Riportiamo la puntuale risposta su Facebook del senatore Saverio De Bonis al consigliere Braia sul comparto vitivinicolo della Basilicata. Di seguito la nota integrale.
Vino, senatore De Bonis (Forza Italia): “Il consigliere Braia non prenda fischi per fiaschi”.
Il comparto vitivinicolo non soffre per l’assenza di un marchio regionale, ma per gli extra costi dei fattori di produzione.
L’industria del vino in Basilicata è un comparto di straordinaria importanza. Nell’arco di un decennio è avvenuta una vera e propria rivoluzione copernicana, sia pur in assenza di un marchio unico regionale.
Per comprendere appieno il boom del settore e le sue potenzialità può risultare efficace comparare i dati del 2011 con quelli del 2020.
Nel 2011 di uve Aglianico del Vulture Doc ne sono state prodotte 29.476 quintali – nel 2020, invece, erano 38.617. Le uve prodotte da Basilicata IGT, invece, sono passate dai 27.107 quintali del 2011 ai 32.293 del 2020.
La vera sfida del futuro è capire come coniugare l’alta qualità del vino prodotto in Lucania con la grande domanda dell’attuale mercato internazionale del vino, che da un lato assorbe senza problemi le etichette d’eccellenza, ma dall’altro ha sempre maggiore bisogno di vino a basso costo per soddisfare clientele meno abbienti.
Per adesso il vino lucano sta nella fascia alta del mercato globale, poiché mediamente esporta vini di alta qualità – e, probabilmente, sarà questa la linea strategica che continuerà a perseguire il settore.
Tuttavia ci si chiede se non possa anche sorgere una filiera industriale dai grandi numeri – magari consorziata efficacemente – per occupare anche i segmenti più “bassi” dell’export e del mercato internazionale. Il mercato cinese di massa, per esempio, è costantemente alla ricerca di vini da importare – vini senza grandi pretese, e senza grosse elaborazioni qualitative e di “brand”.
Braia (consigliere regionale IV, ex assessore) tuttavia critica l’assessore all’Agricoltura Cupparo strumentalizzando la mancanza di un marchio regionale senza comprendere che la competitività del nostro export vitivinicolo è a rischio non perché manchi un marchio unico dell’agroalimentare regionale (cosa utile ma non indispensabile), ma perché l’impennata dei costi, in particolare quelli dell’energia, causata dalla guerra ma anche dalle speculazioni, sta mettendo a rischio l’intera economia italiana. Il carico aggiuntivo per le cantine italiane, in termini di extra costi per 1,1 miliardi, dovuto agli aumenti dei fattori di produzione, (in primis materie prime: energia, fertilizzanti, imballaggi, vetro, sughero), contribuirà a peggiorare sensibilmente la redditività delle imprese. E’ necessario, dunque, attivare nuovi strumenti, sulla linea di quelli già emanati dal Governo, nell’esigenza di mitigare gli effetti della crisi e non perdere ulteriori margini di competitività.
La comprensibile sfiducia del comparto è quindi dovuta alle preoccupazioni del conflitto, ma non si può sottovalutare l’entusiasmo per il ritorno della manifestazione fieristica di Verona, salutato dal tutto esaurito tra oltre 4 mila aziende e 700 buyer, e dal successo di pubblico.
I dati regionali
La superficie complessiva del territorio lucano coltivata a vigneti ammonta a 5.100 ettari (dati 2020). Le aziende vinicole, invece, sono 95. I marchi che registrano le maggiori produzioni sono: Aglianico del Vulture Doc (38.617 quintali su una superficie di 569 ettari), Basilicata IGT (32.293 quintali su una superficie di 351 ettari), Aglianico del Vulture Docg (5.416 quintali su una superficie di 87 ettari) e Matera Doc (4.529 ettari su una superficie di 64 ettari). I numeri, com’è evidente, sono impressionanti.