In questo mese d’ottobre, mentre nelle chiese, secondo tradizione, si accendono la preghiera e la generosità per l’evangelizzazione ad extra, arriva nelle sale cinematografiche Cabrini, un film diretto dal messicano Alejandro Gómez Monteverde che issa, davanti all’attenzione degli spettatori, la figura della grande missionaria Francesca Saverio Cabrini (1850-1917). A Matera ce ne sarà una proiezione straordinaria lunedì 14 ottobre, alle ore 20,00, nelll sala dell’Uci Cinemas Red Carpet. Sarà presente Federica Picchi Roncali. Non è una presenza di poco conto. È una manager di successo che, dopo la perdita dei genitori, ha riscoperto il Vangelo e la figura di Cristo, una svolta nella sua vita. Ha fondato la Dominus Production, investendo creatività e risorse nella realizzazione e nella diffusione di opere letterarie e filmiche tese a ricercare e indagare nell’umano la vera bellezza che risiede in ogni cosa. Matera, che si proclama Civitas Mariae ma, congiuntamente e prima, è Civitas Christi, la cui realtà e bellezza da Cristo sono state innalzate agli occhi del mondo tramite Levi, Pasolini e Gibson, ha la possibilità di conoscerne la visione. Nel frattempo qui tratteggio la vita dell’immensa Cabrini.
Francesca Cabrini, nata a Sant’Angelo Lodigiano, già da ragazzetta sente un’incalzante chiamata a divenire missionaria. Nelle serate d’inverno ha udito il padre leggere ad alta voce negli Annali della propagazione delle fede le meraviglie operate da missionari eroici fino alla morte, per rispondere al bisogno di Vangelo che sospira nei popoli. Gracile di costituzione, è respinta da diversi Istituti religiosi. Si trova a malpartito nella Casa della Provvidenza di Codogno, un covo di vipere, benché vi abbia emesso i voti. Nel 1880, consigliata dal Vescovo di Lodi, fonda l’Istituto delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù. Ma, per quanto le case e le opere da lei realizzate costellino rapidamente la Lombardia, è per la Cina che arde il suo cuore. Francesca nutre una particolare devozione per san Francesco Saverio, il missionario più celebre della cristianità, morto nel 1552 a soli dieci chilometri dalle spiagge della Cina che ne calamitava l’ardore apostolico. L’ammira tanto da premetterne il cognome al proprio. A distoglierla dal progetto di salpare per la Cina è papa Leone XIII cui lo sottopone. Figlia mia il suo campo di missione l’aspetta non a est, ma a ovest. È la volontà del Papa preoccupato per le obbrobriose condizioni di vita in cui si trovano gli italiani che, stremati dalla miseria, in gran numero emigrano negli Stati Uniti.
Così nel 1889 Madre Francesca Saverio Cabrini, trentanovenne, attraversa l’Atlantico diretta a New York, con un gruppetto di consorelle che, nelle cabine della nave, si contorcono in preda al mal di mare. Quando si presenta all’Arcivescovado della metropoli, Mons. Corrigan, forse disturbato, le consiglia di riprendere per l’Italia il transatlantico da cui è sbarcata. È un compito troppo pesante per lei, conclude. E lei risponde: Eccellenza, sono qui per volontà del Santo Padre… È necessario che io rimanga. L’America sarà la sua Cina. Nel futuro, dovunque andrà, incontrerà spesso ecclesiastici del genere poco inclini a osare. Lei, determinata e tenace, perché con Cristo nulla è impossibile, apre una scuola nel degrado di Little Italy, un orfanotrofio sulla 59esima strada, in West Park, poi si trasferisce dall’altra parte del fiume Hudson a stabilirvisi con un noviziato. È il momento sorgivo di un’inarrestabile epica missionaria che dissemina ospedali non solo per gli immigrati italiani quasi ridotti a schiavi ma anche per derelitti d’ogni specie. È giocoforza che lo Stato di New York ne prenda atto e approvi. E Mother Francesca apre conventi, scuole, orfanotrofi, mense e luoghi di ricovero. E provvede che gli adulti siano catechizzati. Penetra nei tuguri, li sgombra dalle immondizie; prende strofinacci e scope, li netta dalla sporcizia. Dal principio dell’avventura l’assiste lo spirito pratico e imprenditoriale che ha respirato nella fattoria paterna. Sa schiodare il denaro che le occorre dalle borse di ricchi benefattori perfino avversi alla Chiesa. Non si vergogna di mendicare alimenti nelle botteghe dei ghetti. Difficile resistere alle richieste di una donna alunna della divina Provvidenza, sovranamente soccorrevole e imperiosa.
Ritornata in Italia per una ricognizione delle prime comunità, si ripresenta al Papa per comunicargli l’intenzione di estendere l’azione missionaria all’America del Sud. Il Papa conferma: Figlia mia, è un bel campo da mietere. Ha la mia benedizione. Madre Saverio Cabrini abborda il Nicaragua. Scacciata da una rivoluzione, eccola a Panama e in Cile e in Argentina. Tutta da immaginare l’inevitabile traversata delle Ande, a dorso di mulo, percorrendo stretti sentieri innevati, fra orridi precipizi che ammiccano e immani bastioni di pietra sovrastanti e in alto il volo solennemente librato dei condor. Niente la trattiene. In lui io sono capace di tutto, confessa. Nel 1998 ottiene finalmente la cittadinanza statunitense. A Chicago, nove anni dopo, mentre sta programmando come far fronte a nuove ondate di immigrati, sfibrato dalla malaria il cuore indomito le cede. Ha 67 anni, è il 22 dicembre e l’aria della città odora di Natale. Lascia in America e in Europa decine e decine di case religiose e un migliaio e più di consorelle che ne prolungheranno la missione.
Il tipo di santità che caratterizzò Francesca Saverio Cabrini fu eminentemente attivo. Dio non le riservò fenomeni mistici, notti oscure e sapere teologico, ma il carisma della corsa infaticabile e generativa dietro l’amatissimo Gesù, fuoco che mantenne sempre vivo nel cuore semplice. Nell’opinione pubblica americana la sua italianità autentica e benefica controbilanciò quella spuria e sanguinaria dei mafiosi emergenti. Pio XII la proclamò santa nel 1946 e patrona degli immigrati nel 1950. L’ecclesia sanctorum dovrà attendere la comparsa di Madre Teresa di Calcutta per vedere in campo una missionaria che ne eguagliasse l’incondizionata sequela di Cristo e la luminosa oblatività.