Reddito di libertà, Meritocrazia Italia: “Servono misure preventive e di inclusione, non palliativi”. Di seguito la nota integrale.
Da inizio anno, in Italia, si contano 96 donne uccise, delle quali 82 in ambito familiare.
Episodi noti ai quali si aggiunge il sommerso di un disagio mai denunciato, fatto di maltrattamenti, minacce, illegittime violazioni della libertà e tentati omicidi.
Il fenomeno, già preoccupante, sembra essersi acuito in ragione delle restrizioni alla mobilità imposte dalla recente emergenza pandemica. Nell’ultimo periodo si registra un incremento di circa l’80% delle chiamate al numero di emergenza e ai centri anti violenza.
Non c’è dubbio che il problema sia anzitutto culturale. La Società sembra ancora fortemente intrisa di retaggi culturali ormai anacronistici. Sullo sfondo un panorama desolante di deriva valoriale.
La soluzione è di certo in una sollecitazione delle coscienze, mediante un’opera adeguata di sensibilizzazione, informazione e rieducazione, in una sinergia d’azione tra gruppi politici, servizi sociali, forze dell’ordine, magistratura, sistema sanitario e scolastico.
Meritocrazia Italia accoglie con favore la recente iniziativa di introdurre un c.d. ‘reddito di libertà’, a tutela delle donne vittime di violenza seguite dai centri antiviolenza riconosciuti dalle Regioni (ai quali spetta il compito di rilasciare una dichiarazione sulla reale condizione di necessità in cui verte la richiedente), pur reputandola misura utile, ma in sé non sufficiente e comunque rivolta soltanto a chi ha il coraggio o la possibilità di denunciare e affidarsi a tutele riconosciute.
A fronte della dimensione del problema, non servono palliativi ma serie misure di supporto, anche in prevenzione, una adeguata riforma normativa e una nuova politica integrata di visione.
A tal fine Meritocrazia Italia sollecita:
– un impegno costante e crescente del sistema scolastico che, insieme al nucleo familiare, favorisca l’educazione al rispetto e la valorizzazione delle diversità;
– una crescita qualitativa e quantitativa, con maggiore capillarità, dei centri anti violenza sui territori, per una risposta più immediata e tempestiva, con opportuna redistribuzione delle risorse economiche dedicate, a sostegno non solo della vittima ma dell’intera famiglia partecipe degli eventi;
– una maggiore attenzione alle politiche attive di inclusione lavorativa femminile, affinché si creino condizioni di indipendenza e autonomia, che aiutino la consapevolezza della propria libertà (l’autonomia economica, congrua e duratura, è lo strumento fondamentale ed imprescindibile per ridefinire qualsiasi percorso di vita);
– un sistema di welfare capace di fare rete intorno alle donne, favorendo scelte congeniali a una maggiore indipendenza di vita, non per il tramite di sussidi sporadici, ma con strutture di supporto della maternità;
– l’implementazione di case di comunità per gli uomini accusati di violenze fisiche e/o psicologiche conclamate, che si occupino di costruire percorsi di recupero psicologico;
– l’istituzione di percorsi formativi specifici, fin dal periodo universitario, per creare figure specializzate sia nel mondo giuridico che nelle forze dell’ordine, per poter accogliere con competenza le donne che, recuperando fiducia nelle istituzioni, trovano il coraggio di denunciare la violenza subita;
– calmierare i costi di eventuali perizie medico scientifiche di parte al fine di non gravare con anticipazione di spesa sulle donne oggetto di violenza.