Il Museo della Follia nella città di Matera, all’interno degli spazi del Convicinio di Sant’Antonio, nel cuore del Sasso Caveoso. Il nuovo progetto della Fondazione Sgarbi è stato inaugurato nel pomeriggio dal critico d’arte Vittorio Sgarbi, pronto a trasformarsi in “cicerone” per illustrare ai giornalisti e alle guide turistiche le opere che fanno parte di questa emozionante iniziativa che coniuga l’arte con il dolore, con la malinconia, con la tristezza e la follia. Ad accompagnare il critico di Ferrara il sindaco di Matera Salvatore Adduce e l’attore lucano Rocco Papaleo, invitato dal critico d’arte nei giorni scorsi durante la premiazione del San Fele d’Oro. Tra i vip presenti all’inaugurazione del Museo della Follia anche il regista Pietro Carriglio. Numerosi anche i colleghi della stampa nazionale, tra cui Carlo Vulpio del Corriere della Sera, Marco Vallora, critico d’arte de La Stampa, Giuseppe Roveredo, poeta e scrittore e Guido Barlozzetti, giornalista di Rai 1.
Da una idea di Vittorio Sgarbi, realizzata dalla Fondazione Sgarbi e dal direttore artistico Cesare Inzerillo, in collaborazione con la Provincia di Matera e il Comune di Matera nasce il Museo della Follia che sarò pal 18 agosto al 30 settembre.
Dopo il Museo della Mafia, inaugurato a Salemi nel 2010 alla presenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e riprodotto in occasione della 54° Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, Sgarbi affida a Matera un nuovo incredibile progetto culturale. In realtà se non fosse stato chiuso per infiltrazioni mafiose proprio il Comune di Salemi probabilmente il Museo della Follia non sarebbe mai approdato nella città dei Sassi. E’ stato Sgarbi a confessarlo durante la conferenza stampa: “Siamo qui perchè il sogno di Salemi non poteva morire. Il luogo è sicuramente affascinante, tra i più belli d’Italia e sembra che siano fatti apposta per ospitare queste opere. Voglio precisare che questa non è una mostra ma un museo particolare in cui le opere non sono illustrate da didascalie. Credo che la poesia sia più importante della didascalia e in questo museo l’intenzione è quella di provocare delle emozioni”.
Il Museo della Follia è un regalo per Matera 2019? “Sicuramente il Museo della Follia arricchisce l’offerta degli eventi culturali della città di Matera ma questa città ha nel suo patrimonio il punto di forza e io sono convinto che rispetto ad altre città italiane candidate sia favorita per il titolo di capitale europea della cultura. Venezia, che dovrebbe essere favorita sulla carta, riuscirà a perdere come ha perso la possibilità di ospitare l’Expo qualche anno fa mentre Matera è una città più evocativa rispetto per esempio ad Assisi, Ravenna e Bergamo. In ogni caso già il fatto di essere in corsa per questa candidatura deve essere motivo di orgoglio per una città splendida come Matera e se non dovesse riuscire ad ottenere la vittoria avrà comunque realizzato tanti eventi culturali che faranno solo bene a questa città sotto tutti i punti di vista”.
“Il Museo sarà itinerante – spiega Antonella Favuzza, presidente della Fondazione Sgarbi – proprio perché crediamo nel valore errante della vita, nel suo essere stimolo per una consapevolezza che rende le esperienze più complete. Dopo Matera anche Trapani, Milano e Berlino faranno da sfondo a una iniziativa articolata che intende promuovere la creatività giovanile e recuperare spazi che potranno diventare laboratori artistici.”
La prima istituzione a credere nelle potenzialità del Museo della Follia è stata la Provincia di Matera, pronta a garantire tutto il supporto logistico per realizzare l’evento culturale nel Convicinio di Sant’Antonio. L’ente è stato rappresentato nella cerimonia di inaugurazione dal presidente della Provincia di Matera, Franco Stella e il presidente del Consiglio provinciale, Aldo Chietera.
“Il Museo della Follia – ha precisato Stella – rappresenta un volano per lo sviluppo economico e culturale di tutta la provincia di Matera. Albert Einstein sosteneva che solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo lo cambiano davvero e questa mostra ci dimostra come il “folle” Basaglia avesse compreso quale grande valore avesse, pur nel dolore e nella sofferenza, quella pazzia che per secoli è stata semplicemente condannata e torturata. La leggendaria Alda Merini, protagonista del bellissimo cortometraggio “L’altra verità. Diario di una diversa”, che ha portato la Comunità Fratello Sole a vincere l’edizione 2012 de “Lo Spiraglio Film Festival”, ha dato ragione di come i pregiudizi vadano demoliti con la forza della cultura. Una verità che questo territorio ha deciso di sostenere nell’interesse di uno sviluppo che si nutre di conoscenza.”
“Il progetto della Fondazione Sgarbi – ha aggiunto Chietera – si arricchirà inoltre di mostre temporanee tese a valorizzare la creatività locale.
“L’iniziativa – ha affermato il sindaco di Matera, Salvatore Adduce – si sposa bene con la candidatura di Matera a Capitale europea della cultura 2019 e non solo per la qualità artistica e per la capacità di iniettare nuova linfa nel settore della creatività. Infatti la mostra ci ricorda che la nostra città non è stata solo laboratorio internazionale di urbanistica nel Dopoguerra, ma anche, fra gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, uno straordinario esempio di modernizzazione sociale nell’ambito della psichiatria. La nostra città è stata fra le prime in Italia a seguire le innovazioni indicate da Franco Basaglia e uno dei luoghi in cui il movimento di Psichiatria democratica ha trovato terreno fertile per sviluppare e sperimentare concretamente l’integrazione sociale dopo la chiusura dei manicomi”.
Ripercorrendo la memoria di tutti gli ex manicomi, il Museo si articola in 4 sale.
1.Tutti i Santi _ Le sculture di Cesare Inzerillo: una installazione dove si ritrovano pazienti, dottori e infermieri, distinguibili solo dai dettagli dell’abbigliamento, ridotti a mummie, uniti dalla improba lotta contro la sofferenza e la morte.
2. La griglia _ Fotografie, dipinti e neon: Novanta ritratti di pazienti selezionati tra le diverse cartelle cliniche negli ex manicomi d’Italia compongono una griglia di oltre 12 metri dove un neon luminoso, seguendo il contorno di ciascun ritratto, dona luce e rumore ai pensieri di ciascun volto. Da segnalare in particolare l’effetto di grande suggestione che provoca la sala in cui sono stati inseriti i matti di Trapani, i cui volti sono stati abrasi e che vengono illuminati da un neon che si può anche spegnare pigiando un pulsante rosso posizionato proprio al termine della passerella che ospita il flusso dei visitatori.
3. Sala dei Ricordi _ Oggetti abbandonati: decine e decine di teche contengono libri di letteratura in lingua originale che hanno trattato il tema della follia nel corso dei secoli, farmaci ritrovati nei manicomi, effetti personali dei pazienti, giocattoli e disegni dal passato inquietante.
4. Franco Basaglia: proiezione del video “X-day” dove il professor Basaglia parla della futura legge 180. Inoltre, grazie al contributo del senatore Francesco Marini sarà proiettato un altro video-denuncia sugli ospedali psichiatrici italiani.
Tra gli artisti che espongono al Museo della Follia c’è anche il materano Mimmo Centonze. Dopo il fortunato e ormai celebre ritratto di Totò Riina e l’infuocata opera sui rifiuti mafiosi (“Capannone” 2009, che ha permesso all’artista di ricevere il prestigioso “Premio Speciale Fondazione Roma” nel 2010) realizzate da Mimmo Centonze per il Museo della Mafia, inaugurato nel 2010 a Salemi dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e presentato in occasione della 54. Edizione Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, Vittorio Sgarbi ha invitato Mimmo Centonze ad esprimersi sul nuovo tema dei progetti itineranti della sua fondazione: la follia. Centonze ha indicato al critico di scegliere Matera per i progetti della Fondazione Sgarbi e così il Museo della Follia aprirà i battenti in anteprima internazionale proprio nella Città dei Sassi, città natale dell’artista e candidata al titolo di Capitale Europea della Cultura 2019. Dopo Matera infatti il Museo della Follia si sposterà anche a Trapani, Milano e Berlino.
Nell’occasione, Centonze presenta ben quattro opere inedite: “Finestra di manicomio”, un monocromo dalla serie dei capannoni con una luce drammaticamente graffiata e scorticata dalle unghia dei pazienti che allude alla condizione angosciosa dei malati di mente impossibilitati a raggiungere la luce da vere sbarre di alluminio in alcuni punti forzate e piegate ma ancora intatte; “Prigione”, un interno di capannone lugubre e cupo la cui uscita è impedita da lunghe e pesanti sbarre di ferro che ricordano le celebri “Carceri d’invenzione” dell’incisore italiano del Settecento Giovanni Battista Piranesi; “Il folle”, un inquietante volto deturpato e corroso dalla follia fino a risultare sfigurato e irriconoscibile; “Conversione”, una grande scultura in alluminio di due metri di altezza costituita da innumerevoli segmenti assemblati tra loro in modo da creare una sagoma di un uomo scavata all’interno di un grande cumulo di rifiuti alle cui spalle si staglia un luce abbagliante che fuoriesce e che lascia intravedere la possibilità (oppure il sogno?) di un paziente in un manicomio che riesce a riscattarsi e ad uscire dalla sua condizione alienata.
Il museo della Follia è stato realizzato grazie al lavoro di quattro professionisti della Fondazione Sgarbi: Cesare Inzerillo, direttore artistico del progetto, Giovanni Lettini, vicepresidente della Fondazione Sgarbi e responsabile del Museo della Follia itinerante, Sara Pallavicini, direttore creativo e Stefano Morelli, responsabile allestimenti.
Michele Capolupo
La fotogallery dell’inaugurazione del Museo della Follia a cura di www.sassilive.it
VITTORIO SGARBI, LE RAGIONI DELLA FOLLIA
Il Museo della Follia a Matera è una sfida. Una sfida dei giovani contro i vecchi. Del bene contro il male. Nasce a Salemi dopo il Museo della Mafia oggi rimasto ostaggio della mafia. Avrebbe dovuto arricchire quella città, con le iniziative nate in occasione del 150° della Unità d’Italia di cui Salemi fù la prima capitale. Capitale di un sogno. Ma non è stato possibile realizzare quel sogno. Le forze del male hanno prevalso. E la mafia, uscita dal museo, ha vinto. Ancora una volta la sua impresa è riuscita. Questa volta in modo beffardo.
E sempre contro la vita. Non sostituendosi allo Stato. Ma sostituita dallo Stato. A Salemi la mafia è lo Stato. Che occupa abusivamente il Comune attraverso tre commissari che, senza democrazia, hanno sospeso ogni attività creativa, su incarico diretto del Ministro degli Interni. Volevano occupare anche la follia. Ma la follia non si lascia occupare, non accetta regole e commissariamenti. Io, sconfitto ma non rassegnato, meditavo la risposta, avendo perso ogni fiducia nelle istituzioni e vedendole in balia di mistificatori e di falsari che non combattono ma inventano un nemico, per affermare il loro oscuro potere.
Come scrive o come fa dire Alessandro Manzoni ad Adelchi:
«..Loco a gentile,
ad innocente opra non v’è; non resta
che far torto, o patirlo. Una feroce
forza il mondo possiede, e fa nomarsi
diritto: la man degli avi insanguinata
seminò l’ingiustizia; i padri l’hanno
coltivata col sangue; e omai la terra
altra messe non dà…».
Con questo stesso metodo, in fondo, nacquero i manicomi, non per isolare i pazzi dai sani, e tantomeno per curare i malati, ma per piegare gli irriducibili, per impedire ai diversi di essere diversi, per non consentire che qualcuno si muovesse fuori dalle regole stabilite dall’ordine costituito. “Una feroce forza il mondo possiede…”. È per questo, per quanto di anomalo, di originale, di creativo, d’individuale l’arte rappresenta, che si è sempre evidenziato e analizzato il nesso tra arte e follia.
Da Pontormo a Van Gogh, gli artisti più grandi hanno avuto rapporti difficili con la società, accentuando il loro individualismo. In questi percorsi sarebbe stato impensabile immaginare un rapporto tra mafia e follia, se il potere non avesse manifestato il suo volto attraverso la diabolica invenzione della mafia, non quella reale ma quella immaginata, sospettata, inventata, per consolidare le sue forme attraverso l’affermazione di uomini meschini e vili.
I primi a non crederci e a subire una ingiustizia e a patire una violenza, misurata per la prima volta negli anni dello studio e delle illusioni, sono stati i giovani che hanno lavorato con me, pieni di vita e di entusiasmo, a Salemi. Non hanno mai né visto né temuto la mafia; hanno visto e temuto il volto dello Stato in una burocrazia locale e stupida che si è riprodotta in quella istituzionale che finge di difendere i cittadini da una criminalità organizzata che non c’è più o che non è più lì. Un comodo alibi per limitare l’affermazione di tutto quello che non rientri negli schemi dei modesti e dei meschini che hanno, senza intelligenza e fantasia, costruito la loro piccola fortuna, non vergognandosi di approfittare delle vittime e dei morti. Io non avrei potuto e non potrei vivere di quella rendita e ho iniziato a cercare persone vive, e soprattutto giovani con ideali e desideri e poco inclini a facili retoriche.
A poca distanza da Salemi ho incrociato uno: Cesare Inzerillo. Che ritengo, non meno di Leonardo Sciascia e di Gesualdo Bufalino, un dono della Sicilia all’Italia e il cui solo impegno basta a spingere nell’angolo la mafia e lo Stato che la garantisce dandole certificati di esistenza.
Ma perché non si pensi che io magnifico un vero artista per una illusione ottica o per una deformazione, voglio che gli italiani ritrovino qui le parole di un osservatore laico, severo e non condizionato nella sua interpretazione dei fatti ne da pregiudizi ne da concezioni: Gian Antonio Stella.
Stella venne a Salemi, secondo l’indecoroso Prefetto di Trapani, condizionata dalla mafia (non si capisce quale e con quali rappresentanti), nell’imminenza della vista del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per celebrare il 150° della Unità di Italia. Venne, vide, scrisse. Non aveva ragione di fare sconti, né di essere indulgente con me, da giornalista riconosciuto per l’impegno e la verità delle sue inchieste. Fece quello che non sono stati in grado di fare due Ministri degli Interni. I quali hanno restituito Salemi alla mafia. Ecco le osservazioni di Stella, in loco (con le integrazioni, per cartas, di Sergio Rizzo):
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[…] Su tutto, però, svetta un museo che la Sicilia e l’Italia intera non hanno mai avuto e che non piacerà non solo ai mammasantissima ma neppure, viste le ultime battute su «Gomorra», a Silvio Berlusconi: il Museo della mafia. L’hanno voluto Sgarbi e Toscani, l’hanno costruito i ragazzi del «gruppo terremoto», l’ha ideato nella struttura Cesare Inzerillo, un giovane artista palermitano. Niente coppole, lupare, oggetti simbolici che poi ammuffiscono sotto la polvere. Ma un percorso multimediale. Nere le pareti, neri i pavimenti, nera l’atmosfera. Dentro, dieci cabine elettorali ognuna delle quali «arredata» per un tema: la violenza, la Chiesa, la famiglia, il potere, il carcere, l’informazione, la sanità… Pochi mezzi, pochi soldi (63.000 euro in totale, tutto compreso: un terzo di quello che costerà la «La Regata dei Mille» della vicina Marsala, che ha tappezzato i muri di manifesti accorgendosi troppo tardi che il lungomare era quello di Trapani!) ma in compenso tante idee. Sviluppate soprattutto attraverso i video. Intriganti. Affascinanti. Agghiaccianti. Da non perdere la strepitosa ricostruzione della storia della mafia attraverso le prime pagine dell’ultimo secolo, dall’uccisione di Petrosino all’arrivo del prefetto Mori, dal delitto Notarbartolo al sacco di Palermo, dalla morte di Salvatore Giuliano alla strage di Capaci. Undici sale complessive ricche di storia, dolore, orrore. Come quella dedicata a «Palermo felicissima» dove, dopo un amaro raffronto tra quella che era la bella città d’un tempo e la devastazione palazzinara, Inzerillo ha riprodotto un vero e proprio abuso edilizio, che culmina nella mummia di un morto ammazzato dalla mafia e cementata in un pilone. Non farà buona pubblicità all’Italia? Può darsi. Ma la mafia, al di là delle chiacchiere, si sfida anche così […]
[…] Non ce n’ è una, nella selva di immense pale eoliche stagliate nel cielo della stupenda valle di Mazara, che accenni a muoversi sotto un refolo di vento. Non una.
«Mai: non si muovono mai», maledice Vittorio Sgarbi, che il bidone dell’eolico in Sicilia lo ha denunciato da un pezzo, «Peggio: se anche si muovessero e producessero energia, quelli di Terna, che gestiscono la rete, hanno detto che non sarebbero in grado di prenderla e redistribuirla». Eppure, per tirar su questi bestioni giganteschi, hanno sventrato i fianchi delle colline, devastato i crinali, annientato ettari ed ettari di vigne in tutta la valle, tutto il Belice, tutta la Sicilia. Anche quando si tratta di terre incantate, punteggiate qua e là da antichi bagli di pietra tra vigne dal fascino struggente, come la Val di Mazara. Che il grande storico dell’ arte Cesare Brandi definì «la più bella strada del mondo».
Sergio Rizzo, Gian Antonio
Stella,
“La grande truffa siciliana
dell’ eolico senza vento”,
in Corriere della Sera, 8 maggio 2010.
In questo documentato resoconto, il lettore avrà avvertito l’entusiasmo spontaneo e genuino di Stella per Cesare Inzerillo. Non lo conosceva prima e ne ammirò incondizionatamente la complessa e documentatissima elaborazione del Museo della Mafia.
In quelle stanze non c’era e non c’è sociologia, documentazione del “fenomeno” mafioso, atti parlamentari. Ma vivo racconto attraverso le cronache e le immagini in un percorso avvincente, suggestivo, che culmina nella sala dedicata al grande affare della mafia, non locale ma internazionale, che è quello della falsa energia pulita con la sistematica devastazione del paesaggio. Contro l’Articolo 9 della Costituzione.
Il racconto di Inzerillo è tragico, prima che drammatico, ma è potentemente poetico. Una poesia del male, della malattia, della morte, proprio come quella del Caravaggio, del Caravaggio siciliano del Seppellimento di Santa Lucia e della Resurrezione di Lazzaro. Inzerillo parte da lì, passa attraverso le catacombe dei Cappuccini, tra le mummie di Burgio, i morti viventi di Bufalino e la Classe Morta di Tadeusz Kantor. Ne deriva una umanità che è sempre umanità di fantasmi e che, nella sua visione, stabilisce, al di là della vergogna dello Stato, con il canto libero e notturno della sua creatività, una continuità tra il Museo della Mafia e il Museo della Follia.
A Matera entriamo, come si può immaginare, nello spazio ideale del Convicinio Sant’Antonio, un complesso di Chiese rupestri nei Sassi dove, per secoli, sono transitate esistenze marginali, in condizioni di vita sacrificate.
Immagini, documenti, oggetti raccontano, a latere della umanità evocata da Inzerillo, le condizioni umilianti e dolenti dell’alienazione, le prescrizioni e le cure, i letti di contenzione e gli strumenti di costrizione. Ed è un repertorio non dissimile da quello, doloroso, dei reperti dei profughi nei campi di concentramento.
Frammenti che evocano infinite tristezze, isolati, anche nella loro innocua costituzione, come un cucchiaio, una fialetta odontalgica del Dott.Knapp, un pacchetto di Alfa, una chiave. Nulla di strano o di originale, nulla di specifico; tutto di doloroso. È l’introduzione al museo. Un repertorio, senza proclami, senza manifesti, senza denunce.
Poi si entra nella Stanza della Griglia. E si incontrano le persone. Uomini e donne come noi, sfortunati, umiliati, isolati. E ancora vivi nella incredula disperazione dei loro sguardi. Condannati senza colpa, incriminati senza reati per il solo destino di essere diversi, cioè individui. Inzerillo e Marilena Manzella te li mettono davanti, questi carcerati, con la divisa della loro malattia, che è la malattia della condizione umana e della psiche, con i segni di ciò che le è accaduto, degli incontri e delle occasioni.
Inzerillo dà la traccia, evoca, inevitabilmente Sigmund Freud e Michel Foucault, a cui fisicamente assomiglia, e apre la strada a un inedito riconoscimento, a una poesia della follia che muove i giovani in questa impresa, da me abbandonata e ora ritrovata. Antonella Favuzza, Sara Pallavicini, Giovanni Lettini e Stefano Morelli. Determinati, liberi, folli. A Matera. Ed ecco il loro museo nella proposta di alcune mostre temporanee e nella costruzione di questo libro. Così, stanze, muri, pareti dell’ospedale psichiatrico abbandonato di Teramo entrano nell’obiettivo di Fabrizio Sclocchini che rianima quegli spazi desolati con omaggi floreali di delicata poesia come a ricordare quelli che vi furono, confinati, rimossi, cancellati.
Poi appare un ospite solitario. Ingue fratello delle mummie di Inzerillo, come tutti presente-assente in un pigiama a righe, tranquillo e sfigurato. È uno di tanti, immaginato da Gaetano Giuffrè.
Poi c’è Grazia Cucco, indiavolata, con le sue allegorie e i suoi paesaggi, ossessioni di una ragazza che ha frequentato chiese e conventi dove stanno, prigioniere dell’anima, folli di Dio, suore vigilate da prelati, che erano una volta felici nel loro giardino delle delizie, fra animali fantastici. Ma subito si ritorna nella fabbrica del male con i volti scuri e gli sguardi senza speranza degli umiliati pazienti di Vincenzo Baldini. Nessuna città, nessuno spazio li accoglie. Stanno nei “non luoghi“ della loro mente. Poi arriva un collega visionario di Cesare Inzerillo: Lorenzo Alessandri con la serie di Camere con sogni e visioni di un mondo parallelo. Tra le più straordinarie esperienze narrative della pittura italiana negli anni sterili nei quali la figurazione era bandita, l’estro di Alessandri non è soltanto una delle rare testimonianze del surrealismo italiano ma l’euforia dell’alienazione, il protocollo della follia come manifestazione di libertà e contro le regole dell’habitat artistico torinese. E con rispetto della fantasia che declinava in arte povera.
Omaggio al genius loci, con una virtuosistica testimonianza di arte a tema, è la presenza di Mimmo Centonze, più savio che folle, folletto nella Matera dei Sassi.
Un classico della follia è Gino Sandri, che per una intera epoca, disegnerà i suoi fratelli nell’universo chiuso del manicomio con dolente partecipazione, con rassegnazione e una urgenza di non far mancare all’appello della vita uomini che sono vissuti fuori dalla storia, non rilevati. Il manicomio, più del carcere, è il luogo dei rifiuti dove vengono chiusi quelli che non si adeguano, che non sono disposti ad accettare l’ordine del mondo, quelli che urlano la loro indisponibilità. Sandri, uno di loro, li osserva. Su quei volti non c’è mai un sorriso, sono individui che hanno perso la loro identità, e la matita di Sandri li carezza, li rianima e ne riconosce l’esistenza.
Diverso il caso di Carlo Zinelli, che non guarda la realtà che vede, che non illustra, che non documenta ma trasferisce sulla carta i pensieri di un’anima turbata, le ossessioni, le ripetizioni, le processioni. È un puro visionario, dal quale escono archetipi invariati da circa diecimila anni. Prima urgenza che pittura ma, alla fine, un universo che sembra direttamente uscito dalle grotte di Altamira o dall’altopiano dell’Akakus. Il malato folle, che ha la ventura di esprimersi, si pone davanti a forme sempre nuove e insieme ripetitive attraverso le quali si documenta e si riconosce il rapporto tra follia e arte.
Ma non si può ignorare anche il rapporto “alto” tra arte e follia, e cioè l’esaltazione del puro pittore
(Van Gogh, Antonio Ligabue, Massimo Mariano), come si manifesta qui in Raimondo Lorenzetti, che convive con i suoi paradossali personaggi con i quali sostituisce l’umanità che preferisce evitare.
Dai manicomi era difficile uscire, ma nei manicomi era ancora più difficile entrare. Per questo è così straordinaria la serie di ritratti fotografici di Giordano Morganti che, mentre impudicamente svela la condizione dei malati, li innalza a nuova e inedita dignità formale, con folgoranti primi piani o taglia a figura intera contro un fondale neutro. Questi non sono più anonimi ma personalità distinte; e, davanti ai loro corpi smagriti, offesi, costretti a pagare per non avere fatto nulla, è stata concepita la Legge Basaglia, una pagina di storia per l’umanità e i diritti dell’uomo. Oggi, uscendo dalla indifferenza, dobbiamo portare a termine l’impresa di Basaglia con la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, un capitolo scandaloso della violenza contro l’uomo.
Sulle ceneri di questo mondo di emarginati, di abbandonati, di umiliati si pone infine Roberta Fossati che, entrata nell’ospedale psichiatrico di Volterra, ha ritrovato la voce soffocata di un’anima sepolta: ed un lungo lamento che resta documento e non diventa poesia se non nell’emozione che lo vivifica in chi ne ritrova la traccia sul muro. Così, chi non ha avuto la forza di far sentire il proprio urlo disperato oggi, troppo tardi, lo fa arrivare alle orecchie di una donna sensibile che lo trasferisce in immagini silenziose. Ancora una volta le parole non saranno lette, ma la loro eco rimane dentro di noi.
Il Museo della Follia non è una storia della follia. È una serie di suggestioni, di paure, di prepotenze che dovranno riguardare anche noi, protetti e attratti dai matti. D’altra parte, non potendone fare a meno, li abbiamo fatti diventare artisti. Se la follia vive nei sogni non ci possiamo liberare di lei.
elogi alla mostra ma trapanare le mura per appendere i quadri non si può sentire!!!!!!! c’è sempre qualcosa d’improvvisato
LA FOLLIA NON SI PUO’ IGNORARE!!!