Basilio Gavazzeni: “Confessione nel genetliaco”. Di seguito la nota integrale.
D’un balzo sono entrato nel tempo degli ottant’anni. Il 7 luglio ho compiuto 79 anni. Per quanto non sia tipo da cellulare ho ricevuto sei telefonate d’augurio. No a una festa eccessiva. Sono bastate le trombe della solarità mai tanto tonitruanti e il dono di una piccola torta di alta pasticceria materana. Una sorella, cinque anni più di me, ricca, mi ha accreditato un bonifico, come a suo tempo usava puntualmente mia madre. Ho versato a una persona nel bisogno il liquido corrispondente, chiedendo una preghiera per me peccatore. Ringrazio.
La vigilia, a sera, è stato giocoforza meditare sulla mia vita. Dio mio, quante grazie e quanta protezione dall’alto, ma che trascorsi i miei! La memoria, più recettiva di un computer, ha scodellato tutte le mie miserie. Sola consolazione le radure dei giorni all’altezza del Battesimo. Chiedo perdono ai miei genitori che mi portarono al Fonte lo stesso giorno in cui sono nato.
Nella luce di Dio, soltanto loro, con Lui, sanno di me fino in fondo. Pensare che si è sotto lo sguardo dei genitori defunti trattiene dal male. Papà, mamma, non sempre sono stato degno di voi. Mamma, quando ne combinavo una delle mie, mi apostrafavi: Come farai a diventare prete, tu, così cattivo? Io facevo spallucce, la faccia torva. Poco dopo mi trovavi in lacrime o incantato sugli albi con le vite dei martiri, dei santi e dei personaggi biblici, o sui romanzi ambientati nelle missioni scritti dai gesuiti Celestino Testore e Giuseppe Greggio che preferivo a Emilio Salgari e a Luigi Motta.
Mutolo oltre il tempo in cui ci si aspetta che un bambino parli, cresciuto lesinavo le parole. Talora, però, menavo oracoli temutissimi dai miei fratelli perché inopportuni e, insieme, veritieri. Mamma, sai che, nonostante le apparenze, la propensione al silenzio mi accompagna. In quarta ginnasio mi piacque la frase posta in esergo alla Grammatica latina, prima edizione, del Tantucci: Secretum meum mihi: A me il mio segreto. E più tardi, egualmente, il prudente motto di Cartesio: Larvatus prodeo: Avanzo mascherato. Nelle relazioni umane non è necessario sbudellarsi ed esibire metri e metri di visceri. Bisogna contrastare l’andazzo di lasciarsi frugare dagli altri e di frugarli. Che orrore l’intuarsi, l’inleiarsi, l’inluiarsi, l’immiarsi prevaricatori che divulga la televisione, l’intrusione nell’intimità e nella coscienza altrui. Sono meravigliose l’interiorità e l’alterità non tocche come la neve delle vette inviolate.
Mamma, a quelle semplici luci dell’adolescenza si attiene ancora tuo figlio quasi ottuagenario che, tuttavia, non è mai riuscito a far tacere o a occultare il cuore, impasto di discernimento, capacità di indignazione, coraggio e tendresse – oh Dieu de tendresse! – simile al tuo, mamma, e a quello di papà. Chiedo perdono perché non ho onorato le promesse di orazioni. Riconosco di essere moralmente indebitato fin sopra i capelli, come si suol dire, con un numero incalcolabile di persone vive e nell’eternità, soprattutto con la moltitudine di Maestri che hanno accresciuto l’apertura della mia ragione alla fede cattolica.
Sàppiano gli amici non credenti, anzi atei, che, ateo io stesso dalla prima infanzia, naturaliter, nei confronti di qualsiasi realtà terrena, tale permango a fortiori anche difronte al loro tetragono ateismo, come difronte alle rovinose idolatrie addobbate di stracci soggettivi, anche spiritualistici, che si moltiplicano attorno. Per grazia di Dio sono cattolico, razionalmente ateo nei confronti di qualsiasi realtà intramondana che pretenda di sostituirlo. Non disprezzo nulla che sia buono nel mirabile reame della terra e non mi sento migliore o superiore a nessuno. So però che il Male cerca di varcare la soglia di ogni persona e bisogna combatterlo.
Scongiuro quelli che mi vogliono bene e mi stimano di non sopravvalutarmi. Nel dies irae del Giudizio universale ne sentiranno di tutti i colori contro di me illustrate con metodo dall’Accusatore. Quel giorno, tuttavia, non sarà più possibile bestemmiarci a vicenda. Pecora più volte smarrita, ma sempre tormentata dalla nostalgia dell’ovile, tramortito, a Gesù Giudice insediato sussurrerò per me e ognuno ed eventuali nemici: Quaerens me sedisti lassus, tantus labor non sit cassus: Alla mia ricerca ti sei seduto stanco, una così gran fatica non sia stata inutile. Nel frattempo, nessuna malinconia, fratelli boomer della classe 1945, niente ci pieghi, godiamo i giorni che riceviamo per il bene, operosi se possibile: sfoderiamo il nostro piano B.