In esclusiva per SassiLive ecco una nuova puntata con le “fantastiche avventure” di Mister Stackewtch, il personaggio ideato Domenico Gallipoli. Questa volta la pagina è dedicata in particolare alle vittime del terremoto nel centro Italia e alla protesta degli insegnanti che non vogliono lasciare la propria terra per raggiungere la sede di lavoro prevista nel centro-nord con la riforma La buona scuola del Governo Renzi.
Erano trascorsi parecchi giorni da quando il nostro era tornato a Nuova York da Rocks City, dove la nipotina era convolata a nozze. Tutto sommato contento di essere tornato alla “sua” normalità: la mattina si levava con comodo, dava uno sguardo piuttosto distratto in tv agli avvenimenti del giorno, poi si preparava una colazione molto leggera (così gli aveva prescritto il medico personale suo amico), poi una passeggiatina nel parco situato nelle vicinanze. Qui incontrava per lo più suoi ex colleghi di lavoro, che tra un ricordo, una fumata ed uno sguardo ai bambini inseguiti dalle mamme innervosite aspettavano l’ora da dedicare al pranzo. A Stackewtch piaceva questo monotono susseguirsi degli “impegni” della mattinata, lo rassicuravano, proprio come i bambini che negli spazi, nei volti e nelle situazioni di tutti i giorni acquistano dimestichezza con la vita. Il pranzo era il momento in cui cominciava ad affiorare il senso di vuoto che provava sin da quando la cara moglie lo aveva lasciato. Per ingannare la sua tristezza provava ad impegnarsi nella preparazione di più piatti, talvolta gli riuscivano bene, talvolta non proprio, ma era contento lo stesso, come se avesse dedicato a lei questo impegno supplementare in cucina. Un bel sonno accompagnava la digestione sulla poltrona, muta confidente dei suoi pensieri più profondi. Nel pomeriggio una nuova uscita, un giro non breve di isolati, ahimè tutti uguali in mattoni, lunga e monotona fila di casermoni da cui provenivano voci di gente di tutte le età e di varie lingue. La monotonia delle costruzioni lo lasciava piuttosto indifferente, porgeva attenzione invece alle voci, ai diversi idiomi, che cercava di comprendere, quasi gongolando quando raggiungeva la sicurezza dell’identità, si sentiva un vincitore che avesse tagliato il traguardo. Terminato il solito giro tornava in quella che era diventata la sua tana.
Quella sera, però, la tv gli sbattè contro il viso delle immagini che sembravano provenire da uno scenario di guerra: il terremoto che la natura aveva scatenato nella terra da cui i suoi genitori erano partiti tanto tempo prima. Pianse nel vedere quelle immagini di distruzione di persone e cose, pianse nell’immaginare dei disgraziati sommersi dalle macerie, incapaci di muoversi e di gridare aiuto, si commosse nel vedere vecchi e bambini miracolosamente tratti in salvo da “angeli delle macerie”, si commosse nell’ascoltare notizie di manifestazioni, pur disordinate, di solidarietà diffuse, tipiche di una nazione che sa dare il meglio di sé nei momenti tragici ma che sembra riluttante ad una normalità ordinata e rispettosa delle leggi. Pianse pensando alla gente che aveva perso l’attività che la faceva vivere, gente che aveva perso i cari, la casa ed il lavoro. Pensò allora a quegli insegnanti, cui giornali e tv avevano dato molto spazio, che protestavano contro l’assegnazione della sede di lavoro (lavoro sicuro!) lontana dalla propria sede di residenza, si sentivano dei “deportati” degli “esiliati”; che tristezza! Pensò allora alla parola deportazione, che richiamava alla mente i campi di concentramento, alla parola esilio, che richiamava alla mente oppositori di una dittatura scacciati dalla patria. Niente di tutto questo poteva giustificare quelle espressioni, solamente la voglia di tirarsi fuori, poco onorevolmente, da un patto precedentemente accettato (la cattedra lì dove sarà assegnata). Avranno pensato: per ora accettiamo, poi si vede, se non ci va protesteremo, faremo casino, ci sarà sempre qualcuno che per motivi politici o sindacali ci appoggerà nella protesta. Gli dava fastidio che ci fossero, al solito, come puntualmente verificatosi, demagoghi pronti ad appoggiare proteste di chi non vuole fare sacrifici. Anche dalla parti del nostro ci fu chi, come un p/baffuto onorevole di New Syris, dava spago alle proteste di giovani “deportati, condannati all’esilio” … nel profondo Nord, dove ci sono cattedre disponibili ed alunni. Eppure dalle sue parti secoli fa ci fu un certo Pitagora che con i numeri aveva dimestichezza, ne insegnava l’essenza. Non ha avuto successo in casa. Che fare? Deportare gli alunni dal profondo Nord al profondo Sud pur di impedire la deportazione e l’esilio dei docenti del Sud? Non potè fare a meno mister Stackewtch di pensare a quelli che nei primi anni del dopoguerra, senza alcuna sicurezza di lavoro, partivano dal Sud con le valigie di cartone, pieni di speranza e di voglia di lavorare, di svolgere un lavoro anche precario, ma un lavoro. E questi che un lavoro ce l’hanno, sicuro, a tempo indeterminato … dovrebbero vergognarsi e provare a pensare a chi un lavoro non ce l’ha. “Abbiamo diritto al lavoro nella nostra regione!” gridano. E dove sta scritto? La verità, concludeva tra sé è e sé il nostro, è che molti vorrebbero tutto e subito ed a portata di mano, la parola sacrificio è scomparsa dal loro vocabolario.
Quanta tristezza per mister Stackewtch, quanta tristezza, ma solo per le vittime del terremoto! Per gli “pseudodeportati e pseudoesiliati” e mestatori di disordine … quanta pena!
Domenico Gallipoli