Coalizione Civica per Matera aderisce a mobilitazione nazionale per riapertura in sicurezza delle scuole. Di seguito la nota integrale.
Sabato 23 maggio 2020 è in programmaa una mobilitazione a livello nazionale per chiedere al Governo più insegnanti, assunzione precari e precarie, più personale A.T.A, più scuole, più spazi (ovvero rendere agibili le strutture esistenti e costruirne di nuove, temporanee, sostenibili e utilizzare spazi dismessi), più educazione all’aperto, più risorse per la Scuola Pubblica.
Anche Coalizione civica per Matera aderisce a questa iniziativa.
Né negli ultimi decreti del Governo né nelle recenti dichiarazioni rilasciate dalla Ministra emergono linee chiare sulle modalità di apertura della scuola a settembre.
L’ultimo appello di tanti intellettuali ci ricorda che la scuola è il luogo della socialità e della cittadinanza e la Didattica a Distanza non la sta permettendo, almeno non a tutti allo stesso modo.
Comunque la si pensi, una cosa non si può negare: la materia è complessa. Perché muove nove milioni di persone, perché forse si è capito che riguarda la “macchina Paese” quanto e più delle fabbriche, perché è il più grosso sottosistema sociale e perché, finalmente, ci si è schiantati contro il muro “forse il problema è serio, le famiglie stanno esplodendo, gli studenti anche e dobbiamo affrontarlo”. Comunque la si pensi, la faccenda va gestita, ed è la buona gestione a fare la differenza.
Le questioni da affrontare sono tante, macro e micro. Ne elenchiamo solo tre, immense:
1. La digitalizzazione delle scuole, la connessione a banda larga, da portare in 45.000 edifici (i fondi ci sono): sennò i sistemi misti metà in classe, metà a scuola, o i doppi turni, o quel che volete voi, falliscono. Da noi, ad esempio oltre il 30% % di scolari non sono raggiunti dalla didattica allo stesso modo dei compagni;
2. La messa a norma e l’adeguamento all’emergenza degli edifici e degli ambienti scolastici (o extra scolastici se è necessario ricorrere ad altri spazi) in vista della sicurezza. Il che significa approfittare di questi mesi per dare una sistemata alle scuole (mentre l’Amministrazione comunale continua a gingillarsi su mega progetti di scatole vuote e senza credibilità di futuro, sprecando fondi che dovrebbero spesi proprio per questi interventi), anche con piccoli cantieri;
3. La fornitura e distribuzione dei dispositivi di sicurezza e la gestione del tracciamento ed eventuali test da fare a tutti – allievi e personale, in tutte le sedi. Al primo scolaro o alla prima docente contagiati si rischia di chiudere tutto per i prossimi cinque anni. La Scuola è come una fabbrica con dentro 9 milioni di operai; ma senza protocolli e dispositivi di sicurezza una fabbrica non la terrebbe aperta nessuno.
Otto milioni di bambini, ragazzi, giovani non possono restare confinati nei recinti angusti delle piattaforme on-line, in un lockdown virtuale (“si tornerà a settembre con lezioni metà a scuola e metà a casa”). Bisogna smettere di pensare che la scuola debba continuare a essere quella che conoscevamo: uno spazio chiuso, con aule zeppe di banchi che accolgono fino a 30 alunni, stipati per 5, 6 ore dalla mattina all’ora di pranzo.
È possibile fare scuola ovunque e in qualunque momento: per strada, nei boschi, nei parchi e in ogni momento, dall’alba al tramonto, in tempi e in luoghi diversi da quelli a cui la scuola tradizionale ci ha abituati.
Basterà trasformare la scuola tradizionale in una scuola diffusa nella città: una città educante:
1. Dividere le nostre superaffollate classi in piccoli gruppi, così da poter dedicare maggiore attenzione e cura ad ogni bambino o ragazzo (ogni classe della scuola dell’infanzia e primaria in almeno due gruppi, ognuno affidato a una delle due insegnanti di riferimento che, su una programmazione concordata, affrontino i medesimi argomenti con i due gruppi di bambini, in luoghi diversi e in modo alternato, nel rispetto delle misure di sicurezza previste).
2. Portare la scuola anche fuori dalle aule tradizionali, facendo della città intera il nuovo ambiente educativo (c’è un’aula ovunque ci sia un sapere, delle competenze, la disponibilità a condividerle e a offrirle come esperienza).
3. Portare l’attività didattica anche nelle istituzioni culturali che oggi sono chiuse (teatri, musei, biblioteche) facendole, finalmente, nuove coprotagoniste del sistema educativo e del coinvolgimento effettivo della cittadinanza attiva, non solo degli ‘addetti ai lavori’.
4. Intensificare il confronto con il territorio, anche mediante tavoli di lavoro, per individuare insieme nuovi luoghi da usare per la scuola, ridando vita agli spazi dismessi o in disuso come ce ne sono tanti nelle nostre città.
5. Utilizzare le tecnologie per quello che sono: uno strumento di democrazia. Constatando quindi che in Italia non esiste dappertutto banda larga o wifi – che in luoghi come Matera é stata posata per ben tre volte senza ancora poterla utilizzare -, così come non tutti hanno un tablet o un computer adeguato e facendo gli investimenti conseguenti.
In una scuola così concepita i diversi saperi si intersecano e dialogano tra loro nella città-educante, le professionalità della scuola incontrano altre professionalità e competenze, le une e le altre potranno arricchirsi reciprocamente. Riaprire in sicurezza non sarà allora solo l’applicazione meccanica delle regole del distanziamento sociale, ma l’opportunità di una coraggiosa innovazione.
Forse la scuola potrà indicare la strada per rimettere in moto il Paese.