le politiche di coesione che hanno fallito il loro obiettivo, se è vero, come ci racconta la Svimez nel suo ultimo rapporto annuale, che il divario Nord-Sud è aumentato eche il reddito medio pro-capite delle Regioni meridionali è la metà di quelle del Centro Nord. E così siamo arrivati ai nostri giorni, con questa pandemia che ha mandato a ramengo, con una sola mossa, tutti i paradigmi del meridionalismo tradizionale e ha scombussolato l’ultimo grande progetto per il Sud. Un Piano che il povero Ministro Provenzano, con l’entusiasmo e la competenza che tutti gli riconoscono, aveva illustrato, solo pochi mesi,a Lamezia Terme, in Calabria. A questo punto, se lo Stato Italiano è in ginocchio, il Mezzogiorno, mi si passi l’espressione, è ai piedi di Cristo. Il virus ha fatto tantissimi danni, peròha prodotto anche qualche effetto collaterale, del tutto inatteso. Un esempio? Ha mandato gambe all’aria la politica dell’Austerity. Ha reso carta straccia il Patto di stabilità. Ha messo in campo un Piano di Rinascita Europea (Il Recovery Fund) da 750 miliardi di euro, di cui172,7 destinati all’Italia, (81,8 miliardi come aiuti e 90,9 miliardi come prestiti).
In totale, il piano dovrebbe raggiungere i mille miliardi cuisi aggiungeranno altri 1.000 miliardi del normale bilancio Ue 2021-2027. Come si vede, è stata compiuta una vera rivoluzione in seno all’Unione .“Finalmente la Comunità Europea cambia secolo” ha scritto il Professor Alberto Quadrio Curzio, Economista e Presidente emerito dell’Accademia dei Lincei “IL “recovery fund” – ha aggiunto Curzio – è una innovazione davvero importante. E si definisce un circolo virtuoso tipico di un sistema federale, con il braccio di politica economica che emette titoli e il braccio di politica monetaria che li acquista”Per farla breve, si tratta di un evento storico che spazza via per sempre la narrazione di un’Europa che abbandona al suo destino i paesi più fragili. Una Comunità poco sensibile ai temi della solidarietà e della condivisione. Ora, però, noi meridionali dobbiamo farci una domanda. Possiamo semplificare il ragionamento individuando solo nei prestiti, nelle somme a fondo perduto e negli Eurobond, la panacea di tutti i nostri mali? No, signori miei! Se ragioniamo così siamo fuori strada. L’Europa ci aiuterà, ma non ci regalerà nulla. I tedeschi e i francesi che hanno ideato questo gigantesco piano di ricostruzione hanno già messo le mani avanti. Hanno fatto capire che non saranno interventi a pioggia. Che non ci sarà spazio per la finanza allegra. Che non potrà risolversi il tutto in un’allegra sarabanda di sussidi, bonus e controbonus. La Commissione europea ha detto chiaro e tondo che i fondi che saranno erogati dovranno essere condizionati all’avvio di Riforme strutturali e alla crescita del Sistema Paese. Altre scorciatoie, l’Europa non le consentirà. Ecco perché la nuova questione meridionale, a mio parere, non sarà solo una questione di soldi. Per risollevare il Sud e metterlo in riga con le sacrosante richieste europee, ci vorranno poche, imprenscindibili cose. Ci vorrà innanzitutto una visione per il futuro. Proprio come avvenne nella ricostruzione post bellica. Non servirà una nuova Cassa per il Mezzogiorno, perché ci sarà l’Europa a fare da Watch-Dog (cane da guardia), alle allegre brigate dei paesi mediterranei. E soprattutto bisognerà mettere in campo una nuova classe dirigente, come quella che auspicava Ernesto Galli Della Loggia, sul Corriere della sera, nel suo editoriale del 25 maggio scorso. Una classe dirigente preparata, motivata e soprattutto dotata di alto senso dello Stato.Onesta intellettualmente oltre che moralmente. Tutto questo è un’Utopia? Io credo di no. Chi avrebbe scommesso che l’Italia,umiliata e distrutta nel 1943, dopo solo un decennio, sarebbe diventata la sesta potenza industriale del pianeta? In quanti avrebbero fatto una scommessa del genere? Si dice sempre che nei momenti drammatici della nostra Storia, gli Italiani danno il meglio di sé e si riscattano con la loro creatività, con l’orgoglio nazionale, con la solidarietà. E’ del tutto evidente che non basterà il sostegno dell’Europa ad affrontare questa drammatica emergenza, soprattutto nel Mezzogiorno. Ci vorrà ben altro. Ci vorrà innanzitutto il protagonismo dei suoi uomini migliori, delle tante intelligenze e professionalità che non al Sud non sono mai mancate. Il grande Indro Montanelli, quando si parlava della Questione Meridionale, citava sempre un episodio che lo vide protagonista, nei primissimi anni della sua professione
«Era il 1930 – racconta Montanelli -e io, appassionato di problemi meridionalistici, ne scrivevo su un piccolo quindicinale fiorentino, L’Universale. Un giorno ricevetti questo biglietto: Caro signore, seguo con molto interesse i suoi articoli. Purtroppo non sono d’accordo con le conclusioni e se viene a trovarmi glie ne spiegherò il perché. Firmato: Giustino Fortunato. L’indomani bussai alla porta di don Giustino. Mi condusse nella libreria dove parlammo per quasi due ore. Secondo lui la questione del Meridione non esisteva. Esisteva solo quella dei meridionali. Siccome mi ribellavo a questa definizione che sembrava razzista rispose che la razza non c’entra e mi condusse in un’altra biblioteca foderata di libri. Non sono miei, sono di mia sorella che essendo molto pia ha raccolto le opere dei mistici italiani. Ne ha vista qualcuna d’un mistico meridionale?No. La questione meridionale è tutta qui. Noi meridionali non crediamo in Dio, chi non crede in Dio non crede nel domani, non pianta alberi, li lascia distruggere dalle sue capre allo stadio di virgulti. Vada a vedere i nostri calanchi, ammassi di argilla senza vita e se ne accorgerà».
Giustino Fortunato fu un grande meridionalista. Ma era anche un grande pessimista. Ed è molto difficile vedere un pessimista combattere in prima fila contro le avversità della vita e della Storia. Però, sul fatto che la questione meridionale dovesse essere affrontata innanzitutto dai meridionali,la Storia gli ha dato ragione. E ancora una volta, com’è successo nel passato, ci vorrà fiducia, ottimismo, visione del futuro. Ancora una volta saranno i suoi figli migliori a far fronte a questa tragedia. Non con i piagnistei o con le stupide imprecazioni, ma con intelligenza, dignità e tantissimo coraggio.