Dal 18 al 20 gennaio 2013 l’artista materano Mario Cresci terrà un workshop al Politecnico di Bari.
La fotografia sta per compiere i suoi centoottantasei anni e questa “creatura linguistica” dalle tante anime ha certamente segnato due secoli di storia non solo nell’ambito delle arti e dei media, ma in generale in quello ben più esteso della nostra sensorialitá e della percezione del mondo.
Ha soprattutto influenzato ciò che Peirce indicava come il “foglio mondo” della nostra esistenza cognitiva e quindi anche il nostro immaginario. Possiamo considerare questa lettura del mezzo fotografico, non solo come un medium legato esclusivamente alla visualità del reale quanto piuttosto alla complessità dei saperi umanistici e scientifici che con esso si sono relazionati e fortemente integrati e spesso sottovalutati da gran parte dell’ufficialità della fotografia italiana.
Una delle ragioni che più di altre hanno condizionato l’approfondimento del linguaggio fotografico è stata quella di aver affidato un valore prioritario e dogmatico al pensiero di un grande fotografo come Henri-Cartier Bresson che scrive nel 1952 nel suo libro ” Images à la Sauvette” le sue idee sulla fotografia. Lo strumento fotografico è “…un prolungamento del mio occhio” e il fotografo è colui che puó “prendere al vivo delle foto come dei delitti in flagrante…cogliere in una sola immagine l’essenziale di una scena che sta verificandosi”.
L’atto del vedere è quindi ridotto alla percezione del mondo che in senso idealistico, solo il fotografo è in grado di cogliere e tradurre in immagine composta e ben strutturata sul piano formale. Innanzitutto conta la forma che si ricava principalmente gettando un “colpo di sonda nel reale”, mentre ci si avvicina al soggetto “a passo di lupo”. Significativa a questo proposito una frase di Walter Benyamin che denuncia il pericolo che la fotografia puó correre quando diventa un medium in grado di trasformare i drammi dell’umanitá in immagini di spettacolo, ovvero quando è messa in condizioni di divulgare e di alterare le attribuzioni di senso al soggetto ripreso.
Quel linguaggio sarebbe stato difficile da governare senza etica e potremmo aggiungere senza riflessioni teoriche piú approfondite. Problema ancora oggi attuale ma poco dibattuto.
L’altra parte sottaciuta, l’altra faccia della luna della fotografia mi porta al 1972 a Milano, dove un grande fotografo italiano, Ugo Mulas considera la sua fotografia come un mezzo di comprensione e di avvicinamento al mondo dell’arte e agli artisti del suo tempo. Mulas non fotografa, ma sceglie l’oggetto del suo pensiero, si occulta come fotografo ma si rivela come artista, usa immagini fatte anche dagli altri, rompe il mito idealistico bressoniano e in antitesi con esso, decide di rivedere e di ripensare la fotografia partendo dal suo “grado zero”. Realizza così la serie delle Verifiche fotografiche e dedica la quarta a: “L’uso della fotografia“ pensando all’Archivio Alinari, dove in una doppia immagine di Vittorio Emanuele II, uno dei volti è stato ritoccato e il Re è come ringiovanito dall’abile intervento manuale del fotografo.
Infine queste brevi note dedicate ai partecipanti al mio workshop al Politecnico di Bari, conducono inevitabilmente a una serie di domande che indicano, da un lato ancora una volta, l’assenza di certezze teoriche nell’analisi della fotografia e dall’altro la richiesta di un suo diverso uso che non sia rivolto ad una sola dimensione del mezzo.
Per quali ragioni, ad esempio, la fotografia italiana nel mondo é conosciuta attraverso icone stereotipate come quelle legate al cibo al bel canto e alle opulente bellezze femminili del neorealismo italiano da decenni ambite da gallerie e collezionisti soprattutto americani?
Sotto lo scialle nero non c’è proprio nulla? Per quali ragioni le stesse identiche fotografie di reportage le rivediamo costantemente anno dopo anno e le immagini contemporanee hanno un sapore di altri tempi come se il mondo non fosse cambiato?
Perchè le stesse inquadrature, le stesse ottiche, i modi di vedere e le emozioni scorrono sotto i nostri sguardi come se le avessimo già viste?
Credo che oggi il senso della fotografia non debba essere delegato al solo mondo del fotoreportage perché esso è una delle tante parti costitutive del medium fotografico e dei suoi infiniti modi di scrittura. L’idealismo bressoniano ha cessato da alcuni decenni il suo ruolo e la sua funzione di produrre documenti a volte di splendida forma retinica, ma pur sempre documenti intesi come metafore di verità che si ripetono nel tempo sempre simili tra loro nella certificazione del reale.
Il mondo visibile, esiste al nostro sguardo come la realtà che viviamo e che siamo abituati a vivere ogni giorno come modus vivendi, “umani dallo sguardo orizzontale” e fiduciosi di ciò che vediamo, ma è anche vero che il visibile ha sempre con sé l’altra parte che non vediamo, che corrisponde al non visibile costituito dalla memoria del tempo e dalle nostre esperienze, idee, desideri e culture nel rapporto con gli altri. Gli altri ci aiutano come referenti a produrre immagini, ma soprattutto a pensare e a vedere ciò che normalmente non si vede nella realtà ma che esiste dentro di noi, nella nostra capacità di sentire e non solo di vedere il mondo.
Informazioni
L’obiettivo del Workshop che si svolgerà in soli tre giorni è quello di orientare l’interesse dei partecipanti alla ricerca interiore delle proprie attitudini rispetto al mezzo fotografico con particolare riferimento al rapporto tra la realtà visibile e la realtà non visibile.
Distaccarsi quindi dai consueti “generi fotografici” a mio parere desueti dopo decenni di reportage, di architettura e di vedutismo di tutti i generi che dagli anni Settanta ad oggi hanno cristallizzato molta della ricerca e della sperimentazione visiva in Italia.
Avvicinare quindi il senso retinico del “Fotografico” alle altre dimensioni sensoriali del nostro corpo, che non è fatto solo di sguardi anche quando utilizza il mezzo fotografico. In questa società che produce miliardi di immagini reali e virtuali, mi sembra inoltre importante non dimenticare la dimensione del fare, del costruire e del progettare idee e strategie per la percezione e la comunicazione di senso dell’immagine fotografica.
Saranno presentate ai partecipanti alcune tematiche e aree di intervento che in questi ultimi anni sono al centro delle attenzioni dei più interessanti giovani artisti – fotografi che operano non solo in Italia ma anche a livello internazionale (vedi ns. “Future Images”).
La ragione principale riguarda il problema della grande omologazione che è avvenuta in Italia dagli anni Ottanta ad oggi nella fotografia di architettura e di paesaggio. Omologazione che ha bloccato altre tematiche, emerse invece in altri paesi dovute e alimentate anche dalle scuole di fotografia, arte e multimedia che hanno formato intere generazioni di artisti-fotografi.
Spostare il senso della parola Fotografia a quello della parola Immagine e indicare
più spesso il binomio Immagine Fotografica piuttosto che perdersi nelle deboli argomentazioni tra l’analogico e il digitale, quando il problema di fondo è sempre quello del pensare e del vedere le immagini prima ancora di produrle; ne più ne meno di come avviene in tutti i processi creativi: dalla letteratura, alla musica e all’arte nella sua complessità.
Il luogo prescelto per tutti i partecipanti è l’area urbana del Politecnico in cui si concentrano le tematiche presentate all’inizio del Ws. Il Campus universitario è inoltre il luogo in cui si formano i giovani allo studio e alla ricerca, ed è soprattutto il luogo di aggregazione di culture multietniche umanistiche e scientifiche.
Il Politecnico è anche la metafora della città ideale, (nel bene e nel male) nel senso del pensiero e della trasmissione di conoscenza. E’ il luogo dell’umano, che attraverso i giovani, crea le ipotesi di un futuro nelle tensioni e nelle speranze che emergono nello studio delle varie discipline e dei vari saperi. In questo contesto, ogni partecipante potrà liberamente agire sulla base di un’idea iniziale discussa collegialmente in modo che ogni persona potrà sviluppare la propria tematica per poterla discutere insieme agli durante e al termine del Ws.
Per la parte tecnica si consiglia l’uso del digitale e del computer.
Al termine del Ws e sulla base dei risultati ottenuti è prevista la stampa di un libro formato dalle immagini e dagli eventuali testi relativi ai percorsi di progetto adottati dai partecipanti.
“ Nessuna cosa, nessun lato della cosa si mostra se non nascondendo
attivamente gli altri, denunciandone l’esistenza nell’atto di nasconderli.
Vedere è, per principio, vedere più di quanto si veda, accedere
a un essere di latenza. L’invisibile è il rilievo e la profondità del visibile,
e il visibile non comporta positività pura più dell’invisibile”.
Maurice Merleau-Ponty