L’artista materano Andrea Francolino protagonista nella mostra “The masks we wear” che sarà inaugurata presso Arteco Gallery il prossimo 6 settembre a Londra.
La galleria Londinese Arteco Gallery apre la stagione con gli artisti Andrea Francolino, Bongsu Park, Daniel Bragin, Daniel Woordford, Hai Huang, Lian Zhang, Manuel Felisi, Marco Querin, Rachel Bullock, Tisna Westerhof, Tom Butler and here a piece by Bouke de Vries.
A festeggiare l’inizio in autunno della stagione artistica di Londra con in testa Frieze, Kristin Hjellegjerde /Arteco Gallery London presenta una collettiva di 12 artisti contemporanei dal titolo: “The masks we wear” in programma dal 6 settembre al 5 ottobre 2013. La mostra ospiterà diversi lavori di talenti emergenti analizzando i vari modi in cui ci si maschera e ci si nasconde.
L’evento nasce intorno alle opere eccentriche di Andrea Francolino, che unisce corpi di chiunque si presti, ai volti di dittatori, leader mondiali e della storia. Il lavoro di Francolino “è all’impatto divertente è politicamente intrigante”, dice il fondatore della galleria Kristin Hjellegjerde. Da queste sue opere ho cominciato a pensare quali artisti e quali opere avrei potuto accostare, ho chiesto a Tom Butler cosa ne pensava, dato che il suo lavoro è così differente da quello di Francolino, e lui ha esclamato : “The masks we wear” ed ha subito accettato. La raccolta delle varie opere, molte pensate appositamente per la mostra, “risultano molto diverse tra di loro e molteplici sono le tecniche espressive, dalla pittura all’installazione, con le quali gli artisti esplorano i vari modi in cui ci mascheriamo.
La curatrice, Hjellegjerde ha favorito libere interpretazioni sul tema, per consentire agli artisti di esprimere liberamente le loro opinioni su identità, politica, storia, religione, amore, moda…Alcune opere di Francolino Butler, fanno chiaro riferimento al titolo della mostra. Altri capovolgono l’immaginario culturale e religioso, esplorando i tanti modi in cui ci si maschera attraverso le nostre convinzioni e le nostre abitudini. Questo è evidente nel lavoro di Daniel Bragin, che mescola simboli religiosi con icone di ricchezza.
Altre opere, come ad esempio una spettacolare scultura di una colomba nera con la criniera di un leone che porta un cuore di Daniel Wodford, presentano un approccio più ampio – come in questo caso la forza della natura.
Mentre, artisti come Bongsu Park e Marco Querin utilizzano la figura femminile come punto di partenza. Per questi ultimi, la censura e l’oscurato sono esplorati attraverso la cultura burqa. “Penso che sia la nudità sia il burqa sono due modi diversi di nascondersi. ” Hjellegjerde spiega. «come una donna può usare il suo corpo per sopravvivere, mettendolo in mostra e mantenendo il suo vero sé nascosto, così per un’altra donna un atto di mascheramento può avvenire con lo nascondersi dietro il burqa.
Manuel Felisi presenta inquietanti teste di bambola di ceramica di grande effetto, come fossero facce vuote e surgelate. ” La ceramica può simboleggiare vulnerabilità, qualcosa che può rompersi facilmente, eppure, se curata adeguatamente, dura a lungo”, dice Hjellegjerde. Per Bouke de Vries, la maschera si appoggia come un semplice pezzo di stoffa nera che oscura le guance di porcellana di una testa di bambola. Nel lavoro di Felisi, il cappotto delle donne pende sotto le teste dei manichini con acconciature diverse. “Come ci vestiamo e come portiamo i nostri capelli ci identifica rapidamente”.
Nelle opere di Tisna Westerhof, la tecnica mista contrappone la sua infanzia sicura con il futuro più insicuro dei suoi bambini che crescono a Londra.
Un disegno a matita di Rachel Bullock presenta una forma che è parte donna e parte paesaggio. Trecce di capelli oscurano la faccia come una cascata su parti rocciose, tutto apparentemente sospeso nel buio della notte. Mentre con una vasta gamma di colori, Hai Huang presenta figure simili a quelle che si trovano in una festa cinese.
Con questi artisti si vuole rappresentare qualcosa di curioso, un viaggio alla scoperta di sé nel quale cercano di “tirare fuori quelle maschere per scoprire la verità – Come ti vedono gli altri, e, soprattutto, come ognuno di noi si vede “Chiede Hjellegjerde. “Che si tratti di svago e divertimento, spinto da vanità o dipendenza, auto-imposta o costretta su di noi – politicamente o socialmente -. Siamo noi stessi che creiamo le maschere che indossiamo”