Nelle prime ore di venerdì 22 gennaio 2010, in Montescaglioso e Bernalda i Carabinieri del Reparto Operativo del Comando Provinciale di Matera, unitamente a quelli del Comando Compagnia e Comando Stazione di Montescaglioso, dopo oltre otto mesi di serrate indagini, hanno portato a termine una articolata operazione di servizio denominata “Terra Promessa”, con l’esecuzione di cinque provvedimenti restrittivo nei confronti di persone responsabili di: associazione a delinquere finalizzata alla riduzione ed al mantenimento in schiavitù, estorsione ed altro in danno di cittadini di nazionalità rumena.
Nel corso dell’operazione di P.G., che ha visto impegnati i Carabinieri del Comando Provinciale di Matera, sono stati eseguiti cinque arresti in esecuzione di una ordinanza di custodia cautelare, emessa dal GIP distrettuale di Potenza.
Dr.ssa Geraldina Romaniello, concorde con le risultanze investigative svolte dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Matera sotto la direzione e il coordinamento del Procuratore Capo della DDA di Potenza Dr. Giovanni Colangelo e Sostituto Procuratore della Repubblica della DDA di Potenza Dr. Francesco Basentini, che avevano avanzato richiesta di misura cautelare.
Proprio l’esponenziale fenomeno dell’impiego della manodopera per lavori agricoli di cittadini stranieri ed extracomunitari, nonché quello del caporalato nell’area metapontina, induceva i Carabinieri di Matera, ad intraprendere una mirata attività investigativa, diretta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Potenza, che si concludeva con l’individuazione degli arrestati.
Tra gli arrestati risultano due donne, queste figure di spicco in seno all’organizzazione debellata. Le stesse favorite dalla loro nazionalità e la conseguente conoscenza della lingua reclutavano, in territorio rumeno, manodopera agricola da impegnare, successivamente, in territorio italiano presso le aziende agricole di proprietà dei fratelli imprenditori di Montescaglioso configurando, in tal modo, la trans-nazionalità del reato in ambito europeo. Le donne, per la loro intermediazione, pretendevano altresì una somma di denaro. Il “Bel Paese” dalle citate donne veniva propagandato come la “terra promessa” in cui realizzare l‘affrancamento da una vita di stenti e di povertà che cominciava con la promessa di una retribuzione onesta, passando poi per l’anticipo del biglietto per il viaggio e la sistemazione logistica con vitto e alloggio.
Il sogno si infrangeva all’arrivo in Italia con il ritiro ingannevole dei documenti di identificazione e/o passaporti per poi essere definitivamente alienato con le continue e quotidiane vessazioni e mortificazioni personali.
Il sodalizio attuava il proposito criminoso con modalità di “ingaggio”, attraenti ed ingannevoli e che hanno rappresentato solo il pretesto per far sì che le vittime fossero sottomesse alla volontà e agli interessi degli indagati. Offerte consistenti nella sola promessa di retribuzione della misera somma di Euro 3/00 l’ ora, che, in realtà, così come accertato, non veniva poi mai retribuita. Infatti, le vittime giunte in Italia, dopo essere stati privati dei propri documenti di identità, erano costrette a lavorare tutti i giorni, dall’alba al tramonto, senza un’effettiva paga, poiché dovevano saldare il debito delle spese di viaggio, nonché esosi e sproporzionati contributi pro-capite, per il consumo delle utenze domestiche e degli alimenti, non raggiungendo mai il desiderato obiettivo.
L’illecito impossessamento dei documenti da parte degli indagati ha rappresentato, in relazione alle condizioni ambientali delle vittime (necessità economiche, status di straniero, difficoltà comunicative etc), alla personalità prepotente dei rubricati, alla consapevolezza della materiale indisponibilità di denaro da parte di questi, l’elemento essenziale del reato di estorsione, tanto da rendere impossibile di permettere, alle vittime, di adire ad un nuovo rapporto di lavoro. Ciò poiché, per la relativa nuova assunzione, sarebbe stato necessario l’esibizione appunto di documenti di identità, diversamente non possibile.
Le pessime condizioni alloggiative e di vita inducevano gli operai rumeni a prestazioni lavorative tipiche delle forme di servitù, in quanto doppie nell’orario a quelle ordinariamente previste dalla legge, non regolarmente pagate, senza alcuna forma di riposo e soprattutto senza quei minimi requisiti di sopravvivenza – cibo necessario, pulizia personale, congruo periodo di riposo, tale da permettere un recupero di energie lavorative, aggravate dalle condizioni climatiche di caldo torrido, presente nel periodo oggetto d’indagine.
L’alimentazione era alquanto povera e carente, tenuto conto dell’usurante tipologia di lavoro svolto, poiché basata solo sul consumo di pane, qualche uova, wurstel e frutta. Così come era limitata la disponibilità di acqua durante le ore di lavoro anche durante le giornate di caldo torrido.
La spesa per l’acquisto o la fornitura di tali generi alimentari era decurtata, in maniera sproporzionata, dalla inesistente paga giornaliera.
Le presunte ore lavorative venivano riportate, su un registro per il conteggio finale, ore lavorative inferiori a quelle effettivamente prestate, mentre le condizioni igienico – sanitarie dell’ambiente in cui le vittime erano costrette ad alloggiare erano pessime e disumane e la dimora era infestata dalla presenza di ratti ed insetti di ogni genere. I locali ricadevano in aperta campagna, in luogo distante dal centro abitato, in località S.Marco agro di Bernalda in un terreno di proprietà dei fratelli imprenditori.
L’attività investigativa svolta dai Carabinieri, per oltre 8 mesi, è consistita, oltre a specifica “attività tecnica” in mirati e molteplici servizi di pedinamenti e osservazione presso le proprietà terriere dei DICHIO, luoghi dove le vittime venivano accompagnate ed avviate al lavoro fin dalle prime ore della giornata. In alcune circostanze i militari hanno proceduto, a riscontro di quanto contestato nei capi di imputazione, al fermo e al controllo di mezzi, provenienti dalla Romania, che trasportavano operai rumeni diretti proprio presso l’azienda agricola dei fratelli DICHIO.
La meticolosa opera investigativa svolta dai Carabinieri di Matera permetteva di raccogliere oltre 10 denunce da parte delle vittime, tra cui alcune giovane ragazze sempre di nazionalità rumena, durante una fuga dal casolare, suffragando tali atti l’attività tecnica svolta consistente in numerose operazioni di intercettazioni anche di colloqui in lingua rumena, servizi di appostamento e pedinamento nonché riscontri vari interpellando gli uffici preposti dell’Interpool.
Proprio per la trans-nazionalità dei reati ha indotto i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Matera di interessare l’Interpool al fine di giungere alla individuazione di alcuni personaggi romeni, con cui gli indagati avevano contatti in terra rumena votati a reclutare i giovani operai.
I Carabinieri hanno altresì accertato, in una circostanza, che i fratelli Di Chio ed altri, armati di bastoni e mazze da baseball, avevano eseguito una vera e propria “spedizione punitiva” contro alcune vittime. Alcune di queste sono state costrette, successivamente, alle cure dei sanitari dell’ospedale di Matera. L’azione scaturiva dall’insurrezione dei lavoratori romeni che, stanchi di sottostare ai soprusi e alle insostenibili condizioni lavorative e di vita, avevano preteso la lecita retribuzione e manifestato la volontà di abbandonare il luogo di lavoro. Così come hanno potuto verificare che tra gli operai vi era anche un minore.
Il Gip, sempre su richiesta dei Pubblici Ministeri della DDA di Potenza, ha disposto altresì il sequestro preventivo di beni, consistenti in una proprietà terriera dell’azienda agricola facente capo agi fratelli imprenditori di Montescaglioso, per un valore equivalente alla paga spettante ai lavoratori e mai retribuita.