Molte le presenze e confortanti i consensi alla terza proiezione della XXI mostra CinEtica promossa dal CineClub De Sica, diretto da Armando Lostaglio. Accolta da commossi applausi la
proiezione del film Teorema di Pier Paolo Pasolini, che ha scaturito riflessioni e provocazioni, moderate e rielaborate dalla preside Pina Cervellino (presidente dell’ Unilabor) e dalla prof. Antonietta Lostaglio
(responsabile del C.i.f. locale).
E’ dunque l’occasione di sottolineare l’attualità di questostraordinario film che lega appieno il titolo della Mostra “Misticismi corsari”, film datato 1968 (anno indimenticabile nella storia del Novecento in Europa) e che vedeva proprio Pasolini alquanto critico con i movimenti studenteschi dell’epoca. Del film va soprattutto sottolineata la forza espressiva, i dialoghi così incisivi e lapidari; la presenza di mamma Susanna (la contadina anziana del finale) e la metafora della “santa” (Laura Betti, peraltro premiata a Venezia per questo ruolo) che si autoseppellisce nella terra: un duplice richiamo
alla forza contadina e alle sue lacrime che potranno germogliare nel terreno. E imperante rimane l’aspetto “francescano” dell’industriale (Massimo Girotti) che si spoglia dei suoi panni e del
“capitale”, (di utopia marxista) scena ripresa qualche anno dopo da Zeffirelli nel suo mistico film
“Fratello sole, sorella luna” sulla vita di san Francesco. L’urlo nell’epilogo del capolavoro pasoliniano, lanciato dal protagonista, appare come un disperato appello alla rinascita dell’uomo, ovvero come
una biasima di esistenza contro ogni sofferenza umana.
Un cammeo nel film è del poeta Alfonso Gatto che già vestì i panni dell’ apostolo Andrea nel Vangelo secondo Matteo. Il poeta salernitano in Teorema fa il medico che si arrende alla
malattia della figlia dell’industriale. Toccante pure il pacato sfogo del giovane rampollo di famiglia sulla disperazione incompresa del “diverso” scrive nel suo trattato di Storia del Cinema Gianni Rondolino: “Una
indagine impietosa Pasolini l’ha compiuta in Teorema (1968) e in Porcile (1969), due film che possono essere considerati i pannelli diun dittico estremamente violento e volutamente irritante sulla crisi
dei valori della società borghese. Si accentuano alcuni elementi di un’autobiografismo ideale, utili a “demistificare” le strutture portanti di una società , la cui putredine assume, nell’opera del
regista-scrittore, i toni violenti dell’invettiva e del sarcasmo”.
Prossimo appuntamento di CinEtica domenica prossima con “Profondo sacro” di Gianni Maragno. Presente l’autore insieme al prof. Raffaele Giordano della università di Matera.
Feb 15