Il dibattito sui costi della politica e dell’affiorante anti-politica ha tracimato spesso nel cattivo gusto e nel grottesco! Politici mestieranti, di destra, come di sinistra, si sono affannati a dimostrare che con loro al governo i loro stipendi sono stati ridotti dello 0.01 % e via discorrendo !
Poi hanno fatto una ignobile quanto impropria difesa della politica come se fosse loro esclusiva prerogativa!!!! Dobbiamo nostro malgrado ricordare a chi ha fatto del suo impegno pubblico il suo “mestiere” che il soggetto primario della politica è la società civile in tutte le sue articolazioni. Quando Grillo straparla contro il palazzo e raccoglie oceanici consensi non è l’anti-politica che va all’arrembaggio; ma è la società civile (o parte sana di essa) che cerca di affermare la sua “Signoria” sulla Politica. Ma andiamo con ordine!
Che i nostri politici, ovvero le donne e gli uomini chiamati alla vita pubblica, debbano essere pagati adeguatamente, al contrario di quello che la vulgata corrente auspica, credo sia una cosa assodata e sacrosanta. Se non dovessimo pensare ad un adeguato compenso per il fatto che siano stati “prestati” alla politica, il rischio sarebbe che a farla sarebbero solo i ricchi e, se non ricchi, ci sarebbe sicuramente il rischio che siano pagati da ben altri opachi soggetti. Il principio di una adeguata (alta) retribuzione di chi ricopre cariche pubbliche fu estesamente applicato dagli antichi greci che di politica e di democrazia se ne intendevano ! Quello però che dobbiamo esigere, ed è questo il vero dibattito, è che la prestazione che i nostri politici forniscono sia commisurato al loro livello di retribuzione. Quindi è demagogico chiedere che il livello di retribuzione sia dimezzata o ridotta a quella di una corf (come spesso in modo cretino si chiede!). Chiediamoci piuttosto quale deve essere il loro mansionario. Prima di tutto dobbiamo imporre l’idea che l’unica tipologia di contratto di lavoro in politica ammessa debba essere quella a tempo determinato. Un CO.CO.PRO. va più che bene! In secondo luogo non c’è posto per i mestieranti della politica. La politica non può essere il “juke-box” da gettonare da chi non ha avuto le capacità di costruirsi un mestiere od una posizione lavorativa sul campo. Chi entra in politica deve aver dimostrato di valere prima di tutto nel suo campo professionale. Ciò certifica che stiamo dando fiducia ad una persona che sa cogliere risultati importanti. Deve inoltre avere competenze adeguate per svolgere l’attività politica. Sempre più invece appare che la competenza tecnica e la dignità morale siano variabili indifferenti alla politica se non addirittura considerate con fastidio. Deve avere inoltre passione civica certificata da anni di impegno nel sociale. Deve avere idee e progetti spendibili per la comunità intorno ai quali costruire la sua popolarità ed il suo consenso. Basta con le “mamma Lucia” (o le figlie del pompiere che dir si voglia!) che ricevono gente in pellegrinaggio per dispensare “improbabili miracoli” (comunicazione di servizio: a chi è entrato alla corte di mamma Lucia gli è vietato severamente da oggi dire in giro che è stato alla scuola di chi scrive! “intelligentia pauca”). Basta con gli ex-carabinieri che promettono di far diventare edificatorio finanche il parco nazionale del Pollino! Ma, soprattutto, a chi fa politica si chiede di esercitare la Responsabilità. A categorie particolari della nostra società vengono riconosciuti “diritti particolari” perché la loro prestazione d’opera esige un esercizio impegnativo della responsabilità. E’ per esempio il caso dei giudici o dei militari o degli stessi uomini impegnati nelle istituzioni pubbliche. Ora se questo alto senso di responsabilità viene meno, quei vantaggi e quei diritti particolari, assegnati per garantire un esercizio pieno delle funzioni loro attribuite, si trasformano in privilegi di casta! Quando la società civile percepisce una particolare classe sociale come una casta chiusa in difesa feroce dei suoi privilegi vuol dire che questa responsabilità non e più esercitata. La classe chiamata alla rappresentanza pubblica risolve il problema esercitando in modo sagace e puntuale la propria responsabilità politica. Recuperare il ruolo di “Padre” non solo per la propria famigliola o per la propria “camarilla” ma per un’intera comunità vigilando perché il bene comune si affermi, è l’unico potente antidoto per respingere le accuse di essere casta privilegiata. Di esempi di politici che si sentirono “Padri” fino alle estreme conseguenze ce ne sono a iosa. Faccio alcuni esempi. Uno fra tutti il sacrificio di Salvator Allende nel 1973. Poteva scappare evitando la crudeltà e la ferocia del “golpe” militare di Pinochet. Da buon “Padre” invece preferì rimanere fino alla fine al suo posto di Presidente del Cile nella casa Rosada sapendo che sarebbe stato ucciso seduto su quella “poltrona” (altro che privilegi!). Un altro episodio meritorio di essere citato avvenne durante il rapimento Moro. Un memorabile discorso fu fatto in parlamento da Ugo La Malfa (sarebbe il caso che i tanti consiglieri comunali eletti a Matera per le troppe promesse e per le intimidazioni esercitate se l’andassero a rileggere!) il quale tuonò affermando che finanche il martirio non li avrebbe fatti recedere dal proteggere con le leggi il proprio paese. Oggi la Paternità è in crisi nel nostro paese ed è in crisi nella politica. Il governo Prodi, al di là dei singoli provvedimenti presi, è diventato inviso perché da parte di gran parte della maggioranza non viene esercitata una paternità responsabile. Non è certo un bel vedere che pezzi della maggioranza, perfino ministri, invece di far quadrato responsabilmente sui provvedimenti si mettano pubblicamente a criticarli. Addirittura organizzano manifestazioni di piazza! Ma contro chi? Questi comportamenti si giustificano o con la schizofrenia o con la totale assenza di responsabilità. C’è poco da andare lontano signori dalla facile auto-assoluzione: senza l’esercizio di una “paternità responsabile” non ci potrà essere futuro per il nostro paese.
Francesco Vespe