Si sono svolti nel pomeriggio nella chiesa Madre di Miglionico i funerali di Giovanni e Francesco Ragone, i due fratelli di 55 e 58 anni che sono morti a seguito del ribaltamento della loro mietitrebbia mentre erano al lavoro in agro di Miglionico, nel pomeriggio di sabato 22 giugno.
Di seguito il testo dell’Omelia pronunciata durante la celebrazione dei funerali da Monsignor Pino Caiazzo.
Carissimi, quello che stiamo vivendo è uno dei momenti in cui non bisogna dire parole ma mettere insieme mente, cuore e in particolare la preghiera fissando queste due bare.
Dentro ci sono due corpi, quelli di Giovanni e Francesco che durante una delle tante giornate di lavoro, sotto il sole cocente, sono rimasti travolti e uccisi dalla stessa macchina che doveva raccogliere il grano per diventare pane, sostentamento per loro e i familiari.
Penso al dolore della mamma Marianna, delle loro spose, Gina e Bice, dei figli Marianna, Antonio e Lucia, Marianna, Grazia e Valentina, del fratello Domenico, dei familiari, di un’intera comunità civile e religiosa che vive questo momento di sbigottimento. E’ un dolore che appartiene a tutti, un dramma perché si è consumato nel mentre lavoravano e il sudore rigava i loro volti e i loro corpi.
Noi siamo qui non per commentare il tragico evento. Siamo tutti bravi ad esprimere giudizi, ma a noi è chiesto il silenzio vivendo questo dolore come “nostro” offrendo, soprattutto ai familiari, la nostra vicinanza piena di affetto sincero che continui nel tempo, sostenuti e illuminati dalla preghiera.
Il brano del vangelo che abbiamo ascoltato ci presenta il momento della morte di Gesù: “Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Il velo del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo spirò”.
Gesù morì verso le tre del pomeriggio. Esattamente come quel giorno a Gerusalemme, anche qui, a Miglionico, è sceso il buio. E’ come se improvvisamente tutti fossimo sprofondati nelle tenebre.
Ma un interrogativo ci stiamo ponendo, credenti e non: perché queste morti? Perché è successo? Interrogativi che ci daranno mai una risposta ma ci portano ancor di più nel buio facendoci smarrire completamente.
Ecco perché ci troviamo davanti al Crocifisso che tanto caro e adorato è a Miglionico: contempliamo come è morto Gesù. Gridò forte prima di morire consegnandosi al Padre e non al nulla.
Questa è la nostra speranza: nella tragicità della morte, ingiusta come sempre lo è la morte, e nel mentre il dolore logora e lascia senza parole, vivere la certezza che, come Gesù, anche Giovanni e Francesco avranno consegnato la loro vita nelle mani di Dio, Lui che, attraverso il Figlio Gesù, ci ha promesso la vita eterna.
Non è stato forse proprio Gesù che ci ha detto: “Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria” (Gv 17, 24).
Fuori da questa certezza non siamo in grado di dire a voi familiari parole di consolazione che siano vere, in grado di aiutarvi ad asciugare le lacrime per una morte così incomprensibile.
S. Paolo, nella prima lettura che abbiamo ascoltato, ci illumina: “Non vogliamo, fratelli, lasciarvi nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza. Se infatti crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti”.
La mia presenza, oggi a Miglionico, è quella di tutta la nostra Chiesa locale che, attraverso queste povere parole cercano di darvi forza, coraggio, e dirvi che vi siamo sinceramente vicini.
Questi nostri fratelli, dicevo, sono morti mentre lavoravano nel proprio campo e stavano raccogliendo il frutto dei loro sacrifici, perché amavano la terra e la rispettavano. Da questo fatto dobbiamo imparare, sia io che voi, che siamo stati creati per qualcosa di più grande. Indipendentemente se abbiamo fede o meno, ma qui, in questa chiesa, davanti a queste due bare c’è una grande lezione di vita e guai a noi se non prestassimo attenzione. Il lavoro è certamente un bene grande ma, purtroppo, spesso mette a repentaglio la vita.
Sembra assurdo ma da questi eventi, un prezzo enorme da pagare, deve crescere l’amore verso la vita affinchè la nostra convivenza diventi casa abitabile dove la comunione, la compartecipazione, la solidarietà, la vicinanza prendano posto all’indifferenza e alle divisioni e lotte.
Pensando alla terra, quella terra dalla quale noi proveniamo e alla quale ritorniamo; accostando la vita dei nostri fratelli Giovanni e Francesco mi vengono in mente le parole del salmista che dice: “Tu fai ritornare l’uomo in polvere e dici: «Ritornate, figli dell’uomo». Ai tuoi occhi, mille anni sono come il giorno di ieri che è passato, come un turno di veglia nella notte. Sono come l’erba che germoglia al mattino: al mattino fiorisce, germoglia, alla sera è falciata e dissecca”.
Tutti siano interpellati da queste morti, ma tutti siamo invitati a intravedere che la vita dev’essere vissuta ogni giorno con entusiasmo, impegnandoci a dare tutto quello che siamo, tutto quello che abbiamo.
Da questi corpi ormai freddi e silenziosi parli l’amore capace di animare la nostra esistenza ad un impegno concreto per tessere relazioni che ci facciano ritornare ad essere più umani.
A voi familiari dico: anche se non vi conosco vi accolgo come figli e vi porto nel mio cuore di padre e pastore per mettervi nelle mani di colui che è morto ingiustamente sulla croce, Gesù nostro Signore e Maestro, e in quelle della Vergine Addolorata che ha assistito impotente alla morte del Figlio. Questo momento segnato dalle lacrime e dai gemiti del dolore, possa essere toccato dal passaggio della loro presenza per curare una ferità così profonda. Amen.
† Don Pino