Le novità introdotte dal contesto normativo europeo, l’evoluzione tecnologica nella propulsione elettrica, delle batterie di ricarica e dei circuiti, le nuove esigenze di mobilità dei cittadini, impongono alle grandi aziende automobilistiche l’avvio immediato di un processo di ulteriore e profonda trasformazione dell’assetto produttivo e della filiera di distribuzione. Di conseguenza è necessaria una politica industriale finora assente nell’azione di Governo, in un contesto di trasformazione, che, invece, se ben supportata, potrebbe rappresentare una opportunità di ritornare a crescere.
Occuparsi di Automotive significa parlare di una parte prioritaria del settore manifatturiero.
In Italia, questo settore coinvolge migliaia di imprese che operano per la produzione di materie prime e macchine utensili, quelle strettamente produttive, quelle che si occupano di imballaggi, trasporto merci, servizi legati agli autoveicoli e quelle dei servizi automotive per un totale di circa 5500 aziende, centinaia di migliaia di addetti e un fatturato di circa 100 miliardi di euro, pari al 5,6% del PIL nazionale, con un contributo al gettito fiscale per oltre 76 miliardi di euro (dati ANFIA 2023).
Tuttavia, la produzione di auto in Italia mostra scenari preoccupanti: da circa 1 milione e mezzo di veicoli prodotti nel 1999, siamo scesi a 473 mila nel 2022.
La crisi si è estesa in tutto il Paese non risparmiando nessuno dei grandi stabilimenti e delle aree industriali presenti sul tutto il territorio nazionale, Melfi, Torino, Pomigliano, Cassino, Termoli, Atessa, sono tutti in chiara sofferenza.
40mila addetti (meno 11.500 unità dal 2015); un costante ricorso agli ammortizzatori sociali (tra Cassa Intergrazione, Contratti di Solidarietà e Uscite Incentivate che hanno portato 3800 unità uscite nel 2024).
La produzione del primo semestre 2024 è precipitata del 30% rispetto all’analogo periodo del 2023, con aumento ovunque del ricorso alla Cassa Integrazione.
Una crisi che non risparmia lo stabilimento di Melfi, il cui forte ridimensionamento, incluso quello del suo indotto, significherebbe per la Basilicata un forte arretramento per declino occupazionale e produttivo al punto che l’area del Vulture Alto Bradano diventerebbe una delle aree più depresse del Paese dal punto di vista economico e sociale con una perdita occupazionale
I 950 milioni di euro di incentivi stanziati nel 2024 non hanno invertito la rotta.
Secondo uno studio di Federcontribuenti, dal 1975 al 2012, FIAT ha ricevuto dallo Stato italiano 220 miliardi di euro per Cassa Integrazione, Sviluppo Industriale, Sussidi, Implementazione degli Stabilimenti. Nel 2020, a FCA sono stati concessi altri 6,3 miliardi di euro di linea di credito con garanzia SACE: il prestito è stato restituito ma senza che i livelli di produzione tornassero come quelli pre-pandemia.
Sul destino degli stabilimenti si rincorrono periodicamente annunci, dichiarazioni e indiscrezioni alle quali però non corrisponde una seria iniziativa di trattativa tra Governo, Azienda e Sindacati. In pratica, alla sofferenza del settore non esistono azioni concrete che rilancino gli stabilimenti.
Per questi motivi il M5S ha depositato una mozione a firma Appendino, Lomuti, Auriemma, affinchè il Governo convochi con la massima urgenza il Presidente e l’Amministratore Delegato di Stellantis per richiamare il gruppo alle sue responsabilità e redigere un accordo quadro sul settore automotive che rilanci un settore in forte crisi e che tuteli l’occupazione.
La mozione M5S, inoltre, vuole rendere permanente il tavolo automotive già costituito presso il Ministero delle imprese e del made in Italy e a spostarlo presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, allo scopo di mantenere costante il dialogo tra le parti sociali, i rappresentanti delle regioni, le associazioni di categoria, le case produttrici e le Istituzioni.
Nella stessa mozione, i parlamentari del M5S chiedono di condizionare i finanziamenti pubblici alla tutela di posti di lavoro stabili e a tempo indeterminato e, solo successivamente, a varare incentivi pluriennali per l’acquisto di autovetture ibride e per riportare il prezzo delle autovetture ad un livello sostenibile per il consumatore.
Tra i punti messi nero su bianco, si evidenzia quello sulla necessità di varare urgentemente nuovi ammortizzatori sociali perché le aziende del settore automotive stanno esaurendo le settimane di Cassa integrazione e per la necessità di integrare il reddito dei lavoratori altrimenti penalizzati.
Dobbiamo esigere che Stellantis porti in Italia la progettazione e la produzione di nuovi modelli mass market al fine di garantire il milione di autoveicoli prodotti, cosa a più riprese promessa.
Non è più possibile arrancare tra annunci e fuori onda ministeriali, quando, invece, un Governo serio dovrebbe esigere un piano di assunzioni per determinare un necessario cambio generazionale e fermare la dinamica delle uscite volontarie che stanno svuotando gli stabilimenti.
Il Governo Meloni, infine, dovrebbe avviare ogni iniziativa al fine di incentivare la presenza nel nostro Paese di almeno un altro costruttore che, nel rispetto delle regole europee e italiane, garantisca un futuro al settore automotive in Italia e che si appoggi alla catena di fornitura presente nel nostro Paese.
Stellantis ha chiuso il 2023 con un utile netto di 18,6 miliardi (in crescita dell’11% rispetto al 2022), e ricavi netti per 189,5 miliardi, annunciando un dividendo di 1,55 euro per azione ordinaria (circa il 16% in più del 2022). EXOR, la holding della famiglia Agnelli-Elkann (che detiene il 14% delle azioni di Stellantis), ha incassato per il 2023 circa 700 milioni di euro di dividendi, contro i 140 milioni del 2020. Tavares nel 2023 ha percepito 23 milioni di euro (pari alla retribuzione di 12mila dipendenti), mentre lavoratrici e lavoratori sono sottoposti a un massiccio utilizzo della cassa integrazione con incertezze sulla tenuta occupazionale e una significativa decurtazione del salario.
In settimana, la mozione sarà messa al voto nell’aula della Camera dei deputati.
Una politica industriale che non contrasta i ritardi ma anzi in qualche modo li incentiva, rischia nei prossimi anni di aggravare situazioni già in sofferenza e di creare veri e propri cataclismi socio-economici.