Mercoledì 20 giugno 2018 alle ore 19.30, negli spazi della Galleria Studio D’Imperio, in piazza Vittorio Veneto 24, a Matera è in programma l’inaugurazione della mostra fotografica “Matera in cammino: fede e cultura” della fiorentina Cristina Garzone.
Si tratta della stessa mostra che è stata allestita, fino a qualche giorno fa, presso l’ex-ospedale San Rocco che, visti i consensi ottenuti, torna ad essere visitabile con ingresso libero dal lunedì al venerdì, dalle ore 20 alle 22, e il sabato e la domenica anche dalle ore 11 alle 13, fino al prossimo 1 luglio.
Anche in questa occasione, alla mostra dedicata al 2 luglio materano, sarà affiancato il reportage fotografico “Misticismo copto”, che la Garzone ha realizzato in Etiopia.
All’inaugurazione presso la Galleria D’Imperio parteciperà anche il presidente dell’associazione Maria Santissima della Bruna, Mimì Andrisani, che ha inserito l’evento tra quelli collaterali dell’edizione 2018 della Festa.
“Matera in cammino: fede e cultura” di Cristina Garzone
Una sola parola: dinamismo. È questo il sentimento che si avverte scorrendo le immagini di Cristina Garzone realizzate per la celebrazione della Festa di Maria SS della Bruna, patrona della città di Matera. La celebre fotografa, la cui bravura è giustamente riconosciuta a livello internazionale, ha voluto ritornare nella città natìa per raccontare con gli occhi del mondo la secolare solennità materana. Una festa secolare appunto, le cui origini affondano nei primi secoli del cristianesimo nel Mezzogiorno, e le cui caratteristiche peculiari si sono evolute con lo scorrere dei secoli, con il cambiare delle dominazioni, con l’evolversi della tecnologia, con il mutarsi delle abitudini sociali. Una sola cosa rimane invariata, la devozione a Maria Madre dell’Umanità, a quella Madre Celeste protettrice della cittadinanza, a cui lo scorrere dei secoli ha donato preghiere e speranze dei suoi figli, a quella Santissima Vergine che unisce tutto il mondo intorno alla Sua Protezione, e che nella millenaria Matera viene portata in trionfo dall’umanità stessa, rappresentanza dell’Universalità della fede che attraversa lo spazio ed il tempo della storia. È infatti evidenziata dall’altissima capacità espressiva dell’obbiettivo fotografico di Cristina Garzone la centralità della figura di Maria in ogni fase della celebrazione materana: nonostante i ritmi concitati che la tradizione impone, nonostante gli aspetti più colorati e rumorosi e affollati e travolgenti, la raffigurazione della Vergine Maria è soggetto fotografico, come anche oggetto reale dell’attenzione dei fedeli, che, nella estrema devozione, non mancano né di esuberanti momenti di folla entusiasta, né di discreti gesti intimi e preghiere sussurrate. La festa della Madonna della Bruna si esemplifica esattamente in questo: un mescolarsi di fede e folklore, una tradizione secolare inscindibile di contatto con la Divinità e di reverenza umana, una festa in cui sacro e profano si intrecciano e si alternano, rappresentazione perfetta della tendenza spirituale dell’uomo al trascendente e della sua profonda immanenza materiale. Momenti di folklore cedono il posto a solenni celebrazioni liturgiche, canti votivi e preghiere si accompagnano a cori festanti, ai gesti devozionali fanno seguito concitazioni travolgenti, alla semplicità dei pastori si sostituiscono le sfolgoranti armature bronzee dei cavalieri, ai mesti agnellini i fieri cavalli, al silenzio della preghiera intima si accompagnano i ruggiti della folla esultante che invade la piazza.
E’ la festa della contrapposizione ontologica umana, che esalta e commuove chiunque ne prenda parte. Attraverso la lettura fotografica che ne fa Cristina Garzone, si viene coinvolti dallo stesso fiume di gente che attraversa i vicoli antichi, si abbracciano i ragazzi che esultano all’esplosione della polvere da sparo, si accarezza dolcemente il volto del Bambino Gesù nello stesso dolce gesto di un bambino, si prega in silenzio al passaggio della Madonna trionfante sul suo Carro, avvolti dal candido mantello protettore, si attende lo “sfascio”, il momento culmine della festa, con pari trepidazione, si applaude e si canta; catturato dalla macchina fotografica, si vive il cammino secolare della fede racchiuso nelle espressioni di un giorno intramontabile.La festa dei materani, ma anche una festa dell’Umanità.
Daniela Plasmati
“Misticismo Copto” di Cristina Garzone
Si avverte un gran silenzio dentro di noi davanti a questa raccolta di fotografie rispecchianti in pieno l’attinenza al titolo. Misticismo: l’esperienza che impegna la vita interiore dell’uomo di fronte a una realtà misteriosa, senso di religiosità profonda per cui si aspira a una vita totalmente spirituale. Ecco, questo si vede rappresentato nell’opera dell’esperta reportagista forte conoscitrice, per sapersi compenetrare, di comportamenti specifici delle Genti che vivono alle latitudini da lei visitate. Silenzio e riflessione ispirano le foto facenti parte della silloge fatta di colori sereni, ferme posture di persone oranti, bagliori e ombre dei luoghi teatri delle riprese, lampi di folgorazione mistica sui volti intenti a letture, canti, interiorità private. Saper osservare prima dello scatto deve essere la dote del fotografo che ha in animo di rappresentare la massima interiorità dell’uomo, la sua preghiera e il suo trasalimento spirituale, l’Autrice ha dimostrato questa capacità per la rappresentazione essenziale con cui ha svolto la narrazione di quest’opera, ha dimostrato conoscenza delle situazioni cui sarebbe andata incontro e, quindi, l’adeguata preparazione ha fatto sì che il lavoro non potesse avere sbavature o inesattezze. Molti sono i simboli che figurano e ben collocati nella successione della sequenza fotografica, la Croce copta, detta pure Croce ansata, ricorre più volte nella sua sembianza di chiave, segno molto importante per quel Popolo che definisce quel simbolo: Chiave del Nilo, ma ancor più importante, Chiave della vita.
L’opera si apre con la visione di una chiesa ipogea, cioè scavata nella roccia, caratteristica dei templi della chiesa copta che, l’ultimo Negus, denominò Chiesa di Stato Tawahedo, il riferimento in lingua Ge’ez è “L’essere che si è fatto Uno”; è proprio in quell’interiorità della terra che gli Etiopi cercano di immedesimarsi in quell’Uno, di avvicinarsi al suo esempio ideale poggiando mani e volto a pareti non levigate o in presenza di sontuosi arazzi o pregiate rappresentazioni di ogni genere. La luce è comprensibilmente scarsa in quei luoghi in cui le difficoltà di ripresa sono molte, ma quel che è nato in quella lucentissima penombra, poi trasportato sulla carta fotografica, è di luce piena, per la giusta sistemazione delle poche cose rappresentate, o di molte alla rinfusa, in virtù di una dote di composizione fotografica operata con sapiente conoscenza dall’Autrice che ha saputo porre il tutto in un’unica omogenea luce, quella del suo progetto iniziale, l’idea centrale che l’ha spinta a questa realizzazione fotografica, progetto di buona fotografia contenente anche una grande partecipazione del “Bello fotografico”.
Carlo Ciappi