Basilio Gavazzeni: “Squadra 1 Consorzio di bonifica, Marsc!”. Di seguito la nota integrale.
Da alcuni giorni, poiché le nuvole trattengono il loro carico, si aggirano nell’isolotto di Agna per le sette pinetine un po’ afflitte – che uso definire lebbrose, tanto ha infierito contro di loro l’indifferenza al verde. Stamane, alle sette, si sono ritrovati all’imbocco di Piazza Sant’Agnese, nel punto dove una volta ciangottava una fontanella. Dodici come gli Apostoli, sette donne e cinque uomini, Squadra 1 del Consorzio di Bonifica della Basilicata Forestazione. La fresca asfaltatura ha aperto anche a loro quel varco d’accesso alla Piazza che la gente sospirava da cinquant’anni.
Prima di raccontare l’azione di tali valorosi, con l’improntitudine riconosciutami scantono per qualche rigo. L’asfalto elargito ha tombato i lavori già lumacheggianti. “Panchine, panchine, panchine”, il grido riecheggia nella Piazza. Anzi, visto che la pratica dei femminicidi e dei femmicidi dilaga universalmente, ce ne diano almeno una rossa. Chissà che Babbo Natale, esperto di rosso benefico, esaudisca il desiderio. La gente, poi, prega i responsabili di rimediare al pericolo costituito dalla rozza staccionata che recinge lo spazio allargato ai giochi per l’infanzia a venire. Perché il legname impiegato, sia di castagno o di leccio, ha conosciuto solo l’ascia e la sega, non è tornito. Ruvido com’è, dispenserà quelle scaglie che, quando s’infilano sotto l’epidermide, sono dolorose, difficili da estrarsi e, talora, foriere del tetano. Nel 1960 in questa maniera la morte mi sottrasse un cugino di undici anni.
Ma torniamo a bomba. Parcheggiate le macchine, i dodici prelevano da un furgoncino sacchi capienti di plastica nera, cesoie, rastrelli, forconi, pale, vanghe, pinze, decespugliatori, teli in cui deporre i materiali che raccoglieranno. Fuoriesce anche un telone da alzare e allungare: barriera che riparerà i passanti quando i decespugliatori in funzione schizzeranno ciò che rimuovono a destra e a manca, fino a quindici metri di distanza. Confabulano pochi minuti, concordano con il caposquadra i rispettivi compiti, poi si slanciano nel campo di battaglia, a ventaglio, ognuno con l’attrezzo che impugna.
Dio mio, come lavorano! Provo vergogna, io che, girandomi i pollici pensionatamente, li incalzo curioso della laboriosità altrui. In testa il caposquadra, tal Luana, cinquantenne, figura asciutta, parole conte, determinata. Senza far torto agli operai, che si distinguono per il timido garbo, mi sembra che le operaie siano più motivate alla spedizione. Tutti portano occhiali, visiere, guanti, caschi, comunque berretti protettivi, scarpe antinfortunistiche. Indossano divise con gilet verdi molto appariscenti, dato che, trovandosi spesso a lavorare ai cigli delle strade, bisogna che siano ben visibili. I panni supplementari, che il freddo penetrante gli impone, li disordinano solo un poco.
Nell’aria si spande l’odore dell’erba falciata e del terriccio umido frugato dai rastrelli. L’immondizia vera e propria viene separata dalla produzione del bosco: foglie aghiformi di pini sedimentate, quelle larghe e placide di platani, pigne, lamelle di corteccia, legname, rametti secchi e polloni recisi. Sacchi con apposite etichette si gonfiano dei materiali selezionati. Peccato che, a bruttare il sottobosco, restino le pietre che da decenni predispongono le canagliate dei bulli contro le persone e gli edifici.
A metà mattina, il gruppo si sfama a grandi bocconate. Una bionda anima benefica dei paraggi accorre a recar loro dei croissant all’albicocca provenienti dalla Sicilia. Rifiatano, e già riprendono di buona lena. Hanno fretta: oggi, venerdì, scapoleranno alle due.
Fra le operaie ve n’è una che conosco bene. Ultima di sei figli, tre maschi e tre femmine, era la Cenerentola della famiglia. Ingenua, ma concreta e fattiva. Rubesta: con il braccio destro avrebbe potuto agevolmente levare da terra una sorella e, nello stesso tempo, con quello sinistro l’altra, le “sorelline” maggiori iniziate alle frivolezze di stagione. Adolescente gareggiò nel lancio del peso. Da lei che lavora a testa bassa, attingo a mozziconi alcune notizie sulla compagnia.
Li conduce qui un Progetto del Consorzio Agrario, in soccorso del Comune che non ha assoldato, come altre volte, le Cooperative Sociali. In realtà sono lavoratori cosiddetti ex-mobilità che erano adusi a ben altre manualità in tutt’altre aziende. Il lavoro gli è garantito da giugno a dicembre. Il resto dell’anno fruiscono della disoccupazione. Il mensile è di circa 1.300 euro. Dipende anche dalle giornate buone che il tempo concede.
D’improvviso si danno la voce come sorpresi. Un’anima onesta dei dintorni gli riporta inopinatamente un forcone che hanno dimenticato in un canto il giorno prima. Pensare che si crogiolavano come acquistarlo spartendone il costo. Si rallegrano, come nella parabola del buon pastore che ritrova la pecorella smarrita.
È giusto trascrivere i nomi di questi servitori del territorio. Dodici, Squadra 1 del Consorzio di Bonifica della Basilicata Forestazione. Avanti Luana, al séguito Luciana, Caterina, Maria Bruna, Marisa, Patrizia, Mimma, Rosario, Leonardo, Luigi, Francesco, Giovanni. Sette donne e cinque uomini, cuori semplici che consumano le loro paci e le loro guerre di ogni giorno nell’anonimato più perfetto. Una pacca sulle spalle e un dichiarato apprezzamento, il minimo che tutti gli dobbiamo.
—