Italia dei Valori che ha raccolto nel Paese 750mila firme per il referendum contro la privatizzazione dell’acqua che si è tenuto nel 2011 con un risultato plebiscitario a favore dell’acqua bene comune chiede che nella vicenda della contaminazione di acqua a Tito si spieghi con chiarezza ai cittadini cosa è accaduto e di chi sono le responsabilità. E’ quanto sostiene in una nota la segreteria regionale IdV della Basilicata sottolineando che la battaglia per sventare le manovre delle lobby politico-affaristiche che puntavano alla liberalizzazione dell’acqua non può essere vanificata dai mancati o comunque inefficaci controlli sulla risorsa fondamentale e preziosa, che è un bene pubblico. I cittadini si sono pronunciati con chiarezza: l’acqua non è assoggettabile a meccanismi di mercato, mentre la proprietà e la gestione del servizio idrico devono essere pubbliche e improntate a criteri di equità, solidarietà e rispetto degli equilibri ecologici. Dunque – evidenzia IdV – al primo posto la garanzia della salubrità dell’acqua che arriva nelle case, senza nascondersi dietro interpretazioni tecnico-burocratiche di normative sui cosiddetti valori di salubrità e per mettere fine al doppio costo sopportato da tante famiglie lucane che pagano le bollette di Acquedotto Lucano e sono comunque costrette ad acquistare acqua minerale. Riteniamo pertanto che si debba riprendere il percorso di mobilitazione popolare avviato congiuntamente al Forum dei movimenti per l’acqua, presente ed attivo anche in Basilicata. Bisogna produrre, attraverso l’audizione di esperti nei settori giuridico, economico e aziendale, un modello di gestione coerente con i principi affermati dall’esito referendario del 2011, oltre a realizzare nel concreto i principi di trasparenza e partecipazione dando una migliore informazione attraverso il web e i siti istituzionali. Adesso la vicenda di Tito esige chiarimenti innanzitutto ai cittadini mettendo fine al più classico scaricabarile di responsabilità tra Aql, Arpab, Regione, Comune e Asp. Per questo, l’IdV vigilerà affinché la volontà popolare espressa attraverso il voto referendario sia rispettata pienamente. Non consentiremo a nessuno di calpestare la democrazia e di sacrificare gli interessi collettivi in nome delle lobby e dei potenti.
NAPOLI (FI), CONTAMINAZIONE ACQUA A TITO VICENDA KAFKIANA CHE RICHIEDE RISPOSTE PRINCIPALMENTE POLITICHE
L’accertata contaminazione nell’acqua erogata a Tito, sia pure solo in due abitazioni, è diventata una vicenda kafkiana che non può certamente risolversi con l’affermazione del sindaco della cittadina del Melandro che fa sapere ai microfoni del Tg3 che lui beve l’acqua del rubinetto e quindi se lo fa lui i cittadini possono fidarsi. E’ la rete dei controlli, dovuti per legge, in primo luogo da parte di chi eroga il servizio idrico e si fa pagare dagli utenti per farlo, che evidenzia profonde e gravi smagliature. Quello che più sconcerta è l’atteggiamento dei responsabili dell’Azienda di tutela della salute pubblica che scaricano su Acquedotto Lucano, Arpab e Regione la responsabilità di ulteriori ed approfondite analisi, sino ad invocare l’intervento dell’Istituto Superiore di Sanità. La questione ha assunto aspetti che vanno ben al do là della comunità di Tito che vive da troppi anni l’incubo dell’inquinamento dell’area ex Liquichimica. Non si tratta di dividersi tra chi farebbe allarmismo e chi invece vorrebbe sminuire la portata del problema. Né di chiedere aiuto all’Istituto Superiore di Sanità tenuto conto che disponiamo in regione di strutture, uomini e mezzi adeguati. E’ purtroppo questa la punta dell’iceberg della ragnatela di enti, agenzie e società che proprio in casi come quello di Tito danno prova di incapacità ed inadeguatezza. La riforma dell’Arpab annunciata di recente con la coda polemica di una parte del sindacato riporta il dibattito politico sulla necessità di mettere mano alla rete dei poteri sub-regionali nell’interesse prioritario del cittadino-utente di servizi essenziali e della tutela della salute pubblica. Per questo pensiamo che le prime risposte debbano venire dalla politica e dal Governo Regionale che non può più mettere la coscienza a posto con la convocazione di tavoli, metodo che – mi pare – abbia nulla di rivoluzionario.
Michele Napoli, capogruppo Fi in Consiglio Regionale