Mercoledì 16 ottobre 2024 alle ore 18.00 – 19.50 – 21.40 nel Cinema Guerrieri a Matera è in programma il film “Invelle” di Simone Massi per Il cineclub di Cinergia. Posto unico: 5 euro.
Invelle. Ovvero “in nessun posto in particolare”. Ma in dialetto marchigiano. E dunque in una lingua antica, forse
perduta, in un idioma che delinea una geografia e, insieme, indica un tempo. Che non è, di certo, quello del
presente. E che, probabilmente, sta scomparendo. Simone Massi è uno dei massimi animatori contemporanei,
non solo italiani: lo attestano premi (centinaia), retrospettive, omaggi, tutti guadagnati con 26 corti presentati ai
maggiori festival nel corso di 29 anni di carriera. Un artista che è un’occasione persa della nostra cultura, lui e
tutto quel “momento e movimento” che è stata la corrente neopittorica italiana (c’è un bel libro di Priscilla
Mancini che lo testimonia): una congiuntura impressionante di talenti (cresciuta soprattutto intorno alla Scuola
di Urbino), con un’idea di cinema poetico condivisa, ma pratiche ed estetiche differenti. Un miracolo che
avrebbe dovuto essere celebrato e preservato, un patrimonio che invece si è lasciato disgregare, disperdere,
persino scomparire, abbandonandolo in “nessun posto in particolare”. Massi è come il suo cinema:
resistente. Tiene la posizione da fuori dal sistema, dalla provincia, dalla campagna, nell’entroterra di una piccola
regione di mare, ancorato a una dimensione analogica del fare, alla fatica del lavoro, al valore fondamentale
della memoria. Alla cura delle cose, non al loro consumo. La sua è un’arte tutta manuale, del disegno e del
graffio, tavola dopo tavola, un lavoro lentissimo. Animare – dice con ragione – stanca. Ma se il segno pesa, il
segno resta. Dopo il lavoro nel documentario di Stefano Savona La strada dei Samouni, l’esordio nel lungo
(primo tra i neopittorici rimasti): la Storia con la maiuscola, dal 1918 – ovvero la fine della Grande guerra, il
principio della Spagnola – alla Resistenza partigiana, e poi fino al 1978 – gli Anni di piombo, l’uccisione di Moro, il
tramonto della sinistra. Il tutto vissuto e visto da una prospettiva marginale, quella di “nessun posto particolare”
delle Marche, seguendo per scivolamenti e strappi le vicende di una famiglia contadina, negli occhi dei bimbi di
tre generazioni, che poi diventano adulti. Come si vede, da lì, da quella cultura, con quel sapere, a quell’età, il
mondo che cambia, il fuori che entra e modifica il dentro? Invelle si muove in immagini nette eppure cangianti,
potenti, pulsanti, pronte a passare, come sempre questo cinema che se ha dei padri ce li ha russi, poeti, scultori
del tempo: Andrej Tarkovskij, Aleksandr Alekseev, Aleksandr Petrov. Sospeso come un sogno, in continuità dal
piccolo al grande, dal dettaglio allo sfondo, portando particolari non cruciali a protagonisti delle scene (così
funziona lo sguardo dei bambini, e così si muove il ricordo: fuor di gerarchia, attaccato a cose non
necessariamente centrali). I graffi nel nero sono scavi nell’oblio, il b/n è duro perché lo erano il tempo e il suo
pensiero, il colore è forte come solo in un ricordo: Invelle è un prelievo, una riserva, un museo, l’archivio di una
sensibilità, di un modo di guardare il mondo. Per non perderlo. Non perdetelo.