Il materano Giovanni Caserta in una nota ricorda la cantante e show girl Raffaella Carrà, scomparsa il 5 luglio scorso, vista dall’angolazione diversa.
Capita spesso che dei personaggi popolari si finisca col fare delle icone e, quindi, dei miti o dei “mostri”, nel senso latino della parola. Però si può anche farne un abuso o un cattivo uso, per povertà di argomenti, o per farsi belli delle penne altrui. A propri fini, è uso strumentale di personaggi che sono anche persone. Anche noi avevamo grande simpatia per Raffaella Carrà, ben sapendo, peraltro, che,quanto lei e anche più di lei, altri personaggi meritano il nostro consenso e il nostro affetto, al di là dei limiti e difetti che sono di chiunque e che, come per chiunque, andrebbero onestamente messi in luce. Raffaella Carrà ha accompagnato la nostra vita per circa sessant’anni, che sono tanti. E’ entrata nelle nostre case come amica, portatrice di svago, di allegria e, diciamolo pure,di pulizia.
Purtroppo abbiamo anche sentito dire che il merito suo più grande è stato quello di aver “sdoganato” l’ombelico”. Fra le tante banalità e stupidità c’è anche questo.La cosa viene vista come un gesto di libertà che portava alla libertà. Parafrasando ilManzoni verrebbe di dire: “Ma guarda un po’ dove si va a ficcare la libertà”. Chi avrebbe mai pensato che la libertà aveva trovato rifugio in un ombelico? L’osservazione, in chi trionfalisticamente la fa, vorrebbe significare una rivoluzione “storica”, che ha permesso l’ingresso in TV della libertà di essere e manifestarsi per quello che si è, senza tabù, in tutto il proprio corpo, spesso senza i freni della decenza e del rispetto degli altri. Non è forse vero che, in un passaggio, già disgustoso, Roberto Benigni voleva sdoganare ben altro del corpo di Raffaella? E si rideva.
Ne ha approfittato la televisione per propinarci decenni di spazzatura; e ne hanno approfittatoattrici ed attricette,avvenenti fanciulle, veline in cerca d’autore,cheben altro espongonochel’ombelico di Raffaella, garantendosi una costante presenza ai talkshow e improvvisate comparse in qualche spettacolo. Spesso sono accompagnate e sostenute da attempate frequentatrici e conduttrici di talk show, anch’esse con un passato non proprio tranquillo. In questo clima, in periodo di vuoto assoluto, non si poteva perdere l’occasione della morte della Carrà per fare quattro giorni di trasmissione, girando e rigirando in mille forme la figura della showgirl, dando a tanti personaggi, alcuni reperiti chissà da quale archivio, la possibilità di esprimere giudizi assolutamente immotivati o affatto ripetitivi fino alla noia. Ci si è sbizzarrito qualche esperto o esperta di psicologia e di sociologia dell’ultimo momento.
Eppure bastava dare la notizia della mortee, in serata, offrire uno spettacolo che l’aveva vista protagonista. Sarebbe bastato, quindi, arrivare al giorno dei funerali, direttamente in chiesa, senza fasto e solennità, evitando tutto il percorso del feretro per l’intera città di Roma. C’era persino qualcosa di tetro e di cupo in quel tragitto. Prima di decidere sulla“quattro giorni”, forse bisognava chiedersi che cosa ne avrebbe pensato lei, Raffaella.Avrebbe forse, anzi sicuramente dettoquello che ha voluto dire quando ha chiesto di essere collocata in una bara di nudo legno e, così cremata, svanire dopo tante esibizioni e concessioni al pubblico. Forse avrebbe anche detto che cisono stati e cisono al mondo milioni di donne che faticano, soffrono, sudano, imbruttendosi in un lavoro duro, le quali meritano molto più di lei, che tanti onori, tanta ricchezza ha accumulato nella vita. Oggi c’è già chi pensa di trovare un luogo, una strada, un immobile da dedicare al suo nome. E sipensa ad un luogo che faccia riferimento alla sua attività di donna dello spettacolo. Questo si dice, non pensando ad una legge che vuole che dediche di strade e luoghi pubblici non possono essere date prima che passino dieci anni dalla morte. Purtroppo la selezione e le mode, e le distinzioni, permangono anche dopo la morte. Ci fu, a suo tempo, chi avrebbe voluto subito beatificare Aldo Moro; poi ci fu anche chi avrebbe voluto subito beatificare Diana, principessa bella e raffinata, che però aveva avuto una vita difficile da dare a modello alla odierna gioventù. Per fortuna certe “emozioni” passano e cala il buio.
Credo che, anche nel caso specifico,finalmente, prima o poi la si smetterà di presentarci Alberto Sordi che punta il dito sull’ombelico di Raffaella, scena proposta qualche migliaio di volte. Qualche centinaio di volte abbiamo visto Benigni che, scompostamente, di Raffaella vuol toccare altra parte del corpo. Così, nel giro di poco tempo, si bruciano gli idoli. Meno male. Purtroppo, come cosa normale, e anzi ai margini, è stata invece collocata la notizia di una donna che si era pentita di aver sacrificato la sua maternità e la sua femminilità alla carriera eal successo. Vogliamo dire che non è stato dato il dovuto rilievo, come fatto predominante, alla donna che, pentita di questa sua scelta, ha cercato di porvi rimedio con la scelta, forma molto saggia, dell’adozione a distanza di centinaia di bambini denutriti e abbandonati. Si dimentichi, dunque, la donna di spettacolo; si punti a quella Raffaella Maria Roberta Pelloni che sentì il bisogno di essere madre, scegliendo di farlo nell’unico modo che le era ancora possibile. Non una sala della RAI, non un luogo di spettacolo e di esibizione le si dedichi, ma un posto,una sede dell’Unicef, in Africa e in India, o anche un centro sociale di accoglienza per tutti quei bambini che, soli,senza genitori, affrontano il viaggio della disperazione.Essi, la libertà, non la cercano in un ombelico.