Rimborsopoli, deputato Lomuti (M5s): “Giustizia e politica speculari nel fallimento, prescritta mezza politica lucana”. Di seguito la nota integrale.
Quando si parla di prescrizione, il pensiero corre ad alcuni casi in cui imputati “eccellenti” sono riusciti a evitare una sentenza sfavorevole grazie alle manovre dilatorie di avvocati abili e spregiudicati, capaci di sfruttare in modo strumentale alcuni meccanismi del processo penale, contando anche sulle difficoltà organizzative dell’amministrazione della giustizia.
L’istituto non è una caratteristica esclusiva del diritto penale. Essa nasce dal diritto romano come duplicazione della prescrizione del diritto civile. Oggi la ritroviamo nel diritto amministrativo e nel diritto commerciale.
Certo è che è tra i temi più discussi del diritto penale, soprattutto perchè si muove tra due ratio giuridiche che vanno in sensi opposti: da un lato c’è la giustizia materiale che impone di perseguire i reati in ossequio alla certezza del diritto. Dall’altro, non si possono tenere processi all’infinito. Pertanto, il nucleo essenziale della prescrizione è il tempo e da come esso viene misurato nel processo ai fini dei calcoli inerenti il suo inizio e il suo epilogo.
Il tema consegue a un grande male di cui soffre la nostra giustizia: la lentezza dei processi in Italia.
Bisogna essere obiettivi. Se è pur vero che la prescrizione non risponde alle esigenze di giustizia sociale, non possiamo piegare il diritto alla giustizia sostanziale.
È naturale che le parti offese scelgano la strada della giustizia e quando il giudice è posto di fronte alla drammatica scelta tra diritto e giustizia non ha alternativa. È un giudice sottoposto alla legge e quindi tra diritto e giustizia deve scegliere il diritto. La politica no. Per fortuna o per sfortuna non ha nessun obbligo se non il monito dell’etica.
Oggi abbiamo mezza politica lucana prescritta. Non è un buon segno.
Nella passata legislatura, la riforma della prescrizione è stata sotto attacco di tutte le forze politiche a partire dal minuto seguente alla sua approvazione. Un martellamento incessante, continuo, giornaliero, che a detta di molti ha portato alla caduta dei due governi presieduti da Giuseppe Conte. Ciò che è avvenuto dopo è noto a tutti: l’appello del presidente della Repubblica, la nomina di Mario Draghi a capo dell’esecutivo e una maggioranza ampia e composita. Per tutti i partiti il bersaglio non è mai cambiato, è stato sempre la prescrizione e da mesi si sfregavano le mani al pensiero di abbattere quella che ancora oggi è per il MoVimento 5 Stelle una battaglia di civiltà.
L’obiettivo, per noi, è stato sempre lo stesso. Lo Stato deve dare a tutti una risposta di giustizia, i cittadini hanno diritto a un processo in tempi celeri di modo che lo stesso processo non diventi una pena. Lo diciamo da sempre anche se i giornali lo dimenticano puntualmente. Lo sostenevamo ai tempi dell’approvazione della “Spazzacorrotti” e ci siamo adoperati per questo. Nei due governi Conte abbiamo deciso, programmato e ottenuto le risorse per 21.500 assunzioni e questo è un fatto incontrovertibile.
Abbiamo attuato riforme per snellire i procedimenti, per ottimizzare i tempi e azzerare quelli morti. In queste, nero su bianco, si riporta che i processi penali dovevano avere una durata massima: un anno in primo grado, due anni in appello, uno in Cassazione.
Cosa è successo dopo? Di fronte a una proposta iniziale che, di fatto, smantellava tutto quanto fatto in quegli anni, abbiamo combattuto. Con le armi che avevamo, dentro una maggioranza che sul tema la pensa diversamente da noi.
Le prescrizioni della giustizia lucana sono la conseguenza allo smantellamento sistematico della nostra visione di giustizia e soprattutto di legge uguale per tutti.
In pratica, l’esito del processo “rimborsopoli” rischia di trasformare il meccanismo prescrittivo da terapeutico in patogeno, aggravando anzichè curando il male dell’irragionevole durata del processo penale.
Con il Ministro Nordio giustizia ed etica, legalità e trasparenza non sono più punti prioritari.
Eppure sono i temi che poi si traducono nella lotta alle mafie, alla corruzione e all’evasione fiscale.
Temi posti al centro del dibattito nella realizzazione del PNRR.
Il Guardasigilli della XIX legislatura ha dato un importante impulso per la creazione di un doppio binario del sistema penale: uno minimo per i ceti privilegiati e uno massimo per tutti gli altri.
Con le sue riforme ha riabilitato tutti i 3600 condannati per abuso dal 1996 al 2020, ha ampliato gli spazi di azione e di impunità per tanti faccendieri, mentre è iniziata la grande corsa all’oro dei miliardi del PNRR.
Insomma, nonostante per decenni siamo stati esportatori di giurisprudenza nel mondo, il processo rimborsopoli ci dice che la nostra giustizia non gode affatto di buona salute.
C’è un male che non uccide con il sangue, ma con il silenzio. Un male che non si combatte nelle piazze, ma nelle aule dei tribunali e nelle segrete dei palazzi.
È il male di una giustizia che a volte si trasforma in rituale vuoto, di una politica che eleva l’impunità a virtù, di cittadini condannati a vivere nel dubbio eterno.