Partendo dal restauro del Castello di Laurenzna lo storico materano Gianni Maragno svela le origini del Principe Raimondo di Sangro e della Cappella del Cristo Velato a Napoli. Di seguito la nota integrale inviata alla nostra redazione.
Procedono i lavori di ristrutturazione del suggestivo castello di Laurenzana, posizionato su uno sperone di nuda roccia, imbracata da un intreccio di cavi d’acciaio che la attraversano da parte a parte, utilizzando una tecnica di restauro discreta, poco invasiva (i tiranti non si scorgono se non da vicino) e di indubbia efficacia.
Il maniero svetta sulla cittadina lucana proprio come un nido d’aquila, quasi a rievocare il nome del casato che ne ha tenuto per un lungo periodo il possesso e l’uso: i Duchi Gaetani dell’Aquila d’Aragona, una famiglia discendente da una illustre dinastia che annovera due Pontefici, numerosi Cardinali, insigni uomini d’arme, Viceré di Sicilia e dignitari di alto rango.
Al ramo apulo-lucano della nobile casata apparteneva il VII Principe di Sansevero, Raimondo di Sangro, (Torremaggiore, 30 gennaio 1710 – Napoli, 22 marzo 1771); nel suo saggio: Napoli, tre millenni di storia, l’appassionato di storia locale Bruno Basile lo definisce “personaggio singolare, eccentrico oltremodo misterioso, nonché bizzarro ed ingegnoso dilettante, nella cui persona ebbero a convivere l’esoterista, l’alchimista, l’inventore, il fisico e matematico, l’anatomista, il militare, il massone, il letterato e il filosofo”. Vissuto nel XVIII secolo, Raimondo si distinse per intelligenza e sensibilità verso l’arte e trascorse la sua esistenza prevalentemente a Napoli, nel Palazzo de’ Sangro, in Piazza S. Domenico Maggiore, residenza, nel corso del Cinquecento, del Principe e raffinato musicista Carlo Gesualdo da Venosa, che si era macchiato dell’assassinio della moglie, la Principessa Maria D’Avalos, e del suo amante, il Duca di Andria, Fabrizio Carafa.
L’aura sinistra che aleggiava intorno alle vicende di quel palazzo, accrebbe la fama di mistero del versatile quanto enigmatico Principe di Sangro. Figlio di Antonio e di Cecilia Gaetani dell’Aquila d’Aragona, duchessa di Laurenzana, Raimondo rimase orfano di madre ad appena un anno e, fino ai nove anni, la sua educazione venne affidata al nonno paterno, perché il padre Antonio, noto per il suo carattere violento, si rifugiò a Vienna dopo aver ucciso il genitore di una giovane donna che aveva violentato.
Il giovane Raimondo, dotato di viva intelligenza e desideroso di apprendere, venne inviato a Roma allo scopo di perfezionare gli studi presso il seminario dei Gesuiti. In seguito, i nonni materni, il duca di Laurenzana Nicola Gaetani dell’Aquila di Aragona e sua moglie Aurora Sanseverino, individuarono nella giovane cugina del Principe, Carlotta Gaetani dell’Aquila d’Aragona, figlia del Conte Tommaso e di donna Guglielmina Meroda; la futura sposa del rampollo di casa de’ Sangro. La giovinetta non pose indugio per rientrare dalle Fiandre, dove risiedeva in quel periodo, e convolò a nozze. Il matrimonio di Raimondo e Carlotta fu felice, duraturo e allietato dalla nascita di cinque figli.
Delle tante attività e passioni del Principe di Sansevero, la testimonianza più nota e ricordata è la Cappella Gentilizia dei Sansevero, che scaturì da un ampliamento della Cappelletta del Conte di Sangro, conosciuta come Pietatella, dislocata nel giardino dell’antica dimora partenopea dei de’ Sangro.
Fu il settimo Principe di Sansevero che nel 1749 mise mano al completamento della struttura che volle corredare di stupende opere d’arte che integravano il sistema di simboli per determinati messaggi esoterici diretti agli iniziati della setta dei Liberi Muratori, della quale il Principe era Gran Maestro. Provvide quindi, attraverso un ponte di passaggio (completamente affrescato) a collegare la Cappella al suo palazzo, ma nel 1889 si verificò un crollo e il passaggio non venne più ripristinato. L’interno della Cappella è risplendente di capolavori d’arte: quadri e sculture realizzati dai maggiori artisti dell’epoca, ai quali il Principe di Sansevero aveva affidato il compito di integrare i lavori con l’architettura della Cappella e con le quattro opere preesistenti (monumenti dedicati ai de’ Sangro).
La Cappella, a navata unica, è di forma rettangolare con quattro archi a tutto sesto per lato, in ognuno dei quali vi è un monumento sepolcrale; la volta a botte, affrescata da Francesco Maria Russo, riproduce la Gloria del Paradiso.
Il Cristo velato, opera dello scultore Giuseppe Sammartino, è posto al centro della Cappella ed è senz’altro l’opera più famosa, scolpita in un unico blocco di marmo a riprodurre la deposizione del Cristo dalla croce, disteso su un giaciglio e che traspare dal di sotto di un velo, risultato di un fine lavoro di scalpello.
Altro capolavoro è la Pudicizia velata, dedicata a Cecilia Gaetani, la madre che Raimondo non conobbe mai, raffigurata in piedi, con gli occhi chiusi e coperta da un velo che avvolge delicatamente i suoi lineamenti.
Ancora una volta, la cittadina di Laurenzana, che soltanto un secolo fa contava oltre 7000 abitanti rispetto ai 1700 odierni, conferma di avere svolto un ruolo di rilievo nelle vicende storiche e nell’impulso economico e produttivo della Basilicata, attraversando con riconosciuto impegno e lusinghieri risultati governi e regimi diversi che si sono susseguiti. Confidiamo che, insieme alla ristrutturazione e conseguente rinascita del Castello, possa anche rifiorire quello spirito di iniziativa che portò Laurenzana a divenire il polo delle bevande spiritose (come un tempo venivano denominati i liquori e distillati) e di altre valide iniziative imprenditoriali, attive e rinomate tra Otto e Novecento in Italia e all’estero.
Gianni Maragno
Foto di Giovanni Motta