Via libera della Corte costituzionale a cinque dei sei referendum abrogativi sulla giustizia. Gli italiani potranno votare per cancellare la legge Severino sulla incandidabilità e decadenza di parlamentari e uomini di governo condannati a 2 anni, sulla separazione delle carriere dei magistrati, sulla stretta alla custodia cautelare, sul via libera alle candidature per il Csm senza bisogno di un numero di firme tra 25 e 50 e sul voto degli avvocati nei consigli giudiziari sulle valutazione dei magistrati. Sono cinque dei 6 referendum proposti dalla Lega e dal partito Radicale, ma presentati da otto Regioni governate dal centrodestra. La Consulta ha giudicato inammissibile, invece, il quesito sulla responsabilità civile diretta dei magistrati e quello sulla cannabis, una bocciatura che arriva il giorno dopo il no al referendum sull’eutanasia.
A spiegare le decisioni della Corte Costituzionale è stato il suo neo presidente Giuliano Amato che è tornato proprio sul tema del fine vita: “Leggere o sentire – ha sottolineato – che chi ha preso ieri la decisione sull’eutanasia non sa cosa sia la sofferenza mi ha ferito. La parola ‘eutanasia’ ha portato a tutto questo. Il referendum era sull’omicidio del consenziente, che sarebbe stato lecito in casi ben più numerosi e diversi dall’eutanasia”. L’altro referendum delicato, quello sulla cannabis, è stato bocciato perché – ha proseguito Amato – “non era sulla cannabis, ma sulle sostanze stupefacenti. Si faceva riferimento a sostanze che includono papavero, coca, le cosiddette droghe pesanti. E questo era sufficiente a farci violare obblighi internazionali”. E prosegue: “Il quesito era articolato in 3 sotto quesiti. Il primo relativo all’articolo 73 comma 1 della legge sulla droga prevede che scompare tra le attività penalmente punite la coltivazione delle sostanze stupefacenti di cui alle tabelle 1 e 3, ma la cannabis è alla tabella 2, quelle includono il papavero, la coca, le cosiddette droghe pesanti – già questo è sufficiente per farci violare obblighi internazionali plurimi che abbiamo e che sono un limite indiscutibile dei referendum. E ci portano a constatare l’inidoneità dello scopo perseguito”, conclude.
Intanto, dai partiti, è di Matteo Salvini la prima reazione, entusiasta, alla decisione della Consulta: “Primi quattro referendum sulla giustizia dichiarati ammissibili e presto sottoposti a voto popolare: vittoria!”, ha scritto su Twitter il leader della Lega.
Fratelli d’Italia ha fatto sapere che appoggerà solo due dei quattro quesiti: quello sulle separazione delle carriere e quello sull’elezione del Csm. “Sono contento che il referendum sia passato, così anche i cittadini potranno esprimere la propria opinione”; commenta il presidente dell’Anci, Antonio Decaro. “I referendum sono sempre una prova e un esercizio di democrazia da parte dei cittadini – prosegue – Sulla legge Severino noi sindaci abbiamo chiesto da sempre una modifica perché ci ritroviamo, unica figura istituzionale, ad essere sospesi per 18 mesi senza una condanna definitiva”.
Adesso all’appello mancano ancora due referendum sulla giustizia, la responsabilità civile dei giudici e gli avvocati con diritto di voto nei consigli giudiziari. Nonché il quesito sulla cannabis che sarà trattato per ultimo. Alle 18 il presidente della Consulta, Giuliano Amato, terrà una conferenza stampa.
I SETTE QUESITI
La cannabis in giardino
Il quesito prevede la depenalizzazione della coltivazione della cannabis, ma solo a patto che la sostanza non sia destinata allo spaccio. Promosso dall’Associazione Coscioni, dai Radicali e da Meglio legale, il quesito cancella il reato di coltivazione della cannabis, di conseguenza sopprime le pene detentive, da due a sei anni, ed elimina anche il ritiro della patente, ma ovviamente solo per chi coltiva le pianticelle. Se la Corte dovesse accettare i tre punti la conseguenza sarebbe quella che non ci saranno pene per chi coltiva la cannabis, mentre tutti gli spacciatori saranno sempre perseguibili.
GIUSTIZIA
La separazione delle carriere
Più che di separazione delle carriere dei magistrati sarebbe corretto parlare di una separazione delle funzioni, quella di giudice e quella di pubblico ministero. L’obiettivo del quesito è cancellare del tutto la possibilità di passare da una funzione all’altra nel corso di una carriera. Oggi questo è possibile per quattro volte, ma già con la riforma Cartabia i passaggi diventano solamente due. E il centrodestra chiede di ridurli a uno soltanto. Ridurli del tutto è impossibile perché la Costituzione parla di un solo ordine, tant’è che alla Camera è in discussione da tempo la proposta di legge di iniziativa popolare delle Camere penali sulla separazione delle carriere.
Dacia Maraini sul no della Consulta all’eutanasia: “L’esistenza appartiene a ognuno di noi e il suicidio è un diritto”
di Caterina Pasolini
15 Febbraio 2022
La responsabilità civile dei giudici
Nel 1987, dopo il caso Tortora, i Radicali di Pannella, Partito socialista e Partito liberale lanciarono e vinsero il referendum sulla responsabilità civile delle toghe, che passò addirittura con l’80,21% di sì. Ma la legge che poi passò l’anno dopo, firmata dal Guardasigilli Giuliano Vassalli, notissimo giurista autore del codice penale del 1988, fu subito contestata dai Radicali proprio perché non prevedeva una responsabilità “diretta” dei giudici, ma frapponeva lo scudo dello Stato, il quale poi si rivaleva economicamente sul magistrato. La legge del 2015, firmata dal ministro della Giustizia Andrea Orlando, conferma il “filtro” dello Stato. Ed è proprio questo “filtro” che il nuovo referendum vuole eliminare, riproponendo la responsabilità diretta del magistrato che deve pagare di tasca sua l’eventuale condanna per l’errore giudiziario commesso. Una soluzione da sempre bocciata da tutta la magistratura.
Via la custodia cautelare
In controtendenza con la linea leghista del “tutti in galera”, sulla custodia cautelare prevale invece l’imprinting estremamente garantista dei Radicali. Fermi sostenitori del principio che nessuno è colpevole fino alla sentenza definitiva. Tant’è che il quesito interviene sui presupposti della carcerazione preventiva, stabiliti dall’articolo 274 del Codice di procedura penale. L’articolo fissa tre paletti che consentono al pm, dopo la conferma del gip, di tenere in carcere il presunto autore di un reato. Innanzitutto il pericolo di fuga dell’arrestato, poi la possibilità che possa inquinare le prove restando libero. E ancora che possa commettere di nuovo lo stesso reato. Dei tre presupposti, se il referendum dovesse passare, resterebbe solamente il pericolo di fuga. La custodia cautelare non potrà essere confermata per i reati puniti nel massimo con 5 anni e – come precisa il quesito – neppure per il finanziamento pubblico dei partiti.
Abrogazione della legge Severino
Con un tratto di penna, Lega e Radicali vogliono cancellare buona parte della legge Severino, in realtà un decreto legislativo operativo dal 31 dicembre 2012. Sotto il governo Monti, nella legge anticorruzione firmata dalla Guardasigilli Paola Severino e dal ministro per la Funzione pubblica Filippo Patroni Griffi (oggi giudice costituzionale), fu approvato il decreto sull’incandidabilità e decadenza per chi ha una condanna che supera i due anni. La regola vale per candidature al Parlamento italiano ed europeo e per i ruoli di governo. Nonché, ma solo per un range di reati, per gli amministratori locali che però vengono sospesi dalla carica anche dopo la sentenza di primo grado. Una norma, quest’ultima, da sempre contestata. La Consulta però, in due sentenze firmate dall’attuale vice presidente Daria de Pretis, ha confermato la piena costituzionalità della legge.
Le pagelle ai magistrati
Se viene approvata la legge sul Csm appena proposta dalla Guardasigilli Cartabia, il quesito sul diritto di voto degli avvocati nei Consigli giudiziari diventa di fatto inutile. Proprio perché – superando una lunga querelle sul cosiddetto “diritto di tribuna” – gli avvocati hanno acquisito la possibilità di esprimersi anche sulle “pagelle” dei giudici. Il Consiglio giudiziario, in ogni Corte di Appello, elabora i giudizi sulla carriera di una toga. Giunte al Csm, le pagelle diventano la base per una promozione o per una bocciatura. La principale critica è che, il più delle volte, i profili sono troppo “buonisti”. E soprattutto gli avvocati, pur presenti, non possono votare. A legge sul Csm approvata potranno farlo, ma non a titolo personale, ma dopo un deliberato del Consiglio dell’ordine degli avvocati, quindi spersonalizzando il voto, che se individuale, potrebbe risentire di un caso che li ha visti contrapposti al pm o al giudice.
Niente firme per il Csm
Come strumento per sbaragliare le correnti della magistratura, ecco il quesito che chiede di cancellare l’obbligo – previsto dalla legge sul Csm del 1958 – per chi decide di candidarsi al Csm, di essere sostenuto da un elenco di “presentatori”, che possono andare da un minimo di 25 a un massimo di 50. Convalidati appunto da altrettante firme. Ma proprio il numero dei sostenitori, chiaramente assai limitato in vista di un’elezione rispetto a un corpo elettorale che ormai si avvicina alle 10mila toghe, dimostra che non si annida sicuramente qui il peso “oscuro” delle correnti. Ma semmai in un’attività dietro le quinte, e su strumenti come le mailing list e le chat. Se l’obiettivo è quello di favorire candidature del tutto libere, certo non potranno essere così poche firme a cambiare il destino di un candidato, né tantomeno a indicare un’appartenenza o favorire un concorrente piuttosto che un altro.
Le conseguenze dei referendum della giustizia sulla riforma del Csm
Cosa può accadere alla legge sul Csm se la Corte licenzia tutti, o la maggior parte, dei sei referendum? Inevitabile un impatto mediatico con conseguenze politiche, perché in vista del voto – aprile o i primi di maggio – si scatenerà un’imponente propaganda radical-leghista. Proprio mentre la Camera discute la legge sul Csm (in aula a fine marzo). Dei sei referendum ce ne sono due che possono influire. Il quesito sulla separazione delle carriere e quello sulla responsabilità civile dei giudici. Il primo ha un effetto specifico sul testo. Il secondo ne ha uno politico. Perché se, com’è accaduto nel 1987, gli italiani votano in massa sì alla responsabilità diretta delle toghe, questo suona come l’espressa richiesta di una legge molto severa contro i giudici. Quanto alle carriere, nella legge di Cartabia è scritto che una toga non può cambiare casacca più di due volte. Il referendum darebbe grande fiato al centrodestra per ridurre il passaggio a una sola volta. E la saldatura tra Lega, Fi, Azione a FdI, che già emerge con chiarezza sul sorteggio come legge elettorale, trarrebbe grande fiato dalla campagna sui referendum.