Sabato 29 marzo 2025 a partire dalle ore 18:30 nella Fondazione SoutHeritage in via San Potito nei Sassi di Matera è in programma l’inaugurazione del progetto espositivo “Opera, su opera, su opera: Claude Closky, David Lamelas, Jonathan Monk, Claude Rutault, Lois Weinberger”..
Fondazione SoutHeritage, quale istituzione animata dalla volontà di contribuire allo sviluppo culturale per produrre sapere espanso e consolidare le espressioni artistiche nella società rendendole visibili, rilevanti e significative, promuove il progetto espositivo: “Opera, su opera, su opera: Claude Closky, David Lamelas, Jonathan Monk, Claude Rutault, Lois Weinberger”.
Nell’ambito della propria evoluzione istituzionale, quale istituzione basata sulle mostre, la fondazione si pone come un facilitatore pubblico attivo, allo scopo di rafforzare l’ecosistema culturale del territorio rivolgendo la sua attenzione al dialogo tra contenuti espositivi e ricezione della creazione contemporanea. In questo quadro e nell’ambito della piattaforma di episodi espositivi dedicati a queste tematiche, in cui lo spazio espositivo diventa dispositivo funzionale alla valorizzazione del patrimonio culturale, ma anche all’accessibilità e alla condivisione dei saperi, l’esposizione è dedicata a questionare il ruolo delle opere e del pubblico dell’arte contemporanea insieme al loro percorso di fruizione, con l’obiettivo di creare un momento di dialogo sull’accesso all’arte contemporanea e ai suoi valori, sullo spettatore dell’arte visiva dei nostri giorni e sul formato mostra come organizzazione di un contesto di esperienza per il pubblico.
A partire da ricerche e metodologie di creazione contemporanea rappresentative e da un particolare contesto espositivo quale il padiglione SoutHeritage (una cappella gentilizia facente parte di un complesso edilizio del XVI sec. – Palazzo Viceconte, ubicato al centro dei Rioni Sassi di Matera – Patrimonio UNESCO) la mostra, attraverso importanti opere-testimonianza già rubricate e/o storicizzate, vuole favorire riflessioni critiche, contestualizzazioni e ricostruzioni di qualcosa che va oltre la consueta narrazione espositiva scandagliando il formato mostra come strumento di visione per il pubblico e allo stesso tempo contribuire a ridurre, nell’esperienza culturale dei fruitori, la distanza fra cultura storicizzata e esperienza quotidiana, individuando insieme a loro direzioni di senso rispetto alle quali guardare e condividere l’esperienza dell’arte.
In questo quadro la mostra si presenta, dunque, più come luogo in cui memorie, desideri e sensibilità del pubblico possono emergere e intrecciarsi con le molteplici dimensioni comunicative delle opere ostese, che come riproduzione-riproposizione di un tema specifico attraverso i contributi visivi degli artisti. Prospettando un modello curatoriale esornativo che tenta di distribuire la creazione tra artista e pubblico, essa non contiene un significato chiuso o un’operatività stabilita a priori, ma viene offerta come momento dialogico e riflessivo, stimolato dai molteplici scambi semantici e combinazioni mediali offerti dai lavori esposti. Pertanto, attraverso un allestimento che mette in scena opere intese come momenti di riflessione intorno a un gruppo di ricerche estetiche che hanno avuto la capacità di sfidare le convenzioni artistiche, il progetto espositivo si propone come una forma articolata di agency relazionale aperta a una esplorazione attentiva condivisa con il pubblico che necessita di essere informato sull’arte contemporanea.
Con la scelta di lasciare le opere aperte all’approccio individuale dei pubblici, senza indicazioni né condizionamenti, la mostra consente una visione ampia del concetto di esposizione rimandando direttamente al visitatore, al fruitore, la domanda sullo statuto di ciò che in quel momento sta osservando. L’esposizione si presenta così come una zona vacante e problematica in cui posizionarsi rispetto alla valenza che le opere possono assumere, lasciando aperta ogni possibilità di interpretazione in cui l’indifferenziata accumulazione di narrazioni, autorialità, storia e categorie-non categorie, si fa magma da cui trarre considerazioni. Le aspettative di un classico progetto espositivo con una lettura univoca e rapida delle opere vengono quindi “disturbate” dalle opere stesse che non si pongono come obiettivo quello di individuare un tema, ma sono tali senza alcun significato aggiuntivo, se non l’infinità di interpretazioni dello spettatore che con il proprio esercizio di visione e regia dello sguardo è lasciato libero di appropriarsene per contribuire a darne nuove prospettive di senso. La mostra cerca, quindi, di analizzare il ruolo trasformativo di uno spettatore ideale e di pubblici potenziali per i quali la mostra è intesa non solo come custode di patrimoni culturali, ma soprattutto come luogo di formazione e di aggregazione, laboratorio di idee e spazio dove poter crescere e fare esperienza.
In quest’ottica che vuole riflettere sul formato mostra come organizzazione di un contesto di esperienza e narrazione per il pubblico e sullo spazio dell’arte come negoziatore di atti immaginativi, l’esposizione, per implementare la sua politica di accessibilità, prevede inoltre l’organizzazione congiunta di attività di coinvolgimento del pubblico e di mediazione culturale adattiva (che implica una comunicazione che presuppone anche l’ascolto del fruitore) che, per tutta la durata della mostra vedrà approfondire alcuni aspetti fondamentali delle opere in mostra attraverso suggestioni, spunti e riferimenti legati anche a tematiche e figure di rilievo di correnti artistiche del contemporaneo. A completamento della mostra un apparato di didascalie ragionate (provviste di hashtags e mentions) e fogli di sala con linguaggio semplificato, arricchiscono e accompagnano il visitatore nell’offerta informativa.
Con questo modello espositivo, in cui la mostra cessa di essere solo vetrina per diventare soprattutto luogo di relazioni con le opere che tornano a essere segni comunicanti e non solo elementi paradigmatici, la fondazione SoutHeritage persegue uno degli obiettivi alla base del suo mandato e cioè quello di mettere in primo piano l’accesso gratuito alla cultura e offrire nuovi modelli di diffusione pubblica, considerando la mostra e la storia dell’arte come pretesto per aprire un dialogo sull’osservazione partecipante, per stimolare la crescita collettiva e discutere sulla cultura artistica contemporanea e i modi in cui viene tramandata, modificata e riarticolata, in uno spazio non di fruizione compulsiva ma partecipativo, che incoraggia la contemplazione, la connessione e la conversazione.
ARTISTI
Claude Rutault (1941, Les Trois-Moutiers, F > 2022, Boulogne-Billancourt, F)
Protagonista di un singolare percorso estetico che ha contribuito a modificare le regole della pittura attraverso una forte carica concettuale, che ha esteso i confini della pittura oltre la tela, Rutault si colloca fra gli artisti contemporanei più importanti della sua generazione. Con la sua particolare pratica, egli non ha mai personalmente dipinto le sue opere, né supervisionato la loro produzione in quanto quest’ultima è regolata da testi con regole, avvertenze e istruzioni (“de-finitions/methods”) attraverso i quali una galleria o un’istituzione accetta di attualizzare la sua opera. Suoi quadri sono stati esposti da istituzioni quali: Musée du Louvre (1993), Musée d’Orsay (2023), Centre Pompidou (2015), Musée National d’Art Moderne di Parigi (1992), Musée d’art moderne et contemporain di Ginevra (2013), Musèe di Grenoble (1992), Guggenheim Museum di New York (1998); inoltre ha partecipato alla Biennale di Sydney (1982), alla Biënnale van de kritiek, Anversa, Belgio (1979), a documenta 7, Kassel, Germania (1982).
Claude Closky (Parigi, 1963. Vive e lavora a Parigi)
Nonostante l’utilizzo di mezzi diversi, quali pittura, disegno, fotografia e Internet, lo strumento principale della sua arte rimane il linguaggio, di cui l’artista fa un uso tipicamente postmoderno, di manipolazione, appropriazione e decontestualizzazione. Lo spirito umoristico, surreale e assurdo, che sottende tutti i suoi lavori, è erede sia della tradizione del gruppo francese OuLiPo, quanto dei situazionisti, di Fluxus e soprattutto dell’arte concettuale, attenta all’analisi linguistica del medium utilizzato. Tutto il suo lavoro gioca intorno all’ambiguità semantica della cultura dei media, quindi i linguaggi della pubblicità, dei loghi e di Internet, per spostarne il significato e mettere a nudo con ironia i meccanismi che regolano la società dei consumi attraverso una rappresentazione della vita quotidiana semplificata fino all’assurdo. L’artista ha ricevuto il “Grand prix national d’arts plastiques” del Ministero della Cultura francese nel 1999 e il prestigioso “Prix Marcel Duchamp” nel 2005. Suoi lavori sono stati esposti presso: la Fundaciòn Miró di Barcellona (2004), al Banff Centre (2006), al museo MADRE di Napoli (2007), al Akbank Art Center di Istanbul (2010), al Mori Art Museum di Tokyo (2011), al MoMA di New York (2012).
David Lamelas (Buenos Aires, 1946. Vive e lavora a Los Angeles, Nizza e Buenos Aires)
Considerato uno dei pionieri dell’arte concettuale e del cinema sperimentale, soprattutto nel contesto della scena artistica d’avanguardia argentina, dopo gli studi presso l’Accademia Nazionale di Belle Arti di Buenos Aires e la St. Martin’s School of the Arts di Londra, l’artista ha cominciato a lavorare su installazioni che utilizzano dimensioni scultoree e architettoniche astratte per indagare lo spazio espositivo. Nel 1967 ha vinto il premio per la scultura alla IX° Biennale di San Paulo e nel 1968 ha rappresentato l’Argentina alla 34° Biennale di Venezia. Nel 1972 partecipa a Documenta 5 a Kassel, poi di nuovo a Documenta 14 nel 2017. Le sue numerose mostre personali includono, tra le altre, quelle al MSU Broad Museum di Michigan (2018), University Art Museum della California State University di Long Beach (2017), MALBA a Buenos Aires (2017), Tate Modern di Londra (2016), Kunsthalle a Basilea (2014), Kunstnernes Hus a Oslo (2013); Museum für Gegenwartskunst a Basilea (2008); Wien Secession di Vienna (2006); Museo Tamayo a Città del Messico (2005); Neue Nationalgalerie di Berlino (2000).
Lois Weinberger (Tirolo 1947 > Vienna 2020)
Ideatore del concetto di “giardino come opera d’arte”, l’artista occupa un ruolo fondamentale nel dibattito sul rapporto tra arte e natura, mescolando pratica agricola, conoscenza biologica, riflessioni ecologiche, oltre a considerazioni sociologiche ed economiche al fine di sviluppare il tema del giardinaggio come possibilità di riconciliazione fra natura e intervento umano. Conosciuto soprattutto per i suoi progetti ambientali, caratterizzati da dinamiche di espansione spontanea del mondo vegetale in aree marginali e dismesse del tessuto urbano, l’artista è stato impegnato per anni in interventi dal forte contenuto sociale e politico realizzando progetti ambientali in varie città del mondo e presentando il proprio lavoro in diverse sedi museali e nei maggiori eventi di influenza del mondo dell’arte come: le Biennali di San Paolo (1991) e di Venezia (2009), Documenta 10 e 14 di Kassel (1997 e 2017), Atene (2017).
Jonathan Monk (Leicester – UK 1969. Vive e lavora a Berlino)
Artista britannico il cui lavoro comprende un’ampia gamma di media, tra cui installazioni, fotografia, film, sculture e performance. La sua pratica artistica richiama strategie concettuali e minimaliste degli anni Sessanta e Settanta, con un approccio concettuale e umoristico, spesso legato alla sua storia personale. Gran parte del suo lavoro è caratterizzato da un gioco che demistifica il processo creativo e suggerisce modelli alternativi su come l’arte e il ruolo dell’artista possano essere reinterpretati. Sue mostre personali si sono tenute presso: Vox, Montreal, Canada (2017), Kunsthaus Baselland, Muttenz, Svizzera (2016), Museo d’Arte Contemporanea di Roma, Roma, Italia (2015), Irish Museum of Modern Art (IMMA), Dublino, Irlanda (2014), Centro De Arte Contemporáneo (CAC) Málaga, Spagna (2013), Kunstraum Dornbirn, Austria (2013), Palais de Tokyo e Musee d’Art Moderne, Parigi, Francia (2008), Kunstverein Hannover, Hannover, Germania (2006), Institute of Contemporary Art, Londra, Regno Unito (2005), Museum Kunst Palest, Dusseldorf, Germania (2003). Il suo lavoro è stato incluso in molte mostre collettive, tra cui la Biennale di Whitney (2006), la 50a e 53a Biennale di Venezia (2003, 2009), la Biennale di Berlino (2001) e la Biennale di Taipei (2000).
“OPERA SU OPERA SU OPERA”
progetto promosso da
Fondazione SoutHeritage per l’arte contemporanea
redatto da
Angelo Bianco Chiaromonte
coordinato da
Roberto Martino, Francesca De Michele
prodotto con il supporto di
MiC – Ministero della Cultura
Regione Basilicata
Palazzo Viceconte – Cultura
Bgreen – Agricoltura e Partecipazioni
e con il patrocinio e il contributo della Città di Matera
sedi
Fondazione SoutHeritage, Via S. Potito 7 – Rioni Sassi, Matera
Area soggetta a ZTL. Si consiglia di parcheggiare presso parcheggio Via R. Scotellaro e raggiungere P.zza Duomo – V. S. Potito a piedi
formato
mostra collettiva
artisti
Claude Closky, David Lamelas, Claude Rutault, Lois Weinberger, Jonathan Monk
inaugurazione
29 marzo, ore 18:30
date
31 marzo > 10 maggio 2025
orari
martedì > sabato – 17:00 > 20:00
ingresso
gratuito
info
+ 39 0835 240348
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