Primo intervento di Daniele Nuzzolese.
Quando pensavamo di essere forti…
Informazione: trasmissione e ricezione di messaggi relativi a notizie o nozioni ritenute utili o addirittura indispensabili per l’individuo o la società. Informazione strumentalizzata, spesso, che termina in un nulla di fatto dopo aver alzato il polverone; eppure è strano vedere la comunità materana quasi del tutto assente rispetto alle “razionalizzazioni” della 133. Forse se ne accorgeranno più in là, quando con molte probabilità la Nostra Università degli studi della Basilicata si trasformerà in fondazione di diritto privato, quando le tasse di iscrizione ai corsi di laurea toccheranno cifre da capogiro; o forse non cambierà nulla; già, perché l’uomo del sud è storicamente abituato a emigrare; sarà per questo che sta insegnando alla giovane generazione di studenti che nella Nostra città si sta formando a non prendere posizioni a lungo termine. La gravità della situazione la si può comprendere solo se si conoscono i risultati espressi dal Piccolo Ateneo Locale, forse ultimo centro aggregante di fresche personalità pronte a tenere alto il nome di Matera e della Basilicata. Dispersi, tutti e molto presto. Perché presto un ente privato potrebbe disporre dei beni e del patrimonio dell’Università; a quel punto lo Stato si impegnerebbe a elargire esenzioni fiscali e liberalità, nonché fondi, a quei Senati Accademici che abbiano ritenuto opportuno propendere per la privatizzazione. Qui ci vuole una domanda: se i fondi sono previsti per le Università che diventeranno private, perché per quelle pubbliche sono previsti tagli da distribuire nell’arco di tre anni? Presto detto: controllo, dei docenti, delle loro ricerche, controllo di tutto ciò che possa riguardare la formazione di noi studenti; una sorta di tentativo di monopolizzazione del pensiero che riguarderà quei pochi studenti che ancora potranno permettersi di pagare le Rette di iscrizione. Sarà allora che si deciderà di chiudere l’Università. Ennesimo fallimento di una realtà locale e di tutte quelle realtà collegate ai giovani che investiranno altrove per il loro futuro.
Replica di Antonio Barillari.
Gentile redazione, vi scrivo in merito a questo articolo,avendo,a mio modesto parere, il diritto e la competenza di far da contraddittorio.
Premesso che lo slogan : il decreto "uccide la ricerca", "togliere il tempo pieno" o "licenzia i maestri" è quantomeno parziale e abbastanza politicizzato. Nel nostro malandato Sud non abbiamo bisogno di sentenze sommarie,ma di ragionevoli riflessioni.
Pochi hanno capito davvero la ratio del decreto incriminato,specie nella sua sezione relativa all’università,che,a quanto sembra,nella disinformazione funzioni benissimo. Strano che gli studenti non abbiano preso l’iniziativa di vagliare la materia di cui discutere, al contrario protestino contro una prospettiva di cambiamento,difendendo l’attuale (indifendibile) sistema scolastico ! Mi ha fatto sorridere il paragone con il ’68, allorquando si protestava a ragion veduta per ottenere un modello nuovo al posto dello stantio impianto ideologico. Altri tempi.
La cultura e la scuola italiane sono divenute salotti di una certa parte della sinistra-comunista che ha partorito un ideale debole ma unico: maestri e/o professori di facile buonismo e ingiustificato lassismo: viviamo in pace, non curiamoci del bullo di turno o della (im)preparazione degli studenti.
È dunque una naturale conseguenza che la sinistra e i sindacati insorgano, perché viene demolito il loro impianto ideologico di scuola asservita e per nulla formativa, con la complicità degli studenti che non vedono più un percorso semplice dopo il quale prendere un pezzo di carta,ma un percorso di selezione e merito. Merito come criterio, non programmi di consenso politico e di asservimento di ragazzi e genitori.
Tutto ciò ha deresponsabilizzato gli studenti, immersi in un sistema-scuola inefficace e poco credibile,dove tutti,indistintamente, vanno avanti. Dove arriveranno,poi, non ci è dato saperlo.
Concedetemi poi un piccolo riferimento all’università, tema sul quale è meglio non dilungarsi,perché potremmo arrivare fino a Natale a parlarne,senza essere giunti ad una sintesi.
Il problema è simile, la vogliamo per chi ne ha voglia davvero ? O fa piacere ad alcuni farsi pagare dai genitori qualche annetto di affitto in una località mondana,magari con qualche noia perché le tasse sono troppo alte ? Allora, ragioniamo, l’università italiana è indifendibile,credo non sia facile per noi proporre soluzioni ad un problema radicato da decenni di burocrazia in un modello gestito più che familiarmente. Consentitemi una puntualizzazione,su chi millantava che il decreto uccide la ricerca: personalmente,nella grandiosa università di Bari,dove ,per inciso, i gradi di parentela tra professori,assistenti e quant’altro arrivano anche ai parenti acquisiti, ho valutato che il professor M. era in procinto di chiedere un anno sabbatico per fare ricerca finanziata dalla Facoltà. Poverino,si lamentava per i pochi fondi a disposizione,eppure doveva fare una ricerca sul Diritto Romano. Pertanto,nella mia mediocrità mi sono posto una domanda. Ricercare, non è soprattutto innovare ? Un conto è darsi da fare al fine di scoprire o migliorare una cosa , altro è ricercare un tema sul quale sono stati scritti centinaia di volumi. Avevamo noi bisogno di un altro libro di Diritto Romano ? La risposta è si. Si perché il nascituro libro non sarà un libro qualsiasi, sarà “parte speciale” della prossima sessione d’esame ed andrà acquistato assolutamente nuovo, in edizione aggiornata (con cosa poi) ogni anno; pena il non superamento dell’esame stesso. Ovvio,un testo fotocopiato non solo è irriguardoso verso chi l’ha scritto,specie se ti deve giudicare, ma anche uccide la ricerca stessa. Se di ricerca vera si è trattato.
Secondo intervento di Daniele Nuzzolese.
Il presente articolo è frutto di una elaborazione derivante da una assemblea tenuta dagli studenti, affiancati da professori, nell’Ateneo lucano che pur disapprovando alcuni punti della legge Gelmini (che, e ci teniamo a ribadirlo, non ha ancora proposto nulla riguardo alle Università) ha indirizzato il tema sulla discussione della Legge finanziaria 133 che più da vicino tocca gli studenti universitari.
Le direzioni della nostra manifestazione-protesta sono due:
1) no alle Università private;
2) no alle Università pubbliche;
3) proposte concrete.
Per quanto paradossale possa sembrare siamo certi che nessuno dei due modelli possa funzionare e calzare a pennello; sta di fatto che l’Università si presenta composta soprattutto da studenti, che in questa situazione non vogliono distruggere o abolire ma proporre senza subire.
A titolo di esempio: l’Università degli Studi della Basilicata ha già previsto la razionalizzazione dei fondi a propria disposizione chiudendo il corso di Laurea in Ingegneria Edile con sede a Potenza e Matera e attivando un unico corso di Architettura con sede a Matera; il tutto senza chiedere sussidi finanziari alle Casse dello Stato ma convogliando i mezzi già a disposizione in un unico punto per offrire maggiore qualità. Questo provvedimento era previsto già prima della presentazione, nel Luglio scorso, della legge finanziaria; ciò significa che non occorre cambiare lo stato giuridico di una entità provocando reazioni a catena incontrollabili perché a nostro parere tra le pecche di questa proposta vi è proprio la Non Trasparenza e l’Imprevedibilità.
Proprio perché fiduciosi di un Governo capace di ascoltarci ci muoviamo nel senso del dialogo costruttivo che miri tanto all’abolizione di modelli privati quanto il superamento delle attuali problematiche, senza inutili divagazioni o semplicismi che siano riduttivi nei confronti di una giusta ricerca che si presenti potenziata e non “tagliata”. Noi ci siamo, e su questo siamo tutti d’accordo