Colonne di cemento, tubi innocenti e sacchi di terra. Scene di degrado urbano, chi guarda percepisce il disagio, la violenza che ogni napoletano sente sulla propria pelle. Però questa non è una storia che riguarda solo Napoli. A Napoli la goccia cade poi si espande. Impresa non facile, un adattamento teatrale di Gomorra, il libro di Roberto Saviano. L’ha fatto Mario Gelardi, autore e regista napoletano che da tempo frequenta il teatro civile e le questioni difficili.
Sua è la regia di Gomorra, scritto insieme allo stesso Saviano e portato in scena anche al Teatro Duni di Matera. Uno spettacolo "scioccante e violento come i fatti veri che racconta", dice il regista. Sono cinque storie scelte dal libro e il regista ammette che "era impossibile raccontare tutto, non avremmo approfondito nulla".
Gelardi, in che modo avete tradotto il libro in racconto teatrale?
"Rendendo più rotondi i personaggi. Dandogli un’anima, delle emozioni e una vita. E usando un personaggio terzo come collante, che è proprio Saviano (l’attore Ivan Castiglione, ndr). La gente vedrà in che modo ha conosciuto quelle persone, come si pone nei loro riguardi. Raccontiamo il momento in cui stava per mettersi a scrivere e finiva di raccogliere materiale. Abbiamo cominciato a lavorare oltre due anni fa, quando Gomorra non era stato ancora pubblicato".
Il grande successo del libro, poi la scorta assegnata a Saviano. Vicende che hanno influito sul vostro lavoro?
"Più la scorta che il successo. E’ diventato difficile il rapporto, e lavorare. Ci sono stati momenti di preoccupazione pure da parte mia. E’ stato più un problema umano che pratico".
Un problema anche lavorare su un libro che animato tante polemiche.
"Ovvio che su quell’argomento circolino polemiche e tensioni politiche, sociali, cittadine. Noi ci siamo imposti l’obiettivo di uno spettacolo efficace, che restituisse lo spirito autentico del libro".
Lei seguiva da vicino Saviano e la scrittura di Gomorra. Che impressione le faceva il quadro che via via si componeva?
"Dei veli che si tolgono. La realtà che si spanna. Roberto è stato i miei occhiali, mi ha dato la possibilità di vedere le cose, com’è stato per moltissimi napoletani che hanno letto il libro".
Ma altrettanti hanno detto che quelle cose si sapevano già.
"Una gran boiata. E comunque, noi napoletani non le conoscevamo in quel modo, con l’asciuttezza dei dettagli, i particolari, le notizie. Per molti il libro è stato rivelatore. Su Napoli era stato messo un plaid caldo. Roberto l’ha tolto e ha fatto venire i brividi alla città".
Lo spettacolo dice chiaro che la questione non riguarda solo Napoli.
"Parliamo di un potere criminale che riguarda tutti. Pensarlo come problema locale è una deformazione assoluta. Perché non è un potere criminale ma soprattutto un grande potere economico".
E come si rende sul palcoscenico?
"Con gli attori (Ivan Castiglione, Ernesto Mahieux, Francesco di Leva, Antonio Ianniello, Giuseppe Miale, Adriano Pantaleo,) abbiamo lavorato sul corpo per rendere quell’aggressività tipica di certi personaggi che sono molto violenti anche se non hanno armi. Poi, con la ‘pulizia’ di quelli legati all’aspetto economico. I boss non sono più vecchio stile, sono giovani, laureati alla Bocconi, vestono bene e parlano in italiano corretto".
Saviano fino a quando ci ha lavorato?
"Sempre. Il peggior censore di Saviano, è Saviano. Tagliava ogni frase che potesse sembrare retorica o celebrativa nei suoi confronti. Pochi giorni fa, ha tagliato tutto un pezzo, in blocco. A così poco tempo dal debutto, è stato un po’ un casino…".