Riceviamo e pubblichiamo una nota inviata dall’associazione Città Plurale con la quale si riapre una discussione sulla possibile privatizzazione dell’acqua, scongiurata dal referendum che si è svolto il 12 e il 13 giugno 2011. Riportiamo di seguito la nota integrale.
L’acqua è un bene comune, da..bere.
Città Plurale è stata u una di quelle associazioni che ha composto il coordinamento regionale per il referendum acqua pubblica che si tenne il 12 e 13 Giugno dello scorso anno. Sin da allora emerse con chiarezza come su tutto il territorio nazionale le peculiarità fossero tante, si andava dall’acqua del Sindaco – l’acquedotto comunale piccolo o grande che fosse – agli schemi idrici a servizio di grosse utenze. Le forme societarie erano e sono diverse e dimostrammo come la privatizzazione del servizio non servisse a migliore lo stesso ed a favorire gli investimenti ma solo a far accrescere il costo per l’utenza e a garantire una rendita sicura ai gestori privati. Nel corso delle assemblee che abbiamo fatto per spiegare ai cittadini i motivi del referendum riscontravamo una certa perplessità da parte degli ascoltatori non già sul fatto che il servizio dovesse essere pubblico e l’acqua un bene comune, ma per l’uso che se ne faceva degli enti pubblici, più di uno ci ricordò come l’acquedotto pugliese sia stato un ente che ha dato più da mangiare che da bere. Questi dubbi, queste perplessità c’erano e ci sono tuttora con gli Enti di gestione regionali. La classe politica regionale non è che faccia molto per allontanare questo sospetto che molto spesso è certezza. La governance degli enti che gestiscono l’acqua è dispendiosa; si costruiscono presidenze, vice –presidenze, consigli d’amministrazione e direzioni generali per creare delle aree di parcheggio comode e ben retribuite al folto sotto governo. Anche in questa tornata di nomine ci si accinge a spartire la torta, il vantaggio per i cittadini non c’è. E’ difficile affidare la gestione ad un unico ente pubblico, con dirigente unico e qualificato da scegliere per concorso o tra il personale regionale? L’appuntamento, questa volta, è andato perso, ci si augura che i disegni di legge presenti in consiglio regionale vengano quanto prima discussi e tutta la problematica relativa ad una corretta governance venga positivamente risolta. Un punto a favore di questa classe politica regionale è stato il cosiddetto addendum. In esso è stato ribadito che l’acqua non si vende e che royalties sull’acqua non ce ne sono. Detto anche dalla Regione Basilicata assume un significato molto positivo. Facile dichiararlo per quelle Regioni bisognevoli di risorse idriche più difficile lo è per quelle che avendone in esubero le cedono. Un accordo sottoscritto dalle regioni meridionali più il Lazio, le Regioni facenti capo al distretto idrografico dell’Appennino meridionale, ha permesso di concertarsi per garantire solo la copertura dei costi di esercizio utili per la raccolta dell’ acqua e l’erogazione della stessa. La Regione Basilicata ha avuto un ruolo particolare perché essa risulta essere la più importante erogatrice della risorsa in una misura pari al 35% e ne riceve solo il 2%. il Molise ed il Lazio erogano al sistema compensativo ma quote percentuali significativamente più ridotte a favore della Puglia ed in misura bilanciata tra il dare e l’avere è posta la Campania. Nel documento d’intenti sottoscritto a suo tempo dalle Regioni indicate viene ribadito il principio previsto anche dalla Direttiva Comunitaria 2000/60 che l’acqua è un patrimonio che va protetto, difeso e trattato come tale e non è un prodotto commerciale come gli altri. Noi ribadiamo che l’acqua non è neppure un valore commerciale e deve essere un bene comune privo di rilevanza economica e sollecitiamo il Consiglio Regionale a recepire questo concetto così come è all’atto della approvazione del nuovo statuto regionale che in questi giorni si sta modellando anche con la partecipazione dei cittadini.
Associazione Città Plurale