Mercoledì 3 aprile 2024 al Cinema Guerrieri di Matera alle ore 17:30 – 19:35 – 21:40 è in programma il film “Ancora un’estate” di Catherine Breillat (Francia 2023) per la rassegna “Il Cineclub” di Cinergia. Posto unico 5 euro.
Informazioni: Ancora un’estate, in originale L’été dernier, è il rifacimento del danese Queen of Hearts (2019) ma è
soprattutto un film di Catherine Breillat, cineasta assente dalle scene da dieci anni. Il produttore Saïd Ben
Saïd, figura apicale del cinema francese contemporaneo, l’ha convinta a tornare dietro la macchina da
presa grazie a un copione “nelle sue corde”. Una donna, avvocata che difende vittime di stupri e abusi,
sposata con un professionista tranquillo, ha una storia di sesso, forse anche d’amore, con il figlio
adolescente di primo letto del marito. Lei è Anne (Léa Drucker), il ragazzo è Théo (Samuel Kircher, fratello
del più noto Paul al quale per primo aveva pensato Breillat: sono entrambi eccezionali). Théo deve decidere
cosa fare da grande e intanto seduce la matrigna, la quale a sua volta si confronta con il dilemma morale
che deriva dalla professione e dal ruolo famigliare. Il sesso di un adulto con un minore, seppur
consenziente, è lecito? Ma cosa è morale, cosa è lecito, se si sposta il perimetro dei valori tradizionali
borghesi – famiglia, tabù sessuali, senso del pudore – fino a metterli in discussione? Al di là dell’originale
danese, più didascalico, sono queste le domande che interessano a Catherine Breillat. Regista spesso
sottovalutata, basta dare un’occhiata alle stellette dei suoi film sul Mereghetti, e fraintesa. Siccome
individua nella sfera sessuale il perturbante capace di scardinare il conformismo sociale (e sentimentale) la
si è qualche volta scambiata per un’autrice di porno d’autore o giù di lì, quando lei si è invece sempre
tenuta alla larga da una concenzione voyeuristica dell’erotismo. Anche a proposito di Ancora un’estate,
presentandolo al 76° Festival di Cannes, ha quasi flaubertianamente gridato: «Je hais l’érotisme!», “odio
l’erotismo”. Forse è un paradosso, perché in questa storia l’eros può essere visto come crescita e
esperienza per lui, e liberazione per lei che però, attenzione, non è una donna frustrata, insoddisfatta, e sta
qui l’intelligenza di uno sguardo senza sconti sulla funzione e i riti sociali di chi è prigioniera inconsapevole
di schemi (anche girare spesso con un bicchiere di vino bianco in mano fa molto cliché borghese). Breillat
riprende i due corpi sempre da vicino, come in una bolla di voracità carnale che esclude il mondo degli altri.
È da sempre ossessionata dai primi piani e dai visi, specchio dell’anima già per Bergman, che lei cita. In una
scena si assiste impietriti al primo piano di una ragazzina che un giudice ha deciso debba vivere col padre
dopo la morte della madre: lì c’è dietro/dentro un altro film, forse tremendo. Così Breillat intercetta
l’espressione liquida di Kircher chiedendogli di lavorarci ancora, di ispirarsi a Ivan il Terribile di Ejzenštejn (!)
e ai suoi sguardi «che scivolano». Il finale poi è clamoroso, non lo riveliamo ma ribalta quello conformista
dell’originale danese. E comunque basta la chiosa di Léo Ferré sui titoli di coda: «Quando amiamo, amiamo
fino alla morte, si muore spesso, fumeremo una sigaretta». La canzone si intitola Vingt ans, “vent’anni”.