Giovedì 26 maggio 2016 alle ore 19.30, presso lo Studio Arti Visive a Matera, in via delle Beccherie, 41, è in programma l’inaugurazione della mostra dal titolo “Famiglia Niglio. Dalla fornace di via La Croce. 1874 – 2016”.
Proseguendo il ciclo delle esposizioni che hanno come scopo il recupero alla memoria collettiva e la valorizzazione della produzione artistica locale, la mostra ricostruisce le vicende biografiche e la produzione della famiglia Niglio che opera a Matera, da oltre un secolo, nel campo della lavorazione dell’argilla, plasmando tradizionali “Fischietti” e “Cucù”, colorati “oggetti suonanti” dalla funzione apotropaica, e non solo.
La mostra sarà visitabile dal 26 maggio al 7 giugno 2016 presso lo Studio Arti Visive, dalle ore 19.30 alle ore 21.00, dal lunedì al sabato.
Presentazione dell’evento culturale a cura di Francesco Niglio
Il rapporto con l’argilla, materia primigenia e cosmogonica, dura nella mia famiglia da almeno 140 anni.
Nonno Giuseppe, (1864-1942) e mio padre Michele, (1897-1957), fino alle soglie degli anni trenta del XX secolo, “lavorarono e depurarono” a mano tonnellate di argilla “vergine” (oggi la si acquista comodamente in ballette già “trattata” e pronta per l’uso!), per la produzione di laterizi utilizzati nell’edilizia urbana materana e in quella delle città limitrofe di Altamura, Santeramo, Gravina, Laterza.
Durante e dopo la seconda Guerra Mondiale, l’argilla è stata manipolata da papà, dai miei fratelli Peppino e Tommaso (ora anche da me!), per la creazione di oggetti fra i più diversi, ma in certo modo, in rapporto con la produzione dei Fischietti e dei Cucù da vendere, in particolare, a Picciano. Questo accadeva quando, almeno fino ai primi anni sessanta del ‘900, la festa della prima domenica di Maggio celebrata sul Colle, era un accorrere di pellegrini dalla fede “popolare e semplice” ed i “fischietti”, dalle fogge più diverse, fungevano da strumenti apotropaici!
Con l’argilla si è perpetuata una tradizione familiare di produzione di “oggetti suonanti” tra i quali, a quanto mi si racconta, particolarmente “raffinati” risultavano quelli manipolati da papà e dalla sorella Maria. Oggetti suonanti, dunque, ma insieme a pregevoli sculture raffiguranti la Madonna di Picciano, San Francesco da Paola, taumaturgo particolarmente caro alla città di Matera, “pupette” a cavallo, carabinieri, animaletti vari.
Si lavorava con lena, intorno ad un braciere, nella serena intimità della numerosa famiglia, durante i lunghi mesi invernali, quando languivano i lavori di pitturazione degli ambienti domestici: si producevano anche fino a 2000 esemplari che, dagli anni cinquanta, i miei fratelli cuocevano in una fornace costruita in una grotta dei Sassi!
“Oggetti suonanti”, si è detto, che pur esprimendo l’antica tradizione, si presentano oggi “evoluti” nelle forme e negli impasti cromatici tanto da costituire oggetti d’arredo.
Nella esposizione, tracce di manufatti di papà Michele, di Peppino, Tommaso, dello scrivente e Antonietta, figlia di Tommaso, probabile erede della tradizione familiare.
Di Peppino, bozzetti di Carro della Bruna mai realizzati e foto di un “Carro” del 1952 realizzato da Peppino e Tommaso in collaborazione con il maestro Raffaele Pentasuglia, zio dei due più famosi, Francesco e Raffaele. Di Peppino, ancora, una Madonna della Bruna in cartapesta del 1971.
L’esposizione è dedicata alla memoria di quel fragile, prodigioso fratello da me visceralmente amato, il “maestro” vero della mia famiglia: Peppino.
Francesco Niglio