“Molti pensano erroneamente che la riforma costituzionale non rappresenti una soluzione a 360 gradi dei problemi nei quali il nostro Paese versa ormai da decenni – spiega il sottosegretario De Filippo – invece votando sì al referendum gli italiani potranno non solo garantire all’Italia un sistema istituzionale moderno e finalmente in linea con le nazioni più avanzate del mondo, ma anche permettere di sciogliere i nodi che impediscono di sbloccare situazioni delicate come avviene in sanità”.
“Con la modifica del Titolo V, verrebbe meno la cosiddetta legislazione concorrente tra Stato e Regioni. Si potrà ristabilire in questo modo un primato statale nelle decisioni di politica sanitaria, politica sociale e sicurezza alimentare ponendo fine alle derive federaliste che hanno portato in questi anni all’esplosione della spesa e all’acuirsi di quel gap storico tra Nord e Sud del Paese. Non ultimo, troverebbe così soluzione il problema legato al contenzioso tra Stato e Regioni”, prosegue il dirigente dem.
“La sanità uscirà rafforzata sul piano delle garanzie di equità e uniformità dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) sul territorio nazionale. E questo proprio grazie al maggior ruolo che Governo e Parlamento saranno chiamati ad assumere nelle grandi decisioni di indirizzo e politica sanitaria ponendo fine, di fatto, al ‘primato’ delle Regioni che con la riforma del 2001 sono diventate le vere dominus della sanità. Non possiamo ancora tollerare che la garanzia di un diritto costituzionalmente garantito, come quello alla salute, sia così variabile a seconda del luogo di residenza”.
Alcune ragioni a sostegno del sì: a) l’autonomia regionale ha comportato grande variabilità da regione a regione nell’organizzazione e gestione dei servizi erogati, cosicché si dice comunemente che il Servizio Sanitario Nazionale è stato sostituito da 22 diversi Servizi Sanitari Regionali;
b) il finanziamento sanitario assegnato alle regioni è da queste utilizzato in modo insindacabile.
c) in mancanza di standard minimi di quantità, qualità e costo delle prestazioni sanitarie non è possibile vincolare il finanziamento a questi standard né intervenire dal centro con controlli e azioni correttive. Ciò spiega perché continui la migrazione da alcune aree del Paese verso altre per ottenere un accesso più veloce a cure di qualità migliori: una disparità inaccettabile tra cittadini utenti. Oggi si sente la necessità di fare chiarezza. A mio avviso, si deve porre mano al riordino dei poteri di Stato e regioni cominciando ad abolire la legislazione concorrente, ma anche a far sì che la Nazione torni ad essere una e indivisa anche per la sanità e ad eliminare le inique differenze di trattamento riservate ai cittadini di diverse aree del Paese.
Tocca al governo centrale, cui già compete la definizione dei principi generale del sistema sanitario (ad esempio i LEA) identificare e normare gli interessi nazionali e verificare il rispetto delle norme. E’ interesse nazionale, ad esempio, avere un calendario vaccinale unico, avere una rete nazionale di Centri di riferimento per le patologie (quali potrebbero essere gli IRCCS), ma anche definire i modelli di nuove strutture territoriali quali la Casa della Salute, il Presidio Ospedaliero Territoriale.