Sabato 12 maggio 2012, alle ore 18, nelle Sale della Caccia destinate dal MUSMA alle esposizioni temporanee, si inaugura la mostra “Fausto Melotti nel ritratto degli amici”, una singolare esposizione che accoglie 30 sculture, 45 disegni, 10 ceramiche, 50 opere grafiche, 12 libri d’artista, oltre a immagini e documenti dal 1928 al 1985, dalle collezioni di quattro amici: l’editore e critico d’arte Vanni Scheiwiller, il pittore-poeta Toti Scialoja e sua moglie, la scrittrice-critico d’arte Gabriella Drudi, lo storico dell’arte con grandi curiosità per l’editoria, Giuseppe Appella.
La mostra rilegge la vita di Fausto Melotti (Rovereto, 1901 – Milano, 1986), raccontando l’arte a Milano e a Roma nella seconda metà del secolo appena trascorso, attraverso l’omaggio di quattro amici che hanno visto segnare la loro esistenza dalla grazia, dall’intelligenza, dal rigore di un artista irripetibile e autentico, che scriveva la propria vita con i doni, spesso personalizzati, che compongono la mostra. Ne emerge una costante frequentazione, uno scambio generazionale che copre quasi tutto il secolo, una assoluta fedeltà nata dalla convinta considerazione di un lavoro unico nel panorama artistico italiano, un intreccio di incontri, passeggiate, cene, viaggi, libri realizzati e da realizzare, mostre, che coinvolgevano Consagra e Calvino, Andrea Cascella e De Libero, Rotella e Sinisgalli, Carlo Belli e De Chirico, Magnani e Raboni, Perilli e Dorazio, Rotella e Franchina, Gatto e Cattafi, Zavattini e Ortega, Bernari e Pierro, Cetrangolo e Assadour, Carla Lonzi e Carla Accardi, Savelli e Penna, Alina Kalczyńska e Giulia Napoleone, Paolo Mauri e Gianluigi Melega, Pizzuto e Giovanola, Pugliese Carratelli e Strazza, D’Arrigo e Sciascia, Maccari e Turcato, Marisa Volpi e Balestra, Bonaviri e Ciarrocchi, Fazzini e Gentilini, Bram van Velde e Messagier.
Vanni Scheiwiller (Milano, 1934 – 1999) eredita Melotti dal padre Giovanni nel momento in cui, appena diciassettenne, subentra nella conduzione della casa editrice “all’insegna del pesce d’oro” che, nel 1944, aveva pubblicato il primo volumetto di Fausto: Il triste Minotauro. Negli anni che verranno, anche in ricordo di nonno Wildt, maestro di Melotti e di Fontana, non ci sarà momento importante della vita di Fausto, anche quelli dell’oblio, e della vita di Vanni, anche quelli delle difficoltà, che non venga rammemorato da una piccola incisione, da un disegno, da una cartella, da una poesia, da un libro che va ad occupare, con rinnovata distinzione, una ben precisa casella nelle collane della casa editrice, prima fra tutte “Arte Moderna Italiana”. È congiunta, inoltre, l’avversione allo sviluppo oratorio dei temi, arte o letteratura che sia, e l’adesione alla semplicità di mezzi espressivi ridotti all’indispensabile. Le sculture-poema, dai volumi senza materia e senza peso, in sintonia con la luce e con l’aria, sono una metafora dei suoi libri. L’ultimo dono di Melotti, quasi volesse sintetizzare questi pensieri rinnovati dall’incontro di Vanni con Alina, fu la bomboniera per il loro matrimonio: un sottile filo di metallo traccia le iniziali degli sposi nello spazio. Non più il VS lasciato sui cartoncini gialli per trent’anni ma il VA che segna l’inizio di una nuova stagione, anche dei libri.
La coppia Toti Scialoja (Roma, 1914 – 1998) – Gabriella Drudi (Venezia, 1922 – Roma, 1998), il primo nell’immediato dopoguerra, la seconda in occasione di una mostra alla Galleria Il Segno, conquista Melotti per l’intelligenza nella lettura dell’opera d’arte, per il gusto della solitudine operosa, per l’ironia sottile che riempie le serate romane e si fonde in una cultura che rivaluta l’importanza della leggerezza, propria delle sculture che riempiono gli studi di via Leopardi a Milano, prima, di via Margutta a Roma, poi, o delle poesie che si scambiano l’un l’altro come lettere di reciproca stima. Quali e quante discussioni animano gli incontri a tre con Calvino o la preparazione di un saggio di Gabriella, Melotti fedele al fantasma, che Fausto considera le pagine più intelligenti scritte sul suo lavoro, gridando poi al capolavoro e preparando una scultura ad hoc all’uscita, presso Einaudi, del romanzo Beatrice C. Insieme, fanno delle precise scelte poetiche, condivise dagli altri due amici: Petrarca e Leopardi, due coordinate della lirica ove parola e sillaba sono sempre raggruppate secondo un ordine. Melotti dirà: “Tutte le sere prima di andare a letto, leggo un sonetto del Petrarca. Ritrovo in lui tutta la meraviglia del ritmo, la perfezione della poesia. Pagina scritta e scultura sono sorelle. Se c’è qualcosa di buono nella mia scultura è che sarà poetica, se c’è qualcosa di buono nelle mie poesie è perché dicono con le parole ciò che non si può tradurre nelle tre dimensioni”.
Giuseppe Appella (Castronuovo Sant’Andrea, PZ, 1939), attraverso Carlo Belli (Rovereto, 1903 – Roma, 1991), cugino di Melotti, fin dalla prima metà degli anni Sessanta, è il tramite della mediterraneità che alberga nel lavoro dei due roveretani, e che aveva portato Belli a interessarsi di archeologia, distogliendolo – sottolineava Melotti – dalla moderna cultura europea, dalle avanguardie, dal clima della Galleria del Milione, da libri-guida come KN. Pronto, tuttavia, a riconoscere la grande qualità di scrittura di Passeggiate in Magna Grecia o de Il cielo nei templi, che solleciterà tutt’e tre a lunghi viaggi nel Sud, Sicilia compresa, alla scultura Jonio (1963), a ceramiche travasate da una collezione all’altra, a libri che ripercorrono l’apprendistato a Parigi nel 1937 o la lunga sosta a La Sarraz per l’omonimo premio, la nascita dell’astrattismo, le poesie raccolte sotto il titolo La melagrana aperta, o a mostre che vedono Melotti esporre il suo lavoro per un intero anno o dell’intera vita. Matera 1987, l’antologica considerata la più bella mostra del mondo, nasce a Roma, i quattro amici insieme, in via Mario de’ Fiori, tra l’ottobre del 1982 e l’ottobre del 1983, sui racconti del melograno fiorito sulla terrazza di San Nicola dei Greci e del profumo delle ginestre sulla Gravina. Melotti, scomparso il 22 giugno 1986, non riuscì a vederla, ma bastò il pianto di Lina, sua moglie, per creare nello spazio delle due chiese, “lì dove le idee passeggiano nude”, quello “stato d’animo angelico” che connota l’arte del grande roveretano.
La mostra “Fausto Melotti nel ritratto degli amici” sarà visitabile sino al 7 luglio 2012, insieme ai 14 dipinti dell’inedita Via Crucis (1957 – 1967) presentata negli ipogei del MUSMA in occasione delle festività pasquali.
In controcanto, nella Saletta della Grafica, sarà esposto un poema di Jean Arp, Vers le blanc infini del 1960, illustrato con le sue incisioni originali per un libro d’artista caro a Melotti.
La fotogallery della mostra “Fausto Melotti nel ritratto degli amici”