Martedì 22 marzo 2022 al Cinema Guerrieri di Matera è in programma il film “Sull’isola di Bergman di Mia Hansen-Løve (Francia/Belgio/Germania/Svezia/Messico 2021)
Orari: 17:30 – 19:35 – 21:40
Posto Unico: 5 euro.
«In Svezia siamo molto seri riguardo al riciclaggio» asserisce minacciosa la custode della casa sull’isola di Fårö; lei parla di raccolta differenziata, ma il messaggio suona forte e chiaro per la coppia di registi/sceneggiatori che, in cerca di ispirazione, si chiudono tra le mura dove fu girato Scene da un matrimonio. Non saranno mica lì per riciclare idee e personaggi? Magari prelevati dal proprio vissuto (ogni film di Mia Hansen-Løve ha un’anima di scoperta autofiction, e nella coppia di autori si rispecchiano la regista e l’ex compagno Assayas) o dalla produzione di Bergman, fantasma che aleggia ovunque: nel letto dove fu girata la serie «che ha fatto divorziare milioni di persone», nel safari turistico dedicato, nella poltroncina del cinema da lasciare vuota, perché lì sedeva lui. Luoghi intrisi di immagini il cui peso specifico la regista conosce bene, e che, come sempre, HansenLøve riprende «come fossero persone», perché di abitazioni “parlanti” è costellato il suo cinema, sin da Tout est pardonné, e le case di Bergman sono protagoniste del film quanto lo sono Chris e Tony. Che si amano, ma fanno film diversi, e in questa dicotomia c’è tutto il loro rapporto, fatto di non detti e di pagine scritte solo per sé, ma poi sbirciate per cercarsi come in uno specchio: Chris (Vicky Krieps, a sostituire Greta Gerwig, che sarebbe stata alter ego ancor più meta) spia tra le bozze di Tony (Tim Roth) e trova tracce di un desiderio che le è estraneo, e un appunto che del loro amore dice più di quanto vorrebbe sapere: «Chi sei tu? Tu o me?». Come per provare a rispondere, Chris racconta a Tony il copione che sta scrivendo; ed è così che, proprio a metà, Sull’isola di Bergman cambia pelle e diventa metacinema, con un film nel film, ambientato sulla stessa Fårö, che pare un sequel (un riciclaggio?) di Un amour de jeunesse (due amanti che restano legati dopo una passione adolescenziale) e che permette a Mia/Chris di calarsi in abisso con un ulteriore alter ego, la regista Amy (Mia Wasikowska), pure lei a caccia di fantasmi bergmaniani. Scriversi, riscriversi, usare il cinema per solcare possibilità indicibili: questo è il cuore del film di Hansen-Løve, che negli ironici sfottò a Bergman non compie lesa maestà, bensì parla di sé: «C’è un mondo fuori dal tuo buco del culo» commenta sprezzante qualcuno, parlando dei tormenti interiori nel cinema del Maestro Ingmar, ma Mia/Chris/Amy abbozza perché sa che il suo, di cinema, non può che essere ombelicale, non può che guardarsi dentro «come in un horror senza catarsi». E per l’autrice guardare a Bergman significa, innanzitutto, confrontarsi con un artista che ha firmato alcuni dei più complessi, memorabili ritratti femminili della storia del cinema, e rivendicare per sé quello sguardo sulla donna, riappropriarsi della facoltà creativa che le permette di essere tutte le donne che vuole. Anche quella che ha già una figlia e un compagno, ma vorrebbe un altro bambino dal suo amante (in fondo, si ricorda, Bergman ha avuto nove figli da cinque donne); anche quella che non deve scegliere se essere madre o artista; quella che takes it all, come nella canzone degli Abba, ci suggerisce l’inquadratura finale.