Martedì 25 aprile 2017 alle ore 11 presso la Fortezza di Civitella del Tronto in provincia di Teramo è in programma l’inaugurazione della mostra “Per inciso”: Vittorio Manno, Angelo Rizzelli e la tradizione grafica italiana, a cura di Anthony Molino.
Di seguito la recensione sulla mostra di Rino Cardone e Anthony Molino
L’arte incisoria di Vittorio Manno e di Angelo Rizzelli, di Rino Cardone
Vittorio Manno e Angelo Rizzelli da quarant’anni portano avanti la Grafica di via sette dolori a Matera, una “scuola-bottega” dove si prende dimestichezza con le tecniche calcografiche, cui fanno capo maestri incisori di fama internazionale. Per questa mostra di Civitella del Tronto, Vittorio Manno ha selezionato una serie d’incisioni in cui ha dato piena centralità alle composizioni ambientali e ai paesaggi urbani. E realizzando – nello stesso tempo – sullo stesso spazio dell’opera, delle impronte antropiche e immaginifiche. Angelo Rizzelli ha posto, invece, la sua attenzione sulle “geometrie fantastiche” assorbite dallo spazio, sui “campi semantici” del segno, sui contrasti di luce, sulla potenza della mente e sugli archetipi universali.
Si tratta di due ricerche creative, assai raffinate, in cui il medium è rappresentato sia dalla conoscenza della tecnica del linguaggio incisorio che dalla sua applicazione pratica sulla lastra di zinco, o di rame, e poi direttamente sul foglio di carta. È in questa fase dell’“elaborazione immaginifica” che i due incisori pongono – sullo stesso asse mentale e costruttivo – la mente, gli occhi e il cuore. Vittorio Manno pone attenzione, in particolare, ai tagli di luce e alle ombre. Angelo Rizzelli pone interesse, invece, alle sagome e alle forme. Le due ricerche si muovono su piani paralleli, che s’incrociano tra loro nella modulazione dei piani. E cioè: sulle altezze, sulle larghezze, sulle profondità e sugli spessori.
In questa maniera, questi due artisti manifestano il loro stile incisorio, che si riconduce a una “marca espressiva” comune. È quella che proviene da una stessa “matrice culturale” e da una medesima “identità creativa” che derivano, innanzitutto, dallo spirito del Salento: cui loro sono testimoni per opportunità di nascita. Vittorio Manno è, infatti, di Squinzano e Angelo Rizzelli, invece, di Andrano: tutte e due in provincia di Lecce. A questa “aura fantastica” di appartenenza originaria/geografica alla Puglia si aggiunge, poi, quell’atmosfera eterica, emotiva, mentale e astrale della Matera che i due incisori hanno scelto per vivere e per lavorare.
L’alternarsi, sfumato, delle luci e delle ombre – all’interno dello stesso spazio prospettico – riteniamo che sia stato scelto da Vittorio Manno per affermare la distanza che esiste tra l’idea e la realtà, tra la motivazione e l’attività concreta. Nelle opere di Angelo Rizzelli è presente invece – quasi in contrappunto con il suo collega incisore – il senso di una memoria che si fa storia futura, passando da un’interpretazione stoica della realtà materiale e da una destrutturazione delle forme del sogno.
(Questo brano è tratto dal catalogo della mostra Per Inciso: Vittorio Manno, Angelo Rizzelli, e la tradizione grafica italiana, a cura di Anthony Molino, che si terrà presso la Fortezza dal 25.4 al 14.5.2017.)
Vittorio Manno e Angelo Rizzelli, il segno tra memoria e sogno di Anthony Molino
Questi coni rovesciati, questi imbuti, si chiamano Sassi: Sasso Caveoso e Sasso Barisano. Hanno la forma con cui, a scuola, immaginavamo l’inferno di Dante. E cominciai anch’io a scendere per una specie di mulattiera, di girone in girone, verso il fondo. La stradetta, strettissima, che scendeva serpeggiando, passava sui tetti delle case, se così quelle si possono chiamare. Sono grotte scavate nella parete di argilla indurita del burrone: ognuna di esse ha sul davanti una facciata; alcune sono anche belle, con qualche modesto ornato settecentesco. Queste facciate finte, per l’inclinazione della costiera, sorgono in basso a filo del monte, e in alto sporgono un poco: in quello stretto spazio tra le facciate e il declivio passano le strade, e sono insieme pavimenti per chi esce dalle abitazioni di sopra e tetti per quelle di sotto…
(Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli)
Carlo Levi ha scritto il suo capolavoro tra il 1943 e 1944, quando Vittorio Manno e Angelo Rizzelli erano ancora bambini, poco meno che scugnizzi. Lo scrisse quando non erano ancora arrivati a Matera, dove, separatamente e in momenti diversi, sarebbero approdati da lì a quindici anni il primo, ancora dopo Rizzelli. Ma era impossibile per due giovani meridionali, cresciuti nel dopoguerra e con l’ambizione inconsueta e osteggiata di fare arte, ignorare la storia di terre al confine con la propria. Da adolescenti avevano sicuramente letto le pagine struggenti di Cristo si è fermato a Eboli, come sicuramente conoscevano le poesie, nobili e accorate, di denuncia e di speranza, di Rocco Scotellaro. Seppur ragazzi, non ignoravano certo lo sgombero dei Sassi ordinato da De Gasperi nel 1952, e la campagna di bonifica della cosiddetta “vergogna nazionale”. E’ fatto giorno era il titolo della raccolta pubblicata da Scotellaro nel ’54, dove una delle poesie si intitola “Lucania”:
M’accompagna lo zirlio dei grilli
e il suono del campano al collo
d’un inquieta capretta.
Il vento mi fascia
di sottilissimi nastri d’argento
e là, nell’ombra delle nubi sperduto,
giace in frantumi un paesetto lucano.
Eccoci, all’alba della ricostruzione, dell’emergenza della questione meridionale, con tanta parte del Sud in frantumi quando, appunto, sull’Italia si era fatto giorno. Mi immagino due giovani uomini, poco più che ventenni, consapevoli già d’allora che la propria cultura, la propria civiltà, per rinascere davvero dalle macerie della guerra e dall’atavica miseria doveva poter contare anche sulla forza dell’arte, e degli artisti. Non penso all’arte a servizio del partito, o sua ancella, come poteva essere quella del primo Guttuso o di un Treccani; penso invece ad un’arte come quella invocata, e praticata, da Albert Camus, anche lui uomo del sud del mondo, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1957, solo due anni prima dell’arrivo di Manno a Matera, che nel suo discorso di accettazione del premio ebbe a dire:
L’arte non è ai miei occhi gioia solitaria: è invece un mezzo per commuovere il maggior numero di uomini offrendo loro un’immagine privilegiata delle sofferenze e delle gioie di tutti. L’arte obbliga dunque l’artista a non isolarsi e lo sottomette alla verità più umile e più universale. E spesso chi ha scelto il suo destino di artista perché si sentiva diverso dagli altri si accorge ben presto che potrà alimentare la sua arte e questo suo esser diverso solo confessando la sua somiglianza con tutti: l’artista si forma in questo rapporto perpetuo fra lui e gli altri, a mezza strada fra la bellezza di cui non può fare a meno e la comunità dalla quale non si può staccare.
Così immagino le motivazioni di Manno e Rizzelli, motivazioni giovanili a cui, ho ragione di credere, siano rimasti fedeli nel quasi mezzo secolo che li vede operare ancora tra i Sassi di Matera, nella stamperia storica ubicata in Via dei Sette Dolori, in una stradetta che serpeggia ancora come quelle descritte da Levi. Lì notavo, durante una mia recente visita, che su una parete del loro laboratorio spicca una locandina di un altro artista, di uno che ha fatto la storia del cinema e, in modo non dissimile da Levi, anche quella di Matera. Siamo nel 1964 quando Pier Paolo Pasolini, col suo Il vangelo secondo Matteo, eleva i Sassi ad icona di un mondo al trapasso ma che contiene in sé il germe della propria resurrezione. Voglio pensare che Manno e Rizzelli, già presenti a Matera quando vi mette piede Pasolini, con la loro arte incisoria conosciuta in tutta Europa e non solo, siano tra i veri artefici della resurrezione odierna della città: artefici silenti, operosi, umili, nella tradizione di artisti come li intendeva Camus, che lontani dal chiasso che vuole oggi Matera capitale europea della cultura, nobilitano con i loro segni tale vocazione autentica, e non solo promozionale, della città lucana.
Mentre articolavo con i Maestri il progetto di questa loro mostra presso la Fortezza di Civitella del Tronto, Vittorio mi parlava di come l’arte sua e di Angelo fosse da intendere come un segno che si collocava tra la memoria e il sogno. Ho preso a cuore questa sua indicazione, e senza altri suggerimenti ho voluto tradurla in queste poche riflessioni, tese a recuperare qualche granello di una flebile se non pericolante memoria collettiva. Questo perché si possa intravvedere il ponte che unisce i segni sublimi tracciati da Manno e Rizzelli nei loro quarant’anni a Matera e il sogno, incorruttibile come quegli stessi segni, che da sempre li anima.