Presentata in anteprima ai giornalisti la nuova edizione de Le Grandi Mostre nei Sassi”, dedicata quest’anno alle sculture di Pietro Guida. All’incontro, che si è svolto presso la terrazza di Madonna delle Virtù, hanno partecipato il sindaco di Matera Raffaello De Ruggieri, il presidente del Circolo La Scaletta Ivan Focaccia, il curatore della mostra Tommaso Scrinati,
lo scrittore e giornalista Raffaele Nigro, la docente Unibas Francesca Sogliani e i due figli dell’artista, Peppe e Luisa Guida.
Mercoledì 29 giugno 2016 alle ore 19 si inaugura a Matera, nelle chiese rupestri Madonna delle Virtù e San Nicola dei Greci, la XXIX edizione della rassegna di scultura contemporanea“Le Grandi Mostre nei Sassi”, organizzata dal Circolo La Scaletta, in collaborazione con la Soc. Coop. Cave Heritage – Arte, Cultura e Turismo.
L’iniziativa culturale, tra i consolidati appuntamenti della città, quest’annoospita la mostra personale di Pietro Guida.
“Racconto di un popolo di statue”è il titolo dell’esposizione composta da quarantuno sculture in cemento e gesso, realizzate tra il 1947 e il 2016. L’opera più recente, ispirata al mito di Pigmalione, viene esposta per la prima volta nella rassegna materana.
Pietro Guida, nato a S. Maria Capua Vetere ( Caserta), vive e lavora a Manduria (Taranto) dal 1949. Consegue il diploma di scultura nel 1947, in quegli anni aderisce al “Gruppo Sud”,diventando uno dei protagonisti di quella “primavera” napoletana, che si snoda attraverso eventi artisticie manifestazioni culturali.
Alla fine degli anni Cinquanta si afferma nel panorama artistico del dopoguerra. La sua produzione figurativa è esposta in importanti mostre personali e collettive, tra cui ricordiamo la partecipazione alla VII e VIII edizione della Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma e la personale nella prestigiosa “Galleria del Cavallino” di Venezia”.
Il lungo percorso artistico dello scultore, che ha attraversato l’intero Novecento, è caratterizzato da differenti momenti espressivi: dall’arte figurativa degli esordi(1950-1960) al periodo astratto- costruttivista (1960-1975), fino al ritorno ad una plastica figurativa, con una prima fase che indulge alla piacevolezza, andata perlopiù distrutta, fino alla produzione degli ultimi anni.
Lamostra, curata dal prof. Tommaso Strinati, comprende opere a tema mitologico come, “Apollo e Dafne”1996,“Il Minotauro e la fanciulla” 2005,“Leda e il cigno” 1997, “Il mito di Endimione”1999e “Orfeo e Euridice” 2007in abiti moderni. Nei suggestivi ambienti rupestri del Sasso Barisano il mito si fonde alla realtà, narrata, ad esempio, dalle opere “Al balcone”, “Borghesi” 2003,“Tenerezza”1994, “Amanti”1991, “Tango”2007 e “Rock’n’roll” 1995.
Il racconto di un’umanità immobile e palpitante, che esalta la bellezza e la sensualità femminile, con sculture come: “Donna in rosso”2015, “Frammento 2” 1984, “Tenda e figura 2”2011 e“Estasi”1990.
“Sono contrario alla piacevolezza nell’arte- afferma Guida- nella scultura l’artista deve sapere quando fermarsi, per non rischiare di cadere nel piacevole, nell’eccessiva rifinitura”.
Dal 1978 il Circolo La Scaletta organizza la rassegna espositiva che, negli anni scorsi, ha ospitato artisti come: Consagra, Melotti, Martini, Cambellotti, Fazzini, Matta, Milani, Andreotti, Kolìbal, Negri, Raphael, Mascherini, Hare, Viani, Mirko, Lassaw, Azuma e altri ancora,oltre alle edizioni delle Biennali di Scultura Contemporanea dedicate all’Italia, all’America e alla Francia.
Una storia quasi trentennale della mostra, che ogni anno richiama nella città dei Sassi un turismo culturale e di qualità, confermandosi tra i più importanti eventi italiani di arte contemporanea.
La XXIX edizione de “Le Grandi Mostre nei Sassi” apre un importante triennio per la manifestazione, che culminerà nel 2019, anno in cui Matera sarà Capitale Europea della Cultura, con l’arrivo di esponenti del mondo dell’arte di rilievo internazionale.
La rassegna ha il patrocinio delMiBACT, della Regione Basilicata, della Fondazione Matera- Basilicata 2019, dell’ APT Basilicata, della Provincia, del Comune,della Camera di Commercio e della Fondazione Zétema di Matera. È resa possibile grazie al sostegno del main sponsor: Total E&P Italia, degli sponsor: Attilio Caruso,agente generale Unipol Sai,Bawer, Cementeria Matera- Italcementi Group e i contributidelle aziende materane Frascella Emanuele s.r.l. e Stella All in ones.r.l.e della Soc.Coop. Cave Heritage.
Il catalogo con le foto delle opere esposte, come di consueto, è curato da Giuseppe Barile Editore.
La mostra resterà aperta fino al 6 novembre 2016, con i seguenti orari:
dal 29 giugno al 30 settembre, tutti i giorni, con orario continuato 10-20;
dal 1 ottobre 10-13.30 e 15.00-18.00.
Ingresso: intero 5,00 euro- ridotto 3.50
Ridotto per studenti fino a 24 anni, over 70 e soci FAI.
La gestione della mostra è garantita dalla Soc. Coop. Cave Heritage- Arte Cultura e Turismo
Per informazioni: 377.4448885; info@caveheritage.it
Di seguito la fotogallery della conferenza stampa con alcuni scatti delle opere, la biografia dell’autore e i testi critici del sindaco di Matera Raffaello De Ruggieri, del presidente del Circolo La Scaletta Ivan Focaccia, del critico d’arte Raffaele Nigro, del curatore Massimo Crinati e di François Rafin (amministratore delegato di Total E&P Italia) e le biografie dello scultore Pietro Guida e una breve storia del Circolo Culturale La Scaletta
Biografia Pietro Guida
Pietro Guida è nato a Santa Maria Capua Vetere nel 1921. Vive e lavora a Manduria. Consegue il diploma di scultura all’Accademia di Belle Arti di Napoli nel 1947. In quegli anni, assieme a Renato Barisani, Gennaro Borrelli, Raffaello Causa, Renato De Fusco, Anna Maria Ortese, Armando De Stefano, Guido Tatafiore, aderisce al “Gruppo Sud”, divenendo uno dei protagonisti del rinnovamento culturale del capoluogo campano. Comincia nel frattempo la sua attività espositiva: Mostra delle arti figurative, Galleria “Forti”; Collettiva di chiusura “Gruppo Sud Pittura” e Galleria “Blu di Prussia”, entrambe a Napoli nel 1948; “Premio Diomira” 1949; “Galleria del Naviglio”, Milano 1949; II Mostra nazionale del disegno e dell’incisione moderna, Reggio Emilia 1949.
Dal 1960 al 1971 è titolare della cattedra di scultura all’Accademia di Belle Arti di Lecce.
La sua produzione figurativa è esposta in importanti mostre personali, come nella “Galleria Selecta” di Roma, nel 1958, e in mostre collettive quali il “Premio Internazionale della Scultura di Carrara”, Carrara 1957; Concorso per un’opera plastica ispirata allo sport, Palazzo Strozzi, Firenze 1958; Artisti pugliesi, Galleria “Taras” dell’EPT, Taranto 1959; VII e VIII edizione della “Quadriennale Nazionale d’Arte” di Roma.
Dal 1960 al 1975 la produzione di Guida è caratterizzata dall’abbandono del dato naturalistico e dei mezzi tradizionali del fare scultura, per adoperare materiali industriali grezzi, come mattoni, galpomice, tubi eternit, ferro e acciaio.
Le prove di questo periodo sono definite dall’artista stesso Opere costruite, proprio per sottolineare l’importanza della fase ‘costruttiva’ nel suo lavoro.
Crescono nel frattempo la notorietà dello scultore, i premi, le commesse prestigiose: ad esempio la scultura di dimensioni monumentali realizzata nel 1972 per l’Italsider di Taranto, l’attenzione della critica più qualificata per il suo lavoro (Franco Sossi, Vittorio Fiore, Oreste Ferrari, Filiberto Menna, Vito Apuleo, Nerio Tebano, Nello Ponente, Enrico Crispolti) e gli inviti a progetti espositivi rilevanti, quali le mostre personali alle gallerie d’arte “Taras” di Taranto (1961); al “Cavallino” di Venezia (1962); a “La Metopa” di Bari (1964); a “Il Sedile” di Lecce (1965) prima mostra di scultura non figurativa in Puglia; a “Il Bilico” di Roma (1967 e anno successivo); a “La Cornice” di Bari (1969) e al “Ciak” di Roma (1971).
Partecipa, inoltre, a mostre collettive: Giovani artisti italiani, Villa Comunale, Padiglione Pompeiano, Napoli 1961; “Premio Termoli”, Termoli (edizioni del 1963 e del 1964); Il Maggio di Bari, biennale d’arte, Castello Svevo, Bari (nelle edizioni dal 1964 al 1966); Mostra internazionale di scultura all’aperto, Fondazione Pagani, Museo d’arte moderna, Legnano (edizioni del 1965, del 1971 e del 1973); Triennale dell’Adriatico, Palazzo delle Esposizioni, Civitanova Marche (1965); XVII Mostra internazionale d’arte “Premio del Fiorino”, Palazzo Strozzi, Firenze 1966; III Rassegna d’arte del Mezzogiorno, Palazzo Reale, Napoli 1967; Forme, spazio, strutture, Massafra 1967; 20+5 Nuove esperienze dell’arte in Puglia, Taranto, Bari, Grottaglie, Massafra 1969; Co/incidenze, XX Rassegna d’arte contemporanea Città di Massafra, Massafra 1969; Arte e critica ’70, Modena 1970; Uno spazio per l’arte, Circolo Italsider di Taranto, Taranto 1974-1975; II Quadriennale d’arte contemporanea, Acquasanta Terme 1975; VIII Biennale d’arte del metallo, Gubbio 1975.
Dalla seconda metà degli anni Settanta e per circa tre lustri Guida sceglie di rinunciare all’attività espositiva; ritorna nel frattempo alla figura, realizzando grandi statue in scabro cemento. Recupera la carnalità delle formose figure femminili di Marini e gli squarci poetici sul vissuto quotidiano di Martini, maestri mai smessi di amare. Interpreta, con insistenza, soprattutto negli ultimi anni, il tema del mito.
Nel 1993 interrompe il silenzio espositivo con la mostra personale allestita presso il Castello Carlo V di Lecce. I suoi nuovi lavori sono presentati in catalogo dagli amici scrittori: Tano Citeroni, Gino Montesanto e Michele Prisco. Seguono le mostre personali al Castello Malatestiano di Longiano, al Castello Carlo V di Lecce, all’ex Convento di San Michele di Taranto e al Palazzo De Felice di Grottaglie. Su tutte, l’importante mostra antologica allestita nel 2008 presso il Monastero degli Olivetani di Lecce, promossa dal Dipartimento dei Beni delle Arti e della Storia dell’Università degli Studi del Salento, associata alla pubblicazione di un importante catalogo, che ripercorre filologicamente l’intero percorso artistico di Guida e la corposa quanto autorevole analisi critica. Nel mese di ottobre del 2012 espone nelle sale di Castel dell’Ovo a Napoli, una personale curata da Francesco Abbate.
Nel 2011 ha partecipato alla 54a Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia nella sede regionale di Lecce – Padiglione Italia. Nel 2014, su invito dell’Università del Salento, ha tenuto una mostra personale nella sede del Rettorato di Lecce.
Nel 2015 viene pubblicato da Barbieri Editore, il volume Guida. 100 Disegni a cura di Francesco Abbate e Letizia Gaeta,
Tra i riconoscimenti ricevuti si ricordano: “Premio Diomira”, Milano 1949; Primo premio alla Mostra Nazio-nale del Disegno, Reggio Emilia 1949; premio della Presidenza del CONI alla mostra di scultura ispirata allo sport, Firenze 1958; premio per la scultura al “Premio Termoli”, Termoli 1963; premio-acquisto alla “Biennale d’Arte Contemporanea”, Bari 1966.
Sue opere figurano presso la raccolta delle stampe Bertarelli del Museo Sforzesco, Milano; Galleria del Cavallino, Venezia; Collezione Deana, Venezia; Presidenza del CONI, Roma; Collezione Finkelstein, New York; Collezione Civica d’Arte Moderna, Bari; Fondazione “Tommaso Balestra”, Longiano; Collezione Schulte, Dusseldorf; Museo della Scultura Contemporanea, MUSMA di Matera; Museo Pagani di scultura all’aperto di Legnano; Novecento a Napoli – Castel Sant’Elmo Napoli; Rettorato dell’Università del Salento – Lecce.
Del lavoro di Pietro Guida si sono occupati, tra gli altri, Francesco Abbate, Giuseppe Appella, Carlo Barbieri, Vittorio Basile, Raffaele Carrieri, Silvia Cazzato, Manlio Chieppa, Tano Citeroni, Enrico Crispolti, Mario De Micheli, Oreste Ferrari, Sergio Ferrero, Lucio Galante, Letizia Gaeta, Massimo Guastella, Gianni Jacovelli, Angelo Lippo, Pietro Marino, Filiberto Menna, Gino Montesanto, Raffaele Nigro, Sandra Orienti, Marina Pizzarelli, Nello Ponente, Michele Prisco, Paolo Ricci, Franco Sossi, Walter Tommasino, Silvano Trevisani, Lorenza Trucchi, Marco Valsecchi, Marcello Venturoli.
Biografia del curatore della mostra Tommaso Scrinati
Tommaso Strinati (Roma, 1973), Dottore di Ricerca in Storia
dell’Arte Medievale presso l’Università della Tuscia di Viterbo, è specialista della pittura romana del XIII e XIV secolo. Dal 2003 al 2004 è stato funzionario dei Musei Vaticani come
responsabile del Catalogo Generale dei Beni Culturali della
Santa Sede.
Dal 2005 al 2009 è stato docente incaricato di Storia dell’Arte Medievale e Storia del Restauro presso la Facoltà di Lettere dell’Università della Calabria (Rende – CS) e di Storia dell’Arte Contemporanea presso la Facoltà di Architettura “Ludovico
Quaroni” dell’Università “La Sapienza” di Roma.
Editor della Casa Editrice Skira di Milano dal 2001 al 2010, è stato anche responsabile del Dipartimento Dipinti Antichi della Casa d’Aste Finarte S.p.A. dal 2006 al 2011.
Dal 2006 al 2010, come autore televisivo, ha ideato e condotto la domenica mattina su Rete 4 una trasmissione (250 puntate da 10 minuti ognuna) dedicata alla divulgazione dell’arte
medievale, moderna e contemporanea italiana dal titolo Artezip.
Dal 2006 è docente di storia dell’arte presso il Centro
Sperimentale di Cinematografia; dal 2009 al 2013 è stato
Coordinatore didattico della sede di Palermo del Centro
Sperimentale di Cinematografia, dedicata al documentario e alla video arte performativa.
Ha al suo attivo numerose pubblicazioni dedicate alla pittura del Duecento e del Trecento e all’arte contemporanea. Ha scoperto e pubblicato, tra il 2000 e il 2004, un ciclo di affreschi della finedel Duecento nella chiesa di S. Maria in Aracoeli al Campidoglio, riferibili ai due più grandi maestri della pittura medievale occidentale, Pietro Cavallini e Giotto.
Nella primavera del 2004 ha curato, presso i Musei Capitolini, la prima mostra dedicata alla pittura su tavola a Roma nell’epoca di Giotto e Cavallini.
Nel 2013 ha ideato e curato una mostra su Xavier Bueno presso
i Musei Capitolini – Centrale Montemartini.
Nel 2014 ha ideato e curato una mostra su Adolfo Coppedè
nell’ambito della Biennale del Disegno di Rimini.
Dal 2015 è docente di Beni Culturali presso l’Accademia di
Belle Arti di Roma.
Dal 2016 è Direttore del Musma, Museo della Scultura
Contemporanea di Matera
Il testo critico del sindaco di Matera Raffaello De Ruggieri: “Tumulti di creatività in uno spazio antico”
confortante la puntualità con cui ogni anno viene proposta una esposizione de “Le Grandi Mostre nei Sassi” di Matera, oggi garantita dall’impegno totalizzante del presidente del Circolo ‘la Scaletta’, Ivan Focaccia.
È il termometro della capacità e della caparbietà del glorioso circolo materano che, dal lontano 1978, or-ganizza e attua una manifestazione culturale di respiro nazionale nel settore vivificante della creatività plastica contemporanea.
La stessa collocazione delle opere nel complesso rupestre di Madonna delle Virtù è la testimonianza del lungo rapporto d’affetto de ‘la Scaletta’ con tale antico monumento rupestre. Infatti, il luogo non è casuale ma è legato ad uno degli interventi più nobili della associazione materana che tra la primavera e l’estate del 1967 operò la salvaguardia, la tutela, la conservazione e la valorizzazione della chiesa monumentale rupestre, divenuta, per lo sfollamento dei Sassi, relitto informe di storicità, devastata da ingiuriosi vandalismi e privata di ogni funzione cultuale perché ridotta ad incomposto deposito di sudiciume. Con risorse proprie e con l’apporto diretto dei soci il Circolo ‘la Scaletta’ trasformò il luogo dell’abbandono e della ingiuria storica nella splendida basilica medievale a tre navate, che oggi abbraccia ed esalta le sculture del nostro tempo.
Le grandi mostre di scultura, ispirate dalla visione di Giuseppe Appella e dalla sollecitazione affettuosa di affermati scultori nazionali, come Pietro Consagra e Fausto Melotti, esaltano la specificità della proposta artistica de ‘la Scaletta’, perché esprimono il rapporto esclusivo tra scavato e scolpito, tra plasmato luogo grottale e materia artisticamente forgiata, tra amplesso rupestre e attuale produzione scultorea.
Inoltre la scelta de “Le Grandi Mostre nei Sassi” nasce da un atto di coerenza con il territorio: Matera è infatti un luogo magnetico dell’abitare, uno spazio geografico che suscita cortocircuiti creativi, uno spazio che provoca tumulti di creatività.
In questo stimolante scenario si colloca la mostra del maestro di Manduria, Pietro Guida, con le sue opere che esprimono una alchimia creativa di linguaggi artistici: da quello figurativo a quello geometri-co-costruttivista.
È un itinerario di volumi e di messaggi che punteggia l’articolato percorso grottale esprimendo le tensioni, le visioni e le costruzioni dell’artista affidate al linguaggio delle sue straordinarie opere.
La proposta culturale dell’associazione materana va poi inquadrata nello scenario stimolante della desi-gnazione della città a Capitale Europea della Cultura per il 2019.
Le opere di Pietro Guida, infatti, si pongono come segnale della produzione creativa ispirata e prodotta nel Mezzogiorno d’Italia, una produzione non ripetitiva di schemi lontani ma esprimente la pregnanza dei valori della nostra cultura meridionale e mediterranea. È un antidoto al fascino di culture lontane e ai capricci ludici che inseguono mode e che non si nutrono del vitalismo storico del nostro territorio. La spettacolarità degli eventi, a volte, è fine a se stessa e lascia spesso spenti ricordi e infruttuosi dispendi di energie fisiche e finanziarie.
Non è infatti possibile inseguire itinerari culturali prima di immergersi nel furore storico e creativo del nostro territorio, del nostro Mezzogiorno e del nostro Mediterraneo.
È un segnale che ricorda il mito di Cadmo perché riafferma contenuti culturali che, partendo dal lontano Oriente, sono stati arricchiti dai valori della Grecità e della Latinità per trasmetterli, poi, all’Europa e al Mondo.
Oggi più che mai va affermato il linguaggio primigenio della cultura mediterranea e noi meridionali sce-gliamo di esserne difensori, esaltando il livello della innovazione e non della passiva imitazione.
E questo è il ruolo e il compito che ci spetta, anche per il 2019, e che ci viene sollecitato, suggerito e pro-vocato dai luoghi scavati nel tufo che dal 1967, grazie al furore civico dei soci del Circolo ‘la Scaletta’, o-spitano “Le Grandi Mostre nei Sassi”.
Il testo critico di Ivan Franco Focaccia, presidente Circolo ‘la Scaletta’, Matera: “Racconto di un popolo di statue
Credo siano pochi gli scultori che possono vantare una longevità come quella espressa dal talento di Pietro Guida, un artista tuttora costantemente impegnato nella produzione di nuove opere.
Non conoscevo ancora personalmente Pietro – non ama essere chiamato ‘Maestro’ – e un bel giorno, dopo una breve telefonata con la quale mi presentavo e gli proponevo l’allestimento della mostra, mi recai a Manduria per incontrarlo.
Giunto a destinazione, mi venne incontro sorridente un distinto signore, non più giovane ma molto giovanile per aspetto, vitalità e lucidità, che mi accolse e introdusse nella sua bellissima villa alle porte di Manduria.
Ancor prima di entrare in casa, assieme agli amici che mi accompagnavano, mi sono ritrovato immerso in un’atmosfera quasi surreale, dominata dalle tante opere distribuite e quasi nascoste tra il verde dei prati e degli alberi, nel parco della villa.
Una volta all’interno della bellissima dimora, abbiamo avuto la conferma di una sensazione già provata all’esterno, ovvero quella di ritrovarsi in un luogo magico, circondati da un popolo di statue, in attesa delle narrazioni delle loro fantastiche storie.
Il nostro sguardo e la nostra attenzione erano volti a osservare il fascino delle forme, la sensualità dei gesti e la naturalezza delle movenze che l’artista riesce a dare alle sue statue, in grado di suscitare in ognuno di noi grande seduzione e profonde emozioni.
Conversando amabilmente con l’artista, nel mentre ci raccontava le sue esperienze, il suo passato, la sua storia, maturava in noi la convinzione di essere capitati in un luogo quanto mai opportuno per trovare e conoscere un uomo di grande esperienza, dal forte carattere e dalla notevole capacità espressiva, appas-sionato della vita, dell’arte e del proprio lavoro.
È così che ha trovato conferma il progetto di realizzare questa mostra da allestire all’interno del magico complesso rupestre di Madonna delle Virtù e di San Nicola dei Greci, dove l’occasionale visitatore, con-centrato in religioso silenzio, potrà ascoltare il racconto di un popolo di statue.
Il testo critico di Raffaele Nigro: “Il mito e gli affetti secondo Pietro Guida”
È originario di Santa Maria Capua Vetere, Pietro Guida, ma in lui, della sua Campania, restano oltre i ricordi di famiglia e di gioventù appena un accento dialettale, perché dal 1949 ha insegnato e vissuto in Puglia: per tre mesi a Castellaneta, dove è stato docente di disegno nelle scuole medie, poi a Massafra, dove giunge in occasione della seconda edizione del “premio Taranto” e dove si lega in amicizia a Cosimo Damiano Fonseca e a Espedito Jacovelli. Lo troviamo infine a Manduria, dove vive tuttora.
Guida è uno degli artisti che con Anna Maria Ortese, Raffaello Causa, Renato De Stefano e altri fonda in gioventù il “Gruppo Sud” che si richiama all’esperienza artistica di Manzù, alla carnalità e alla forza mito-logica di Marino Marini e al vissuto quotidiano di Arturo Martini. L’arte di questi maestri è ancora visibile nella produzione degli anni correnti, a cui fanno da corrimano i soggetti dei molti disegni preparatori per le sculture e di cui parlerò in séguito, perché non sono secondari nella sua produzione.
Un ricco catalogo edito da Barbieri, in una mostra organizzata dall’Università di Lecce e curata da Massimo Guastella, celebra nel 2008 il genio creativo di un maestro vissuto in disparte per molti anni e ritiratosi in una villa alla periferia della città pliniana. In quella villa gli feci visita nei primi anni Novanta, in compagnia di amici comuni, gli scrittori Gino Montesanto, Michele Prisco e Tano Citeroni, e vi tornai successivamente attratto dall’atmosfera metafisica e surreale che si viveva tra la campagna, la villa e le tavernette invase da gruppi scultorei giganteschi, ambienti che mi parvero simili ai giardini incantati di Alcina, descritti da Boiardo. Guida aveva disseminato lì le sue opere, che solo in tempi recenti ha deciso di ricoverare in ambienti chiusi per sottrarle alle offese degli agenti atmosferici.
Gli amici che ho appena citato venivano a fare visita a un compagno conosciuto durante gli anni della guerra. Nel ’42, infatti, appena trasferito come militare al “Battaglione Universitario” di Caserta, Guida aveva avuto occasione di incontrare Prisco e Montesanto e con loro Raffaele La Capria e i pittori Enrico Accatino e Gino Trento. Una conoscenza che si trasformò nell’amicizia di una intera vita. L’anno successivo il battaglione verrà trasferito nei pressi della località Campo d’Oro, tra San Vito dei Normanni e Mesagne, e nella circostanza lo scultore visita Manduria dove stringe amicizia con due padri Passionisti, padre Fedele e padre Celestino, che ritroverà nel dopoguerra al suo ritorno in Puglia e che ritrarrà in alcune opere scultoree.
Guida aveva frequentato da giovane l’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove aveva seguìto i corsi dello scultore Alessandro Monteleone e quelli di nudo di Vincenzo Ciardo. Furono questi maestri ad avvicinarlo alla conoscenza di Vincenzo Gemito e Filippo Cifariello, a quella di Filippo Palizzi e di Domenico Morelli. I suoi inizi sono dunque figurativi, all’interno di quel “Gruppo Sud” di cui ho detto e che promuove una pri-mavera napoletana nell’immediato dopoguerra. Le opere che presenta in una personale del ’48, anno di esordio espositivo, sono ritratti di amici e di modelle, sono nudi che echeggiano i gusti della scuola romana e temi mitologici. Ma un dato è connotativo della sua opera, il primitivismo, il bisogno di offrire impressioni di movimenti e di figure, senza rifiniture, per accenni di azione e di contorni. Un gusto dell’abbozzo scabro che va contro la finezza di Emilio Greco, Marino Marini, Arturo Martini e Giacomo Manzù, seppure da questi autori colga sia la plasticità classica sia il dinamismo espressionista e i baricentri precari. Guida dipinge i sentimenti forti, soggetti figli della mitologia e scene di denso impatto erotico, le sue sono creature giunoniche e dalle robuste masse anatomiche. Sbozza atleti e ginnasti e ciclisti, alla ricerca del movimento e del dinamismo, come animato da un tardo futurismo che si farà geometrico negli anni Sessanta.
Quella che segue sarà, infatti, una fase ideativa del tutto nuova per la sua arte e per l’esperienza artistica meridionale. Guida abbandona quindi il figurativo e sperimenta la spazialità geometrica e astratta, insieme a materie nuove, mattoni, ferro, tubi di eternit. È l’éra della civiltà industriale e tecnologica e sono anche gli anni in cui Taranto conosce la trasformazione ambientale e culturale dell’acciaio con l’impianto dell’Italsider. Alle mostre romane del decennio 1960-1970 Guida presenta opere neo-costruttiviste, nate dall’uso della fresa, della saldatrice, delle fiamme ossidriche, perché Taranto gli è dentro le ossa, dal momento che ne ha una frequentazione quotidiana come direttore del Liceo Artistico.
Ma intanto lo scultore campano ha continuato a produrre anche opere figurative a soggetto sacro per alcuni conventi Passionisti e ha scoperto il connubio tra cemento e ferro. E quando a metà degli anni Settanta abbandona definitivamente l’astrazione e il geometrismo industriale lo fa in ragione di un ritorno alla scultura naturalistica; anzi, in ragione di una crisi profonda del senso dell’arte. Sono gli anni in cui la Transavanguardia pone l’accento sulla necessità di un ritorno al primitivismo narrativo come reazione all’astratto e al concettuale.
Guida conosce proprio in quella stagione almeno un decennio di blocco psicologico e creativo e quando riprende a lavorare è per seguire un figurativo che riproduce sentimenti ora forti ora delicati: la famiglia, l’amore, la passione per la musica, insieme alla mitologia e alle arti ginniche. Ma sempre lontano da defi-nizioni e raffinate torniture, sempre in un accenno descrittivo, come a voler fermare un’emozione e un momento della vita attraverso un abbozzo immediato e un accenno compositivo.
È un gruppo scultoreo che raffigura infatti la sua famiglia in età tenerissima, una nidiata che accoglie i vi-sitatori nella villa extraurbana di Manduria, bambini che ti toccano profondamente e soffondono tenerezza.
Penetrammo nella villa recintata da un muro basso, una masseria gentilizia di carparo abbrunita dagli agenti atmosferici e abbellita da una doppia scalea e da pini e olivi.
Ma non eravamo soli. Una coppia di giovani sedeva, infatti, a una panchina semiaffondata nel terreno arato di fresco, una coppia indaffarata a godersi l’amore e che non ci degnava di attenzione. Più in là, una donna aveva scostato le gelosie e osservava i nuovi arrivati che smontavano dall’auto, accolti festosamente da Pietro, mentre un toreador sfortunato volava sul dorso di un animale che non gli perdonava di avergli arrecato fastidio.
Mi parve una villa del mistero e del silenzio. Una propaggine di Pompei o di Egnatia. Perché le creature di cui ho raccontato erano immerse in un incanto non umano, popolavano un luogo lontano dal mondo, calato nella fantasia.
Erano quelle creature i compagni quotidiani di Pietro, coloro che lo assistevano e lo assistono tutt’oggi di notte, gli guardano la casa di giorno, nelle sue assenze, tengono per lui il calendario del tempo che scorre. Le creature che gli parlano dell’Uomo e del suo destino. C’è nell’Orlando Innamorato un momento in cui i paladini attirati nel fiume Lete, il fiume dell’oblìo, dimenticano la propria missione, il ruolo che hanno assunto di difensori della cristianità, e presi da incantamento si abbandonano a un sonno che cancella dalle loro menti ogni ombra del passato. La villa di Pietro era carica della stessa atmosfera. Le creature delle quali ho parlato erano addormentate in un sonno di pietra e noi eravamo i visitatori di un paese nel quale la vita era stata bloccata per sempre in un atteggiamento, in un’azione e in una posa immutabili. Come se Pietro avesse inchiodato con una pozione magica i suoi modelli, alla maniera delle fate o dei maghi che nelle fiabe popolari incantano un intero borgo, un giardino e propagano il sonno, l’immobilità perenne. Lo stesso sonno della Bella addormentata.
E tuttavia in quell’incantesimo anche noi venivamo attratti e ci sentivamo all’improvviso parte della compo-sizione, presi anche noi dall’oblìo. L’oblìo della realtà feroce che si consuma nel mondo e che ci veniva concesso mentre passavamo il fiume della creatività e dell’arte.
In quell’arte apparivano ormai lontani gli anni in cui lo scultore campano aveva sentito il bisogno di fran-tumare la figura e votarsi all’astratto. Un’esperienza che aveva consumato nel giro di poco tempo, quel Sessantotto e dintorni, quando sotto l’influsso della pittura americana bisognava scolpire e dipingere secondo l’impulso di una passione immediata, negando le forme della tradizione, ripudiando qualunque forma che riconducesse al realismo. Pochi anni di fede nel concettuale, poi una improvvisa riconquista del figurativo.
Il ritorno alla lezione dei maestri, Marino, Martini, a un classicismo rivisitato sì con gusto scabro, pulito, le-vigato ma mai leccato, un classicismo dalle linee ridotte all’essenziale e prive sia di fronzoli barocchi che di aulicità.
Conservo in casa un inchiostro di Pietro, raffigura alcuni bandisti disegnati con un tratto tracciato senza pentimenti ma così consapevole della condizione infelice di certi uomini, forse di tutti gli uomini. Per cui ho sempre immaginato che la pensosità di quei bandisti sia la pensosità di Pietro, la sua malinconia di fronte all’esistenza che gioca con noi a gatto e topo. La sua arte, mi dice quel disegno, tende a esaltare le piccole cose e le piccole esistenze, un’arte che ferma certi momenti della quotidianità e li rende degni di racconto, come a dire che la storia è fatta di piccoli eventi, di cronache individuali e quotidiane: cronache familiari, cronache di innamorati, cronache di ragazzi che popolano la strada. Proprio come è rappresentato dalle creature che popolano il giardino della sua casa, il laboratorio, gli scantinati. Ed è straordinario che la sua scultura esalti la centralità dell’Uomo, tornato canna che soffre il vento di altre volontà, l’uomo protagonista di un film dove tutto ha un prezzo e dove si rinnova quel mito di Sisifo per il quale ogni giorno ha la sua pena, ogni ora il suo gravame. E tuttavia quel giorno e quell’ora valgono la pena di essere vissuti, per una bellezza segreta che è insita nella vita.
Mentre ci aggiravamo fuori e dentro la bella casa padronale, altre sculture ci venivano incontro, una donna che liberava un volo di colombe, bassorilievi di oranti, ragazzi in posa. Ci accompagnavano verso il labo-ratorio, dove un Prometeo incatenato aspettava l’aquila che tornava al suo lavoro quotidiano. Prometeo aspettava che la bestia venisse a divorargli il fegato: ancora un accento sulla condizione umana, la stessa sulla quale Pietro si arrovella, come un fedele discepolo di Camus, e per la quale arma di ferro gli stampi di gesso, impasta colate di cemento e crea un popolo di pietra. Un popolo capace di denunciare la pietri-ficazione del nostro destino, la caduta degli eroi, dei miti, la disillusione di uomini senza resurrezione che si interrogano di continuo e che non riescono a trovare a quelle domande risposte convincenti.
Negli ultimi tempi sono tornato a fargli visita con minore frequenza, forse perché non scendevano più da Roma e Napoli gli amici comuni che fino ad allora avevano costituito occasioni di spostamento. Ma un anno decidemmo di raccontare per la Rai il superamento delle novanta lune di Pietro e si decise di realizzare un approfondimento televisivo.
Ancora una pubblicazione contenente una selezione di disegni scelti tra migliaia di schizzi realizzati lungo gli anni di permanenza nella città salentina nacque al suo novantaquattresimo compleanno, un volume corposo affidato ancora all’editore Barbieri, a cura di Francesco Abbate e Letizia Gaeta.
Il disegno costruisce un’altra dimensione dello scultore campano. Nel 1949 infatti i primi premi a Milano e a Reggio Emilia gli vennero proprio per il disegno, cui seguirono, molto più tardi il “premio Termoli” per la scultura, nel 1963, e una affermazione importante alla “Biennale di Bari”, nel ’66. La ponderosità e la cor-pulenza delle figure preferita al geometrismo bulimico sono nei disegni di Lot e le sue figlie, nelle figure familiari di zio Nicola e del lettore realizzati in quegli anni, nei tanti nudi della serie di ginnaste impegnate a vincere la resistenza dell’aria e l’attrazione magnetica della terra. Ginnaste che affrontano lo sci acquatico, il nuoto, la corsa, la danza. È tutto un mondo per lo più meridionale, fatto di donne pingui, di una piccola borghesia in carne, dove l’idea di bellezza si sposa con la formosità e col peso della massa corporea da riuscire a far levitare. Perché questa è la battaglia intrapresa da Pietro fin dagli anni giovanili, rappresentare la corporalità e al tempo stesso l’ansia di smateriarsi che accompagna l’Uomo.
Segue un breve periodo di informale e di cubismo astratto; è il tempo in cui Pietro utilizza materie nuove, anticorodal, mattoni e galpomice e approda a un costruttivismo molto personale e poi, dagli anni Settanta, il ritorno al figurativo, con una serie di opere dedicate all’interpretazione dei Vangeli e della vita di Pietro, una figura troppo amata dall’artista, probabilmente perché sa di doverne portare il nome a vita. Pietro che rinnega Cristo, che partecipa all’ultima cena o alza il coltello per ferire Malco o viene crocifisso all’ingiù. San Pietro e Pietro Guida, tutt’uno sembrerebbe ricordare il nostro artista. E poi le stazioni della Passione, con disegni che sono veri e propri dipinti, dalla preghiera nel Getsemani alla crocifissione, alla sepoltura. Ma la levitazione della materia, una materia resa molto bella nella linearità delle sue forme, tende a interpretare la posizione dell’Uomo diviso tra corpo e spirito: è ciò che ha prodotto oltre la serie cristologica il mito classico. Ecco una serie di disegni che riproducono la Leda e il cigno, il ratto di Europa, i centauri e le ninfe, il minotauro, l’aquila che becca il fegato di Prometeo, la caduta di Icaro. Creature che prendono corpo e si staccano dalla carta e diventano gigantesche sculture in cemento armato e vanno a popolare il giardino e gli ambienti di casa.
Tra il 1980 e il 1990 Pietro sembra ritirarsi dal mondo, continua a disegnare e a scolpire nel privato, lontano dal chiasso, dagli amici, dal mondo. Un quindicennio di più rarefatta produzione, attraversata da prove di studio sulla Passione evangelica e su quella privata. Un decennio che quasi si apre con un disegno del ’63 dove la morte irrompe da una tenda su una ragazza ignara che poggia la testa e la sua stessa bellezza sulla spalliera di una sedia.
Questi disegni ho detto sono tante prove di studio per la realizzazione di sculture cui Pietro ha dato vita, in quella materia assolutamente novecentesca che è il cemento armato. Sculture dalle dimensioni gigantesche che lo scultore ha collocato nel suo giardino alla periferia di Manduria e che fanno somigliare il sito a un luogo incantato, mitico, a una delle stazioni fantastiche create da Omero per la peregrinazione di Ulisse. Oppure le stazioni della vita stessa dello scultore, tra incanti e malinconie, dove i gesti sono propri di un uomo parco di parole ma pronto a rinverdire a ogni incontro una mai spenta affettuosità.
Testo critico di Tommaso Strinati, direttore Musma, Fondazione Zétema di Matera: “Danzano, gli uomini e le donne di Pietro Guida”
La grande mostra de ‘la Scaletta’ quest’anno è dedicata a Pietro Guida, classe 1921, novantacinque anni d’età e settant’anni di carriera vissuta con coerenza.
Beato Guida! verrebbe da dire; un uomo che ha visto tutto il Novecento, il Fascismo, la Guerra, il Boom Economico, gli anni Sessanta e la contestazione, la crisi petrolifera e gli anni Ottanta della Milano da bere. Fino ad oggi. Con una forza gentile, a conoscerlo, pari a quella delle sue statue solide e garbate. Oggi, forse, una somma di straordinarie esperienze storiche come quelle vissute da Guida ridurrebbe chiunque ad un caso clinico da psicanalisi, eppure la generazione del Maestro è quella che più è riuscita a superare le trasformazioni e le contraddizioni del Novecento in modo lineare, traendone linfa vitale e creativa.
Nulla, infatti, sembra intaccare la persona del Maestro, probabilmente grazie a quella felice mescolanza del suo carattere che abbina una serenità di sapore tibetano a un’inquietudine che spesso emerge con forza.
Raffaele Nigro, nel suo contributo qui oltre riportato, ha ben delineato una carriera che è passata attraverso fasi ben distanti dal Pietro Guida che vediamo oggi; lo scultore campano, da sempre pugliese d’adozione, non è stato sempre così figurativo come lo vediamo nelle opere esposte. L’astrazione, a volte esasperata, e l’uso del ferro e di altri materiali figli dell’industria pesante siderurgica tarantina, hanno determinato fasi lunghe della carriera di Guida, fasi poi scomparse, sembrerebbe rinnegate.
In una delle visite al Maestro assieme ad Ivan Focaccia – vero ideatore di questa esposizione ed energico presidente del Circolo ‘la Scaletta’ – la macchina è passata per pochi attimi sotto l’Ilva di Taranto, quel gigante inquinante e inquietante che pure, per Guida come per tanti altri artisti locali, a suo tempo fu una trasversale fonte di ispirazione e sperimentazione di nuovi linguaggi. Sembra impossibile, ma erano gli anni Settanta, di un’altra Italia che per la maggiore non si poneva come oggi i problemi drammatici dell’inquinamento, della distruzione del suolo, delle acque, dell’avvelenamento della popolazione. Nell’Italia della 127 rossa e della op-art nascono pezzi come Opera Costruita (1969), Cerchio giallo (1971) o Struttura (1974). Le forme simmetriche e strutturali di queste sculture di ferro, che a contatto con le intemperie hanno assunto la patina d’un bronzo della Magna Grecia, rappresentano un episodio chiave nella vita di Guida, che pochi anni dopo ritorna repentinamente alla figurazione di stampo anni Trenta che segna il suo attuale repertorio.
Il Maestro ne parla con naturalezza, ma a tratti emergono le lunghe fasi di riflessione, di crisi e di pausa creativa che hanno segnato il suo percorso, accompagnato da una passione bruciante per la lirica tutta partenopea che in qualche modo ha lasciato traccia di sé.
Lo studio dell’artista è sempre il luogo dove si va a curiosare più volentieri e, nel caso di Guida, l’officina del Maestro è il vero centro della casa, della piccola casa inizi Novecento con giardino alla periferia di Manduria che ha il sapore di un focolare intimo. Non ho avuto l’impressione di un luogo di ritiro, di allontanamento dal mondo, come potrebbe far pensare una zona così distante da tutto, così difficile da trovare anche con una mappa o un navigatore satellitare. Guida è un artista totalmente urbano e sociale, di un’avanguardia locale che trae dai materiali industriali e poveri, come il cemento, l’immagine di una realtà disincantata, che prende la forma di uomini e donne di un antico Sud Italia, di taglia forte, come scrive anche Nigro.
Chi visiterà la mostra avrà, credo, una sensazione naturale: che le opere di Guida siano sempre state qui, nelle grotte affrescate che affacciano sulla gravina, nei cunicoli degli ipogei, a contatto con la pietra ruvida materana. Perché di pietra sembrano fatte le statue di Guida ed è una specie di confronto con la superficie scabra della roccia che suggeriamo di immaginare a chi si accosterà al suo popolo di statue.
Il cemento, spesso policromo, che Guida usa come una terracotta stesa alla maniera di un bozzetto in-compiuto, dà una dignità inaspettata a un materiale povero ma duttile.
Danzano, gli uomini e le donne di Guida, siano essi atleti in movimento o divinità popolari, come Orfeo ed Euridice nei loro abiti moderni; sono figure di sapore felliniano che potremmo immaginare intente a guardare il paesaggio della costiera amalfitana da una terrazza di Positano (Al balcone, 1991) oppure accingersi a entrare in una balera romagnola anni Cinquanta (Tenda, 2019).
Guida, tuttavia, sa cambiare registro con naturalezza e del suo popolo di statue, abitanti la villa di Manduria, sono stati scelti gruppi o figure singole che restituiscano in modo ampio il modo sentimentale, a volte toccante, di vedere la vita. Gruppo di famiglia (1996) racconta proprio della famiglia natale dell’artista, ma anche delle famiglie numerose del Sud, della figura monolitica della madre. Ad essa è stato dato risalto, collocandola nel giardino del complesso di San Nicola dei Greci, forse uno degli angoli più suggestivi di Matera, una sorta di Getsemani che guarda la gravìna con potenza. I prigioni (2004), poi, sono un piccolo capolavoro di gusto teatrale; quando ho visto l’opera per la prima volta nello studio di Manduria, conoscendo ancora pochissimo il Maestro, ho pensato a una sorta di studio scenografico, a un bozzetto per uno spet-tacolo con attori in carne e ossa. L’idea della gabbia, del limite alla libertà, del confine blindato, mi ha fatto poi pensare non solo ai carcerati, ma soprattutto ai tanti migranti che rischiano la vita ogni giorno fuggendo dai propri Paesi in guerra, ritrovandosi spesso, dopo cammini lunghi e drammatici, a sbattere contro frontiere blindate, fili spinati, campi profughi che assomigliano tanto, nelle immagini che vediamo ogni giorno, ai campi di concentramento del nazismo. Ecco perché vorrei associare con forza l’opera di Guida all’idea della coercizione dei popoli in senso più ampio, farne emblema della limitazione della libertà e della privazione dei diritti. Forse tra i volti abbozzati ma comunque assai espressivi di Guida manca la presenza di bambini, del futuro, del dramma più grave di tutti che è quello di togliere il futuro ai più piccoli. Eppure nel dramma di Guida c’è un segno di speranza, di anelito a non lasciarsi andare mai; la figura che protende le braccia avanti, superando con le mani un tratto della gabbia stessa, assomiglia alla Maddalena con le braccia protese in avanti in segno di dolore che troviamo in buona parte della tradizione pittorica giottesca, fino ad arrivare alla plastica bolognese in terracotta di Nicolò Dell’Arca. Donna alla tenda (2008) è una delle prove più interessanti del Guida intimo, che nelle piccole dimensioni sembra quasi trovarsi meglio rispetto alla scultura a grandezza naturale.
Più di ogni cosa è impressionante la capacità di lavoro di Guida, che ancora durante l’allestimento della mostra, emozionato come alla prima inaugurazione, aggiusta quei particolari che non gli piacciono, un colore troppo acceso, un accostamento che non lo convince nella sequenza delle opere. Guida è un esempio che i giovani artisti dovrebbero tenere a mente e seguire; è la dimostrazione di come l’attaccamento e la passione verso il lavoro artistico mantengano giovani, sempre proiettati al futuro. Ha insegnato tanti anni, Guida, all’Accademia di Belle Arti di Lecce e al Liceo Artistico di Taranto, sa quindi cosa significa avere a che fare con i giovani. È proprio a un pubblico giovane, locale e non, che dedichiamo idealmente questa mostra, affinché la sua energia diventi un virus contagioso prendendo forma in tutti i linguaggi più sperimentali della scultura.
Siamo sicuri che il tocco disincantato del Maestro farà discutere, in una città che, per il ruolo assunto di Capitale Europea della Cultura, deve guardare tanto alle tradizioni e al territorio quanto al mondo del sistema dell’arte contemporanea internazionale, in perpetuo movimento.
Testo critico di François Rafin, amministratore delegato di Total E&P Italia: “L’arte che unisce i territori”
Total apporta la sua energia alla creazione artistica nel Sud attraverso la sponsorizzazione del Circolo “la Scaletta” così come della Fondazione “Nuovi Mecenati” e anche dell’Accademia di Francia in Italia.
Con l’avvicinarsi dell’importante appuntamento del 2019, quando la città di Matera sarà protagonista nel contesto artistico internazionale in qualità di Capitale Europea della Cultura, l’impegno di Total al fianco del Circolo “la Scaletta” si fa ancora più intenso e forte.
Il rinnovato sostegno per l’edizione del 2016 de “Le Grandi Mostre nei Sassi” consolida un rapporto ormai decennale con il Circolo “la Scaletta”, struttura storica ma di sempre moderna eccellenza nel panorama culturale e artistico della città di Matera, del Sud, e del Paese intero.La scelta di un artista come Pietro Guida, scultore e uomo del Sud, campano di origine ma pugliese di adozione, conferma la volontà e la capacità del Circolo “la Scaletta” di saper valorizzare le energie artistiche presenti anche nel Mezzogiorno d’Italia.
Il legame, sia di vita sia per la produzione artistica, che Pietro Guida ha stretto nel corso della sua lunga e importante carriera con una regione come la Puglia, in particolare con la provincia di Taranto e Manduria, dove risiede e lavora, richiama anche il legame che la nostra azienda ha con il territorio pugliese, oltre che con quello lucano.
Siamo quindi felici che questa mostra e Pietro Guida, anche nobilitando materiali di uso comune fino a renderli essenziali a manifestare l’espressione artistica e a innescare emozioni, possano contribuire, in termini culturali, all’affermazione nazionale e internazionale di queste due belle regioni italiane.
Auguri per il successo che questa mostra merita.
Breve storia del Circolo La Scaletta
Il “Circolo la Scaletta”, sorto nell’aprile 1959, iniziò l’attività in un periodo di crisi della comunità locale, in un momento in cui la vita dei Sassi , con i suoi valori, stava per essere cancellata.
Mentre un’antichissima organizzazione civile si sgretolava con i suoi miti e le sue tradizioni, per reazione sorgeva il bisogno di unirsi per ritemprare le coscienze, per educare i giovani all’indagine, al lavoro di gruppo, al colloquio democratico e a superare il limite della tradizionale attività culturale operata da singoli individui.
Le attività dei gruppi studio in seno al Circolo riguardarono, e riguardano, i problemi socio-economici, storico-artistici, ambientali ed etnografici, in modo da fornire contributi concreti e innovativi per il più razionale progresso della città di Matera, della Provincia, della Regione. Oltre cinquant’anni di attività hanno creato un patrimonio di idee, di studi, di progetti, di incentivi di amore per l’arte e di realizzazioni, la cui validità trascende la contingenza del tempo e del luogo per diventare modello di azione e di vita democratica. Il Circolo ha svolto un lavoro non facile per l’assenza di esempi validi in un territorio e in una comunità dove si lamentano scarsità di iniziative e di strutture. I primi passi sono stati fatti nell’ambito della ricerca e della raccolta di materiale informativo e documentario utile per la creazione di un museo etnografico.
È stato anche affrontato lo studio delle testimonianze preistoriche ponendo l’attenzione sul villaggio di Murgia Timone di cui si realizzò una pubblicazione. In seguito l’interesse si è fermato sul filone del patrimonio rupestre e dopo anni di ricerche in città e nell’agro, è stata pubblicata l’importante e originale documentazione, raccolta nel noto volume “Le Chiese Rupestri di Matera” (Roma, De Luca, 1966), del quale successivamente – sempre per i tipi De Luca – è stata data alle stampe una nuova edizione riveduta e aggiornata alle più recenti scoperte.
Nell’intento di valorizzare il patrimonio rupestre e di consentire ai visitatori di ammirare la visione degli antichi rioni dei Sassi, dal Circolo è stata curata la progettazione esecutiva della strada panoramica di Murgia Timone che offre uno straordinario itinerario paesaggistico.
Il primo restauro di una chiesa rupestre è stato realizzato a cura e spese del Circolo e, in gran parte, materialmente eseguito con il lavoro di molti soci.
È stata così recuperata la cripta della Madonna delle Virtù mentre contemporaneamente si è proceduto alla protezione dell’ambiente rupestre di San Nicola dei Greci e della cripta del Peccato Originale, siti tra i più importanti a livello mondiale. II gruppo di studio dei problemi socio-economici, nel 1965, ha partecipato a una serie di incontri di studio in previsione del Piano Regionale di Sviluppo della Basilicata, incontri che, per una verifica, sono stati ripetuti nel 1973 (dieci quaderni documentano tale attività).
Per iniziativa de “La Scaletta” sono stati dati alle stampe, nel tempo, 35 lavori sui più vari argomenti: dall’arte dei pastori alla festa del 2 luglio, dalla programmazione socio-economica all’istituzione dell’Università in Basilicata, dal problema del recupero e riuso degli antichi rioni Sassi al futuro della montagna lucana e al parco del Pollino, dalla poesia alla stampa di cartelle di grafica, dal patrimonio rupestre alle masserie fortificate del materano.
Per i Sassi il Circolo sì è impegnato in maniera continua e determinante, tenendo conto del loro valore storico-artistico, sociale e urbanistico, allo scopo di dare un concreto contributo per la loro salvezza e rivitalizzazione; dapprima ha redatto un progetto di restauro di un classico ‘vicinato’, quindi ha stilato uno schema di proposta di Legge che in Parlamento è stata la base della Legge 29 novembre 1971 n.1043.
L’azione di pressione del Circolo ha favorito in maniera determinante l’istituzione in Basilicata delle Soprintendenze ai Beni Culturali e Ambientali.
Con il bagaglio di esperienze acquisite, il Circolo si è reso disponibile all’organizzazione di congressi e convegni; principalmente si ricorda il II Congresso Nazionale di Archeologia Cristiana del maggio 1969 e la pubblicazione degli atti.
Nell’ambito dei beni naturali e paesaggistici il Circolo, attraverso incontri, dibattiti e pubblicazioni di diversi fascicoli divulgativi, si è battuto per:
1) la conoscenza delle straordinarie bellezze incontaminate della regione; 2) la salvezza del massiccio del Pollino; 3) la creazione del Parco Nazionale; 4) la nascita di una coscienza sensibile alla conservazione del patrimonio boschivo.
Nel 1975 il Circolo, inoltre, si è reso promotore del Convegno per la salvaguardia del territorio contro l’installazione di un impianto per la produzione delle bioproteine che, occupando una parte privilegiata della costa metapontina, bonificata ed irrigata, avrebbe oltremodo danneggiato la fiorente agricoltura.
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Un contributo significativo è rappresentato dallo schema di progettazione per la salvaguardia e la conservazione del patrimonio rupestre, schema che ha dato origine prima alla Legge Regionale n. 3/78 e poi alla Legge Regionale n.11/90 per l’istituzione del Parco Archeologico Storico Naturale delle Chiese rupestri del Materano.
Il Circolo ha favorito e supportato la costituzione di Zètema, Centro per la Valorizzazione e Gestione delle Risorse Storico-Ambientali, centro che è stato istituito con Legge Regionale n.4 del 23 febbraio 1987.
Cogliendo le occasioni e gli stimoli di natura culturale il Circolo ha organizzato a Matera e a Montemurro, nel maggio 1982, un convegno di studi su Leonardo Sinisgalli e, nello stesso anno, ha dato un notevole contributo per la realizzazione del Convegno di studi su Nicola Festa (1982).
Con la Soprintendenza ai Monumenti ha collaborato per la schedatura, catasto e vincolo dei monumenti rupestri e ha promosso lo studio della Piazza San Francesco dal punto di vista geo-archeologico, antropologico, storico artistico, architettonico e archivistico.
Negli ultimi anni il Circolo si è dedicato allo studio originale e complesso delle costruzioni rurali pubblicando nel 1986 per i tipi delle edizioni De Luca il volume “Masserie fortificate del Materano”
Tuttora il Circolo promuove scambi di manifestazioni con associazioni regionali e nazionali (Italia Nostra, WWF, Lega Ambiente, Onyx Jazz Club etc.).
Per affermare, la politica del Circolo sul risanamento e il riuso degli antichi rioni materani, un gruppo di soci ha acquistato un palazzotto nel Sasso Barisano (Via Sette Dolori, 10) e, dopo averlo restaurato, lo ha eletto sede sociale. Per la sopravvivenza del sodalizio e per istituzionalizzarne le attività il palazzotto è stato quindi donato al Comune di Matera con atto pubblico.
Nel campo delle attività relative alle arti visive moltissime sono state le mostre d’arte di noti autori e di artisti emergenti. Le manifestazioni hanno consentito spesso l’incontro tra personalità di grande rilievo e i giovani, favorendo uno scambio di esperienze utili sia per collaudare vocazioni sia per stimolare approfondimenti. Ai giovani più desiderosi di mostrare il proprio talento è stata data accoglienza nelle sale del Circolo dove sono state realizzate le prime mostre di scultura di artisti locali.
Da queste esperienze, tese soprattutto a ridare segnali di vita negli antichi e abbandonati rioni, è nata l’idea di allestire “Le Grandi Mostre nei Sassi”. Momento significativo è stato l’allestimento (giugno-settembre 1978) di una mostra all’aperto, nei Sassi e sull’altipiano murgico, di grandi sculture di Pietro Consagra. Si voleva, infatti, richiamare l’attenzione pubblica sul problema del riutilizzo del centro storico materano e del suo splendido “contorno rurale”.
Dopo questa mostra, nel maggio 1979, è stata presentata a Venezia “La Carta di Matera”, voluta dal Fronte dell’Arte costituitosi a Matera il 20 ottobre 1978, fra i responsabili del Circolo e gli artisti: P. Consagra, A. Cascella, P. Dorazio, M. Rotella, G. Santomaso, G. Turcato.
Facendo tesoro dell’esperienza acquisita nel 1978 con la mostra delle opere di Consagra e con l’intento di dimostrare come possono essere utilizzati adeguatamente gli spazi e gli ambienti ipogei dei Sassi, dal 1987 ogni estate il Circolo allestisce nel Complesso rupestre Madonna delle Virtù e San Nicola dei Greci la rassegna di scultura contemporanea “Le Grandi Mostre nei Sassi”. Tale iniziativa si è ormai imposta all’attenzione nazionale ed internazionale e contribuisce non poco all’opera di valorizzazione del patrimonio storico-artistico di Matera e del suo territorio.
Numerose sono le iniziative culturali messe in cantiere per il corrente anno e, tra le più significative, la mostra intitolata “Racconto di un popolo di statue” dello scultore Pietro Guida, che avrà luogo nel complesso rupestre Madonna delle Virtù e San Nicola dei Greci dal 29 giugno al 6 novembre 2016, realizzata nell’ambito della rassegna “Le Grandi Mostre nei Sassi”.
Tutte le attività che il Circolo realizza si inquadrano nel programma di eventi culturali per “Matera Capitale Europea della Cultura 2019”.
RICONOSCIMENTI
• 1966: premio IN ARCH per il lavoro svolto nel campo del patrimonio rupestre;
• 1967: diploma di Medaglia d’Oro per Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte, con decreto del Presidente della Repubblica, in data 2.6.1967 n. 98;
• 1967: conferimento del titolo di Istituto Culturale dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali a norma della legge 2.4.1980 n. 123;
• 1988: premio “Una vita per la Lucania” (terza edizione – Castronuovo S. Andrea);
• 1993: conferimento del titolo “Paul Harris Fellow” Rotary Foundation;
• 2001: premio “Lucana gens” conferito dalla Regione Basilicata., su proposta dell’Azienda di Promozione Turistica;
• 2005: premio “Roero: vino e territorio”.