Si chiama “Dimore del Mito” la personale di Girolamo Ciulla, artista siciliano originario di Caltanissetta che dagli anni Ottanta si è trasferito in Toscana, per affermare la sua vocazione per l’arte a Pietrasanta. Le opere sono state presentate in mattinata nel corso di una conferenza stampa nelle chiese rupestri di Madonna delle Virtù e San Nicola dei Greci, in via Madonna delle Virtù nei rioni Sassi di Matera per la la 31^ edizione delle “Grandi Mostre nei Sassi”, storica rassegna di scultura contemporanea organizzata dal Circolo La Scaletta e in programma l 29 giugno al 14 ottobre 2018.
All’incontro con i giornalisti hanno partecipato l’artista Girolamo Ciulla, la curatrice della mostra, Beatrice Buscaroli, lo storico dell’arte Edoardo Delle Donne, il presidente del Circolo La Scaletta, Francesco Vizziello, la dirigente dell’ufficio sistemi culturali della Regione Basilicata, Patrizia Minardi, il segretario generale della Fondazione Matera-Basilicata 2019, Giovanni Oliva.
L’artista racconta come e quando è nata l’idea di realizzare questa personale a Matera per le Grandi mostre nei Sassi: “E’ partita un anno fa questa operarazione. Il sogno del Circolo La Scaletta era di installare una mostra sul Mito. Hanno visto che le mie opere andavano bene e mi hanno scelto. Se loro vogliono continuare a fare mostre in questi luoghi non devono mettere pezzi grandi fuori ma giocare molto sul minimale. Credo che questa mostra faccia emergere anche un legame tra Matera e la mia città d’origine, Caltanissetta, perchè c’è anche un riferimento alla Dea Cerere. Non è così facile nè spiegare il Mito e neanche farlo. Sono felice di una cosa: che i mie pezzi sembrano che fossero già inseriti in queste chiese rupestri.
Dal sud al centro nord per coltivare la sua passione, come è andata? “A Caltanissetta non era possibile lavorare per l’arte e mi sono trasferito in Toscana. Ho avuto la fortuna di incontrare Tiziano Forni della galleria di Bologna e negli anni Ottanta è partita la mia carriera”.
E’ la prima volta che viene a Matera? “No, sono venuto quasi 35 anni fa, sono venuto da c… perchè non capivo assolutamente la bellezza di Matera. E sto vedendo che Matera è una città stupenda se parliamo dell’antico ma quello che fanno adesso assomiglia all’antico, bisogna distinguersi secondo me”.
Michele Capolupo
Nel consueto scenario delle chiese rupestri sarà possibile scoprire quaranta opere in travertino e bronzo dello scultore di origine siciliana, che vive e lavora a Pietrasanta, in provincia di Lucca. Un viaggio nel mito, tra divinità classiche e simboli della cultura mediterranea, che l’artista reinterpreta in modo autentico, mescolando suggestioni antiche al contemporaneo.
La cerimonia inaugurale della mostra si terrà venerdì 29 giugno 2018 alle 18.30 presso la chiesa rupestre “Madonna delle Virtù”.
L’iniziativa, organizzata dal Circolo La Scaletta, ha il patrocinio di Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dei Beni e delle Attività culturali, Regione Basilicata, Agenzia di Promozione Territoriale di Basilicata, Provincia di Matera, Comune di Matera, Fondazione Matera-Basilicata 2019, Università degli studi della Basilicata e Fondazione Zétema, Matera.
Il percorso espositivo comprende anche la mostra dei disegni preparatori, che sarà possibile ammirare a Palazzo Bronzini, sede del Circolo “La Scaletta”, in via Sette Dolori, 10.
Scultore unico nel panorama italiano, per le tematiche e la qualità tecnica della sua opera, Ciulla nasce a Caltanissetta nel 1952. Inizia ad esporre giovanissimo, partecipando a fiere d’arte italiane e internazionali e a collaborare con gallerie di rilievo, tra cui la Galleria Forni di Bologna, dalla quale provengono alcune delle opere presenti in mostra. Nel1988 si trasferisce a Pietrasanta (Lucca), “alle sorgenti del marmo”, dove attualmente vive e lavora, diventando uno dei protagonisti della scultura contemporanea.
Per l’esposizione materana, a cura di Beatrice Buscaroli, sono state selezionate quaranta opere in travertino e bronzo, realizzate tra il 1986 e il 2018.
Un viaggio nel mito, tra divinità classiche e simboli della cultura mediterranea,che l’artista reinterpreta in modo autentico, mescolando suggestioni antiche al contemporaneo.
Il percorso espositivo comprende molteplici raffigurazioni di Demetra, deadelle messi, dalla chioma fluente, le Aurighe, poetica invenzione di ragazze che conducono i carri da guerra e l’originale serie delle Bigonce (recipienti usati nel secolo scorso per il trasporto dell’uva), che Ciulla immagina da supporto a volti del mondo classico. Èdedicata a Matera la pietra miliare recante l’indicazione della distanza tra la città natale dell’artista e la Capitale europea della cultura 2019, che rappresenta, invece, la cifra visionaria dello scultore, che non crede alle distanze ma piuttosto ai legami.
Infine a rendere ancora più coinvolgente la visione delle sculture, un corpus di quattordici disegni preparatori, esposti duranteil periodo della mostra nella sede del Circolo la Scaletta, in via Sette Dolori 10, che restituiscono, nella sua versione più genuina, il percorso creativo che sottende alla realizzazione di un’opera d’arte.
La mostra è accompagnata dal catalogo pubblicato da Silvana Editoriale e Edizioni Magister.
L’iniziativa ha ilpatrocinio di: Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dei Beni e delle Attività culturali, Regione Basilicata, Agenzia di Promozione Territoriale di Basilicata, Provincia di Matera, Comune di Matera, Università degli studi della Basilicata e Fondazione Zétema, Matera.
Main sponsor :Total E&P ITALIA S.p.A e Coop. Cave Heritage, Matera
Sostenitori: Consorzio per lo sviluppo industriale della provincia di Matera, Fondazione Matera- Basilicata 2019, le aziende materane Stella all in one, Frascella Emanuele s.r.l., CARUSO Servizi Assicurativi-Unipol Sai, HSH Informatica & Cultura, ed Ecowash, Pisticci (MT).
Orario mostra: Tutti i giorni:10-20
Ingresso: intero 5.00 euro- ridotto 3.50
Ridotto per studenti fino a 24 anni, over 70, disabili, soci FAI e Touring Club
Per informazioni Coop. Cave Heritage 377.4448885; info@caveheritage.it
Circolo “La Scaletta”
Lun-ven: 17-20
Ingresso libero
Per informazioni: 0835.336726;info@lascaletta.net
Note biografiche di Girolamo Ciulla
Girolamo Ciulla nasce a Caltanissetta nel 1952. Inizia ad esporre giovanissimo, nel 1970, invitato alla VII Rassegna d’Arte Contemporanea al Palazzo del Carmine nella sua città natale.
Dal 1987 comincia la collaborazione con Tiziano Forni, fondatore della Galleria Forni di Bologna, con cui espone anche in rassegne critiche dedicate alla scultura e nelle principali fiere d’arte italiane ed internazionali, quali ArteFiera di Bologna e MiArt di Milano. Allo stesso periodo risalgono le importanti personali presso la Galleria Gian Ferrari a Milano, e la Galleria Davico a Torino.
Decisiva, nel 1988, è l’esposizione alla Versiliana di Marina di Pietrasanta, che segna il suo definitivo trasferimento a Pietrasanta, “alle sorgenti del marmo”. Sorgenti della materia da lui prediletta che non si discostano dalla costante riflessione sull’origine dei miti mediterranei che costituiscono la cifra della sua indagine sulla complessità e sull’ambivalenza dell’immagine. Una laboriosa e seducente investigazione che lo ha portato ad essere uno dei protagonisti della scultura contemporanea, come è testimoniato dalla fittissima serie di esposizioni individuali e collettive che si sono succedute da oltre un trentennio. Così come dai suoi interventi in contesti urbani e monumentali, tra i quali a Caltanissetta le opere realizzate per la chiesa di San Pietro e i Coccodrilli per piazza Castagnola, la Grande Cerere per la ProSementi di Bologna; nonché gli interventi urbani presenti a Seul, Assuan e Malindi.
Le sue opere sono presenti in collezioni pubbliche a Caltanissetta, Marina di Pietrasanta, Pontedera, nonché in Egitto, Corea, Kenia, Provenza e in musei quali il Museo Omero di Ancona, il Museum di Bagheria, il Museo Oya (Giappone), la Galleria d’Arte Contemporanea della Fondazione Ragghianti di Lucca.
Hanno scritto di lui, tra gli altri: Alberto Agazzani, Franco Basile, Anna Caterina Bellati, Massimo Bertozzi, Arnaldo Romano Brizzi, Beatrice Buscaroli, Luciano Caprile, Lucio Cabutti, VladekCwalinski, Mario De Micheli, Valerio Dehò, Marco Di Capua, Giorgio Di Genova, Francesco Gallo, Mario Gerosa, Ferruccio Giromini, Marco Goldin, Daniela Grassellini, Sebastiano Grasso, Pietro Marani, Nicola Micieli, Marco Moretti, Marilena Pasquali, Alessandro Riva, Alessandro Romanini, Piercarlo Santini, Maurizio Sciaccaluga, Luigi Serravalli, Vittorio Sgarbi e Giorgio Soavi.
Il canto di Demetra
Vita e pensieri di Girolamo Ciulla da Caltanissetta
di Edoardo Delle Donne
“La bellezza, la bellezza nel suo significato più autentico, è per noi andata perduta.
Ma fu necessario perderla perché potessimo desiderarla e nuovamente riconquistarla.”
Il canto di Demetra
Vi fu un tempo, in cui il sole infranse ogni nuvola e investì di schegge di luce
la mia testa.
Apri il libro dei giorni e comincia a leggere.
Io sono Demetra figlia di Crono e madre di Kore, colei che ai mortali offre gioie
e conforto, e questo è il mio canto.
Per il grano che nasce nei campi assolati, la terra amorosa ha innalzato il volto dei papaveri e dei narcisi. Dove erba e fiori sbocciano ai miei piedi, rondini e passeri accompagnano
il mio volto.
La meridiana del sole incide il suo percorso sul mio seno, la sua luce riempie
di colore i miei occhi azzurri e rosso sangue.
La brezza dell’aria sulla mia schiena è come un’eco lontana di giunchi
che risuonano dalle acque.
Dai miei fianchi germoglia la verde linfa, annuncio di primavera.
Con le mani odorose di malva e miele, madri e figlie ricamano la mia veste su ali
di colombe. Mi recano doni i contadini mutati in principi che negli occhi hanno
il colore della terra, quasi verde, quasi gialla, che curva dolcemente al soffio del primo vento caldo.
Io sono Demetra e questo è il mio canto.
Sono io questo terra che canto.
Sono io il glorioso ondeggiare del grano.
La falce sottile della luna che la sera miete la spiga matura.
Il vento che prende la forma di un viso.
“Spesso mi capita d’immaginare la voce di Demetra sussurrare ancora
a chi non ascolta più.
D’immaginare un suo cercarmi quasi, per indicarmi il tempo giusto e l’arte,
l’attimo, la sapienza del gesto e l’incalzare del pensiero.
Rivelarmi come talvolta in certe notti si possano vedere la luna ed il sole
insieme.”
Vita e pensieri di Girolamo Ciulla da Caltanissetta
“Io scolpisco come chi si china sul corpo che ama”
In Girolamo Ciulla tutto sembra testimoniare che era nato per essere scultore. Nella sua più attiva natura soggettiva egli possiede quell’inclinazione all’universalità che diviene serena contemplazione, completezza ed assoluta determinazione della coscienza con cui uno scultore guarda alla totalità.
Lo spirito artistico, vivace e versatile del suo popolo, il clima ardente e la natura rigogliosa della Sicilia si esprimono in lui e per lui in modo sensibile ed eloquente.
Nato a Caltanissetta nel 1952, autodidatta e romantico, cerca nel mito e nel culto del passato la forma estetica delle sue idee.
“La Grecia fu tra i miei primi amori. Sin dalla giovinezza avrei voluto più che altrove, viaggiare per le coste della Ionia o dell’Attica, tra le assolate isole dell’Arcipelago.
Restare lì, in quel tempio sacro della giovinezza dell’uomo.
Ma a questo primo amore io devo soprattutto la ricerca e la conquista della mia unica certezza interiore: l’originalità.
L’originalità significò per me, novità(sebbene considerassi l’antico sempre come il bene più caro…), ma anche interiorità, profondità dell’animo e dello spirito.”
Le sue prime esposizioni risalgono al 1970 quando partecipa alla “VII Rassegna d’Arte Contemporanea” presso il Palazzo del Carmine della sua città natale.
Nel 1987 comincia un’intensa attività espositiva a livello nazionale
ed una proficua collaborazione (un vivace dialogo tra uomini d’arte coltivato nel tempo
e mai interrotto) con Tiziano Forni, fondatore della Galleria Forni di Bologna, partecipando a varie rassegne critiche ed alle principali fiere d’arte italiane ed internazionali.
È il 1988 quando viene invitato ad esporre alla “Versiliana” di Marina di Pietrasanta.
Sarà l’anno in cui lascerà l’amata Sicilia per trasferirsi a Pietrasanta, tra i bianchi paesaggi
di marmo, e dedicare ogni attimo della sua esistenza alla scultura.
“ Scolpire è come chiudere gli occhi senza chiuderli, per muovere la mano e seguirne il suo corso perpetuo, per sentirsi vivi” confiderà poi, a chi gli chiederà della sua arte.
Una lunga stagione di esposizioni in Italia ed all’estero (e la collocazione di grandi opere in prestigiosi luoghi pubblici) consoliderà presto la sua notorietà.
Immersa nell’immobilità della materia, la sua scultura appartiene all’eterno.
L’avvolge quella polvere assoggettata ai detriti dei vecchi mondi passati. Una polvere, che nella sua eternità convulsa, contiene l’arcana forza che conduce a ciò
che è, ed a ciò che è stato.
“ Io geometricamente penso uguali sia il grande che il piccolo,
perché, essendo,
hanno una uguale rilevanza.
Esistendo, i volumi non hanno proporzioni, non si misurano per le dimensioni,
contano solo perché totali, anche se sono sfericamente diseguali.”
Per Girolamo Ciulla tra scultura, ambiente ed uomo era esistito da sempre come un rapporto di vasi comunicanti:
“La scultura non significa niente per me se non permette agli uomini di avvicinarsi e di conoscersi, e lo scultore deve in tal senso, possedere un’attitudine estetica pari a quella del poeta, per conferire alla scultura una dignità superiore, e ridefinirla per quale essa era sin dalle origini: educatrice dell’umanità…”
Se il mito dell’antico rimane la stella fissa puntata sull’arte ,se il passato non può essere più recuperato con la memoria e non è più progetto per il futuro, allora toccherà all’artista recuperarne ed esaltarne il valore, poiché (come sostenevano i Greci) la vita attinge dall’arte non soltanto spiritualità, profondità di pensiero e di sentimento, moti e tumulti dell’anima, ma pure forme, dignità e grazia.
Giunti a Matera, qui vi si legge su ogni sasso:
“Nutri la scultura della terra e della roccia che hai,
tutto il resto, scava sul posto per trovarlo…”
Su un’opera dedicata alla città di Matera
-Pietra miliare recante distanza tra Caltanissetta- Matera in km 593- travertino
“Da giovane mi affascinavano le pietre miliari dimenticate ai bordi delle strade, abbandonate alla crescita delle stagioni e della linfa che aveva distorto le lettere
e i numeri fino a perderle in un labirinto di erbe e terra bagnata, inghiottite poi
dai mulinelli di sterpaglia.
Le immaginavo come busti eretti, colonne di memoria, colli febbrili.
Calcolavo a mio modo, la distanza tra un luogo e l’altro in desideri, in quel che resta
da percorrere tra un desiderio e l’altro.
Tra la mia città natale e Matera dai cieli profondi vi sono 593 km di distanza,
ma è solo un orizzonte. E non divide.”
Dimore degli Dei – Beatrice Buscaroli
“Vieni allo studio?” È la cosa e la richiesta più personale che Ciulla possa farti. Perché nel suo studio egli è il principe di questo popolo di figure femminili, l’architetto di questi templi, il padrone di questi campi di grano e il pastore di queste capre e il guardiano di queste brutte bestie che ha creato: se non gli vai a genio, come che sia, in un attimo può insufflare la vita in un coccodrillo e scatenartelo contro, come Paul Valéry fece dire a Socrate circa il modo di Eupalinos nel creare le sue opere: è il modo stesso di Dio. Allora in questo desolato cortile di Pietrasanta dove campeggia e vive (non è dato di sapere in base a quale sortilegio) un fico centenario, il grande coccodrillo di Ciulla sembra alla fine prendere vita.
Pietro C. Marani
C’era una volta. Di solito comincia così la narrazione di una favola. Di solito il tempo del mito ha a che vedere proprio con quel “tempo” che sembra non avere confini, che non sembra misurabile, che è distante non tanto dall’oggi, ma piuttosto dal nostro modo attuale di misurare il tempo. Il mito si dispone in un tempo altro. Tutto qui. Se cerchiamo di interpretarlo con gli strumenti che la razionalità ci consegna, esso si eclissa; si nasconde; rifiuta di parlarci.
Il problema è dunque: come avvicinarsi ad esso? Come interrogarlo? Come far sì che le sue molteplici evocazioni simboliche non si riducano nel tentativo di tradurle in segni inequivocabili? Come evitare di ricondurlo alla “convocazione” del segno?
Girolamo Ciulla opera da decenni su questo crinale incerto, ambiguo, sdrucciolevole. Ma al tempo stesso fascinoso: come una scultura, come un gesto plastico, può rendere evidente i tratti anfibi del mito? Come impedire che un’opera, in sé conchiusa, possa mantenere la forza di “collaborare” con il mito senza volerlo decifrare? Come progettare un segno che non si presenti come esplicazione-riduzione di qualche cosa che intimamente non vuol essere “detto” per intero.
Sia chiaro, il mito non è l’enigma. Volendo, si potrebbe piuttosto dire che il mito genera enigmi. O, forse, li crea per proteggersi.
Ciulla è un creatore di enigmi, perché al mito si avvicina ed è consapevole che solo in questo modo può rappresentarne le movenze. Le sue opere, soprattutto quelle più recenti, sembrano confermare questa ipotesi. I frasari del mito, con i suoi ideogrammi, dal coccodrillo alla lepre, dal gufo alla barca, da Cerere alle innumerevoli presenze del Tempio
(citato, nascosto, innalzato quasi a simulare una “meteora”, un oggetto che si dispone tra il cielo e la terra), sono composti a definire una ricognizione che si dispone sempre tra affermazione del linguaggio simbolico e ambivalenze della sua concettualizzazione.
Il gioco, l’enigma, sta sempre nella complessità delle relazioni, nella fluttuazione, che si manifesta tra eccedenza semantica del mito e indicazione, convocazione del significato, del segno che lo rappresenta.
Certo non è semplice, né scontato, evitare che l’opera si traduca in una resa crepuscolare nei confronti delle potenze che il mito vuole preservare. Ma la sfida di Ciulla è proprio questa: generare una “scultura” in cui l’identità del segno conviva con la differenza che l’ordine simbolico del mito esalta. Generare dunque un’opera che sia in grado di sottolineare lo scarto tra identità e differenza e, all’interno di quel solco, di quella soluzione di continuità, far esplodere una ricca zona di silenzio, uno stupore sensibile, dove i miti mediterranei possano tornare a raccontare, nel loro equilibrio instabile, ma indifferente all’instabilità.
Per dirla con la grazia ironica di Giorgio Soavi, “A me sembra che, dei nostri grandi talenti di scultore quello di Ciulla, con tutte le sue invenzioni, sia quello legato alla ‘Storia’ così come l’abbiamo studiata a scuola. Un appaluso a Ciulla, dunque, per la regalità che dà a Cerere l’aspetto mitico che le sta come un vestito, proprio quello della ‘Storia’”.
Le sue figure totemiche hanno memoria di quelle narrazioni, le possono ancora ascoltare. Anche quando queste narrazioni producono ferite che nessuna citazione, che nessuna appropriazione può sanare. E forse qui risiede l’argomento, il tema caro all’errare mediterraneo di Ciulla: perché quelle ferite? Che cosa le ha provocate?
Il mito, ancora il mito, può rispondere con un altro enigma: nel Prometeo incatenato Eschilo ci parla della condanna che si avvia ad affrontare il padre nobile della Tecnica, “colui che ragiona con anticipo” e ha donato il fuoco agli uomini. Zeus domanda a Prometeo se sia più forte la Tecnica o la Necessità, e la risposta è “La tecnica è di gran lunga più debole della necessità che governa le leggi della natura”. La ferita deriva dal fatto che abbiamo dimenticato, lusingati dalla Tecnica, che la natura è sovrana, per quanto abbiamo tentato di trasformare il suo uso in usura.
La ferita risiede nel fatto che, come voleva Nietzsche, l’uomo è un “animale non ancora stabilizzato”, inadeguato ai radicali mutamenti che l’età della Tecnica impone; perché incapace di “pensarla”, di confrontarsi adeguatamente con essa. La nostra natura si modifica in base alle modalità del nostro “fare”, viviamo operando tecnicamente, ma la natura di quegli strumenti che pensiamo di poter dominare ci sfugge.
Non credo sia scontato che le opere di Ciulla si “ispirino al classico”, come è stato sostenuto, né che non siano mai struggenti o malinconiche. Il “classico” è un orizzonte sincretico dove religione, filosofia, etica individuale e collettiva, diritto e Stato, si confrontano e si conformano. Il “classico” di Ciulla è la dimensione insondabile del mito e la ricerca delle sue ampie potenzialità, che stanno alla radice stessa della produzione artistica. Le sue figure sono attonite, perché hanno udito ma non possono parlare; perché, nella loro misura, sanno di far parte di una mappa, ma non possono fornirci gli strumenti che ci permettano di salvarci. Ciulla adopera immagini e segni del “mito” con la sicura incoscienza con cui adopera gli strumenti della scultura. Li usa tutti, come faceva Michelangelo. Ciulla sembra averli talmente osservati, scrutati, perlustrati, misurati come facevano gli antichi, carte e numeri alla mano che è giunto al punto di possederli completamente. Ha una sorta di diritto su di loro.
Questo è il segreto dello scultore siciliano. Ciulla si permette di assemblare, cambiare misure e rapporti, accostare oggetti e animali di tutti i continenti e di tutti i significati, stralci di architetture o interi templi, uomini, donne, offerenti, uomini e cose che abitualmente non stanno o non possono stare insieme perché ne è padrone.
Non le ha studiate a scuola. Sono sue.
Girolamo rivendica continuamente il suo essere siciliano. E la “pietra miliare” che conduce da Caltanissetta a Matera ricordo anche delle opere della giovinezza è un chiaro segno che appare al principio della mostra, come a dire: “sono tornato”.
La particolarità dell’opera di Girolamo Ciulla sta in questo possedere un linguaggio, da una parte, ma anche una straordinaria tecnica, dall’altra. Usa prevalentemente il travertino siciliano ed è per questo che le sue opere sono già consunte dal tempo, sembra che ne abbiano subito danni e segni e quindi si proiettino naturalmente verso una sorta di contemporaneità data e negata, offerta e ritirata, in fondo lasciata come naturale opportunità allo spettatore che conosce o riconosce qualche immagine o significato in ciò che sta guardando, ma viene sorpreso dalla commistione, dalla lingua antichissima e quasi futura.
Alle volte le sue opere sembrano ruderi che affiorano da una sabbia di scavo, altre sembrano comparse di un futuro che accoglie il vecchio per travestirlo da nuovo.
“Il travertino da cui Ciulla estrae le sue composizioni non possiede infatti l’intangibile e aulica compattezza del marmo ma ci consegna piuttosto la corruttibilità della carne, la sua travagliata sofferenza, come se il tempo intendesse dimostrare il suo inarrestabile percorso non colpendo l’immagine in sé, ma minando le basi di una sostanziale concretezza da misurare con quella effimera dell’uomo”, potrebbe aggiungere Luciano Caprile. Da ciò, continua il critico, Ciulla conduce “un’ampia indagine soprattutto interiore alla ricerca di quei simboli arcaici che conservano un valore espressivo da rivolgere alla contemporaneità”.
Questo suo mondo, riconoscibile ma non reale, costruito come si è detto da assemblaggi apparentemente eterogenei che acquistano naturalezza e verità nel momento stesso in cui vengono costruiti porta alla sua opera la forza incessante e continua di un’onda antica che giunge dal cuore dell’universo minoico, cicladico, egiziano, anche prima forse.
Nella mostra allestita a Matera, il percorso mentale e reale di Ciulla si rivela con una chiarezza unica, nella sua decennale vicenda espositiva.
Cerere, che occupa uno spazio unico, sembra condurci attraverso il suo geniale rapporto con questa antichità feconda e rigeneratrice che nessuno potrà davvero spiegare a parole.
Quindi nascono le porte, dove il marmo è lavorato come fosse legno, e sembra riappropriarsi di un rapporto reale con la terra.
Il marmo, una volta lavorato con ossequio e scanalature regolari, come fosse davvero la porta di un altare senza tempo, si sfrangia e diventa irregolare, sfranto, scorretto, ritorna ad essere il legno che fu.
In principio.
Ma le colonne che formano piccoli tempietti, sono il suo gusto originario, quel che sembra un ossequio agli dei, tutti perduti. Forse.
Sono sormontati da volti, animali, stupende immagini femminili che rimembrano addirittura la scultura persiana, con quegli accenni d’azzurro che, di nuovo, pongono l’osservatore di fronte alle insidie del tempo. Ma Ciulla continua. E ritenta lo “stiacciato” che fu di Donatello, e sfiorato dai giovani geni del Cinquecento. Giunge a porre le sue teste sopra le “bigonce” come le definisce lui, con cui i contadini dell’Ottocento portavano il vino. E questa stupefacente serie di opere occupa proprio lo spazio anticamente adibito a quel compito.
È possibile che con il mito non si sia più capaci di dialogare, di interpretarlo. Allora il mito si occulta. Ma restano i suoi segni. Anche quando ci sembra di osservare solo un cumulo di macerie; resti dissepolti che ancora reggono gli insulti che il tempo e lo sciagurato ricorso degli uomini a costruzioni che mai potranno emularne la potenza.
Per quanto tempo?
Difficile prevederlo.
A fatica quei lasciti, quei “reperti”, ostinatamente paiono essere le fondamenta instabili e improprie di una falsa ragione con cui gli uomini hanno edificato le proprie avventurose conquiste, oltraggiando le dimore del mito.
Come se il fuoco che Prometeo donò agli uomini fosse stato impiegato per celebrare la nostra vanagloria e non, come scriveva Fausto Melotti, “la cittadella dell’arte, dove le idee passeggiano nude”.
Però, alla base delle sconfinate altezze dei grattacieli agrigentini che li oltraggiarono, nascono altri piccoli templi, semi di un domani, che nessuno può dire se sia un passato o una speranza di futuro, dove tutto riacquista dignità, storia e umana coscienza che la bellezza fu un dono.
Degli dei, o di un dio solo, paziente.
La fotogallery della conferenza stampa e della mostra (foto www.SassiLive.it)