Dopo il successo di pubblico e il grande entusiasmo raccolto a Potenza solo due mesi fa, la Lectio Magistralis di Mimmo Centonze su Caravaggio fa tappa anche a Policoro, lunedì 30 luglio 2018 alle ore 19 presso la Biblioteca Comunale Massimo Rinaldi, in Piazza Eraclea 1.
Sempre in occasione della presentazione del libro “Caravaggio e l’amore” di Anna Teresa Laurita, questa volta l’evento sarà arricchito anche dalla presentazione della mai noiosa Stefania Sibilio, che ha già presentato scrittori del calibro di Andrea Tarabbia (finalista del Premio Campiello 2016), Giuseppe Scaraffia e Cristiano Cavina, e dall’esecuzione di musiche del 1600 da parte del Materarte Quartet con i Maestri Rossella Sornatale, Fausta Visci, Antonio Fauzzi e Pietro Dattoli.
“Che tipo di relazione ebbe Caravaggio con l’amore? – afferma Mimmo Centonze – Quale amore poté manifestare un artista attaccabrighe, donnaiolo e spesso nei guai con la legge?”
A circa 60 anni dalla riscoperta ad opera dello storico dell’arte Roberto Longhi, dopo un interminabile oblio durato più di 300 anni, Caravaggio è diventato l’artista più importante e attuale, alla stregua di Giotto, anche più di Michelangelo.
Ma a causa della sua condotta turbolenta, delle sue opere oltraggiose, non in linea con gli ideali ed il gusto del suo tempo, lo storico dell’arte del ‘600 Bellori prima e la Chiesa poi, lo condannarono ad una lunga damnatio memoriae.
La conseguenza fu che per tre secoli Caravaggio fu eliminato dalla storia dell’arte.
Ma che tipo di relazione poté avere Caravaggio con l’amore? È documentata la sua frequentazione sia di diverse prostitute, alcune ritratte anche nelle sue opere, sia di ragazzi con cui pare intrattenesse rapporti sentimentali, modelli anch’essi di alcuni dei suoi più noti dipinti.
“Spesso nei guai con la legge e varie volte incarcerato per i continui litigi e risse, sempre pronto a scattare a qualsiasi provocazione – afferma Mimmo Centonze – assomiglia più a Tommy DeVito, il personaggio interpretato da Joe Pesci nel film “Quei Bravi ragazzi” di Martin Scorsese.
Fin dalle sue prime opere Caravaggio dipinse la realtà come nessun’altro prima di lui, preferendo rappresentare temi negativi e mai addolciti o idealizzati come: la malattia (il pallido “Bacchino malato” 1593-1594), foglie rinsecchite e mele bacate (“Fanciullo con canestro di frutta” 1593-1594 e “Canestro di frutta” 1596), situazioni illegali e da furfanti (i due personaggi che imbrogliano a carte ne “I bari” 1594).
Poi con “Il ragazzo morso da un ramarro” (1595-1596) inventa la fotografia moderna, quando dipinge lo scatto del movimento della mano, la smorfia di dolore su tutto il viso e la spalla contorta, anticipando la poetica che ha caratterizzato il fotografo dei primi del ‘900 Cartier Bresson.
In questa fase la realtà vista dagli occhi di Caravaggio supera i limiti della finzione, della posa, con una forza travolgente mai vista prima di lui.
Poi arriva una nuova visione, il cogliere l’attimo decisivo di una situazione come “La vocazione di San Matteo” (1599-1600), “La conversione di Saulo” (1600-1601).
Nel 1604 la Chiesa gli commissiona la “Morte della vergine”, ma lui prende come modella una prostituta appena morta nel Tevere, con il viso e la pancia gonfi per l’annegamento. L’opera viene rifiutata.
Poco prima dell’uccisione di Ranuccio Tommasoni, avvenimento che segnerà definitivamente gli ultimi anni dell’artista passati come fuggitivo, termina la “Madonna di Loreto” (1604-1606) rendendo la figura di Maria finalmente – ma anche troppo – accessibile, non celeste ed eterea ma presa dalla strada, proprio come i giovani rappresentati nelle opere giovanili.
Dipinge poi un Cristo preso dagli uomini, rendendolo imperfetto, nel “Cristo alla colonna” (1606-1607) mostrandolo in un attimo di paura in cui cerca quasi disperato, allontanandosi e torcendosi sulla colonna, di sfuggire a due uomini animaleschi e spietati, come anche nella “Flagellazione di Cristo” di Capodimonte (1607-1608).
Dopo l’omicidio di Tommasoni fu condannato alla decapitazione, che poteva essere eseguita da chiunque lo avesse riconosciuto per strada. Non gli resta che scappare e, in questa continua ansia di essere afferrato, gli tocca dipingere, su commissione o per scelta, teste mozzate: “Decollazione di San Giovanni Battista” (1608), “Davide con la testa di Golia” del 1610, anno della sua morte a Porto Ercole dove arrivò provato, affaticato e malato di febbre alta, quindi inutilmente curato in un sanatorio.