Mentre Bersani prova a formare un nuovo governo, probabilmente di scopo per risollevare le sorti di un Paese in difficoltà, il materano Saverio Paolicelli, componente di Città Plurale Matera ha inviato alla redazione di SassiLive un documento che ripercorre le tappe salienti che hanno caratterizzato i governi italiani a partire dal giorno in cui il Paese si è liberato dei barbari.
Governarsi in democrazia
«Italia sanza capo, sanza ordine, battuta, spogliata, lacera, corsa» .. «tutta pronta e disposta a seguire una bandiera, pur che ci sia uno che la pigli» .. «acciocché vegga apparir uno suo redentore». E’ Machiavelli che parla ne “Il Principe”, esortando uno dei de’ Medici a liberare l’Italia dai Barbari. I de’ Medici non raccolsero l’esortazione e ci vollero tre secoli per cacciar via gli stranieri dal patrio suolo.
Il primo che al grido di “ordine e disciplina” conquistò l’Italia fu Benito Mussolini. L’onta della vittoria mutilata rimediata alla Conferenza di Parigi e la crisi economica post bellica riempì le piazze d’italiani, che seguirono la voce del Duce dalle soglie di un autarchico impero fin nel baratro del 2° conflitto mondiale. Se è vero che non basta la retorica populista a giustificare una dittatura totalitaria è pur vero che questa fu l’arma con cui l’uomo forte impose il suo mito sulla fame, la frustrazione e l’ignoranza.
Agli inizi degli anni ‘80 Roma si scoprì “ladrona”, rea di prosciugare le tasche dei lombardi per rimpinguare quelle di burocrati ministeriali e scansafatiche meridionali. Bossi arringò il nord promettendo la secessione della Padania e il taglio delle tasse, non dovendosi più dar da mangiare agli sfaccendati “terroni”. Dopo 30 anni le cronache hanno rivelato come siano stati gestiti i finanziamenti pubblici erogati alla Lega Nord – anche dai cittadini del sud – ma nonostante ciò essa è stata premiata col 4% dei suffragi nazionali e col 13% alle regionali della Lombardia, ora affidata alle cure di Maroni.
Relegata la Lega a fenomeno locale, si poteva pensare che 40 anni di Repubblica, il pluralismo dei partiti e il proporzionalismo elettorale avessero scongiurato la conclamata attesa dell’uomo della Provvidenza. Invece no. Dopo il tracollo giudiziario della Prima Repubblica, sorse un’altro a pigliare la machiavellica bandiera poiché capace di entrare nella case di tutti gli italiani . E dopo vent’anni di demagogia televisiva, è bastato annunciare la restituzione dell’IMU per consentire a Berlusconi di conquistare il 22% dei voti (coalizione al 29%), incuranti dei riscontri giudiziari e dell’inaffidabilità politica che i partner europei continuano ad affibbiargli.
Ma non è finita! Al berlusconismo segue oggi l’onda anomala del populismo di Grillo che, dopo aver divertito gli italiani sbeffeggiando, a ragione, i politici nostrani, da qualche anno è passato alla pratica politica, lanciando il Movimento 5 Stelle. L’antipolitica e la rottura col sistema, l’ambientalismo radicale, la democrazia diretta “by internet” sono i suoi temi di battaglia, sostenuti con parole ancora più radicali che a volte rasentano il turpiloquio. Sul suo libro “Siamo in Guerra”, (Chiarelettere 2011) Grillo parla di «guerra feroce e sempre più rapida», finita la quale «il vecchio mondo sparirà», arrivando a preconizzare la «guerra totale» che segnerà la fine dei partiti di ieri, in Italia e ovunque. Non c’è che dire: proprio un bel programma di tolleranza e pluralismo, che gli ha fruttato qualcosa come il 25% dei voti!
E alle parole sono seguiti i fatti: il comico genovese ha vietato agli iscritti di partecipare ai talk show e chi non ha obbedito, è stato cacciato dal Movimento. Sulla stessa linea è il Codice di Comportamento imposto ai medesimi, che potranno essere chiamati a votare per l’espulsione di chi abbia disatteso gravemente le prescrizioni del Codice. Come non chiedersi che fine faccia la libertà dal vincolo di mandato, se vogliamo, discutibile ma pur tuttavia ora sancita dall’art. 67 della Costituzione? Lombardi e Crimi, Capi Gruppo in pectore, si sono affrettati ad indicare come unica soluzione il governo da parte del loro movimento, dando l’ultima pennellata al quadro eccentrico del fenomeno Grillo.
La flemmatica sicumera di Monti ha persuaso il 10% di votanti circa la possibilità che il Paese possa continuare a vivere o a sopravvivere attuando la politica del rigore indicataci dall’Europa: difficile non pensare che la maggior parte dei sostenitori di Lista Civica appartengano a quel 10% di italiani che detiene il 50% della ricchezza nazionale e che vedono il loro reddito non intaccato dall’attuale crisi finanziaria.
“Battuto, spoglio e lacero” ne esce il PD, capace di perdere, rispetto al 2006, 3 milioni e 450 mila voti (8 punti c.ca) alla Camera e 2 milioni 450 mila (6 punti c.ca) al Senato. Tra gli eredi del PCI di mettersi alla testa del partito per parlare al cuore degli italiani non se ne parla nemmeno, sicuri come sono che chi lo facesse le prime pallottole le prenderebbe alle spalle. Per guidare il PD serve il lasciapassare delle “primarie” indispensabile a disarmare il fuoco amico grazie al salvacondotto dei numeri e non già per la forza delle idee, sulle quali clientele e cordate continuano ad aver ragione. Sappiamo alla fine com’è andata: Bersani ha avuto la maggioranza della Camera, ma non quella al Senato, non essendo egli riuscito a convincere gli italiani di saper rinnovare il suo partito, di aprirlo alla società e attirare quei tre milioni e mezzo di giovani, disoccupati e precari che attendono sviluppo e redistribuzione del reddito.
L’effetto più deleterio è arrivato dal peggior sistema elettorale dell’occidente, che ha quasi ammutolito i candidati, consentendo ai capi delle coalizioni di monopolizzare le scene televisive o i palchi delle piazze. Molti dei nuovi parlamentari risultano perciò sconosciuti ai più ed eletti solo per “grazia” ricevuta: il rinnovamento non è positivo se manca il discernimento. Così la nutrita schiera d’italiani, delusi e disorientati dalle continue notizie di “malapolitica”, ha seguito ancora una volta chi ha saputo far svolazzare le bandiere davanti ai suoi occhi, confermando, dopo 500 anni, l’intuizione del Machiavelli riguardo a un popolo che ancora attende chi lo libererà dal peso di imparare come ci si governa in democrazia.
Saverio Paolicelli – Città Plurale