Il 19 e 26 e luglio e il 2 agosto nel Museo Archeologico Nazionale “Dinu Adamesteanu” di Potenza è in programma la decima edizione di “OasiCinema”, il cinema dell’ecologia.
La rassegna, ideata ed organizzata dall’Associazione di promozione sociale Zer0971, si prefigge lo scopo di promuovere attraverso il cinema la conoscenza dell’ambiente, dei territori e il rapporto con la natura.
Sarà il documentario “Utama – Le Terre Dimenticate” di Alejandro Loayza Grisi, il primo film in programma mercoledì 19 luglio.
Il vincitore del Gran Premio della Giuria al Sundance lancia un forte grido di allarme sui mutamenti climatici senza fare proclami ma con empatia umana.
I film che ci mettono in allarme sui mutamenti climatici sono ormai numerosi. Pochi però hanno la forza mite e quasi silenziosa di ‘Utama’ che ci ricorda che il futuro è purtroppo già presente e lo fa attraverso i volti scavati di un uomo e di una donna che resistono nonostante tutto.
Virginio e Sisa sono un’anziana coppia quechua che vive sull’Altipiano boliviano devastato dalla siccità.
Lui è un allevatore di lama che ogni giorno deve compiere un percorso di diversi chilometri per poter trovare qualche stentato ciuffo d’erba e un po’ d’acqua per gli animali.
Un giorno arriva il nipote Clever con una proposta: i nonni potrebbero andare a vivere in città dove sia lui che suo padre abitano.
Fin dalla prima inquadratura di un uomo che cammina da solo in una terra arida veniamo collocati in una dimensione in cui l’essere umano e la Natura non vivono più in comunione.
Questo non è però colpa di Virginio, l’anziano allevatore di lama, infiocchettati per riconoscerne la proprietà, che ogni giorno lascia lasua taciturna vita di coppia per affrontare sterminati spazi ormai privi di qualsiasi forma di vita.
La colpa sta altrove ma le ricadute sono tanto sulla collettività globale quanto sui singoli.
È di una storia di persone che questo film ci parla mostrando come i mondi si facciano sempre più lontani.
La città a cui Clever vorrebbe, con tutte le migliori intenzioni, condurre i nonni è una realtà a cui Virginio, che nasconde un segreto relativo alla sua salute, non intende adattarsi.
In un misto di antiche credenze rituali e di duro confronto con la realtà quotidiana assistiamo a un progressivo avvicinamento tra nonno e nipote che però non può portare a cedimenti sulla impossibilità di mutare modalità di vita.
La città, secondo Virginio, non potrebbe essere altro che un luogo dove mendicare o farsi mantenere e questo non è accettabile.
Allora ad ogni alba si parte con la mandria di animali inquadrati con tanta attenzione (non solo dal punto di vista della tecnica di ripresa) da far percepire al contempo la loro bellezza e la tristezza di una condizione che sembra irreversibile.
“Alcarràs – L’ultimo raccolto” di Carla Simón,. Vincitore dell’Orso d’Oro al 72° Festival di Berlino sarà la visione collettiva di mercoledì 26 luglio
Una famiglia si riunisce come ogni estate nella cittadina più profonda della Catalogna. Questa però potrebbe essere l’ultima.
Nella campagna assolata della Catalogna, la famiglia Solé vive e coltiva da decenni un vasto frutteto che gli era stato offerto dopo la guerra civile dai proprietari, i Pinyol. Un gesto d’onore a ricompensa di un aiuto cruciale, ma mai siglato con documenti ufficiali.
I Solé si ritrovano perciò impotenti quando furgoni carichi di pannelli solari arrivano sui terreni, pronti a riconvertire il frutteto ed eliminare l’unica attività che la famiglia abbia conosciuto.
In questa epopea familiare in cui la tradizione si scontra violentemente con le fredde costrizioni del presente, Simón dipinge un affresco meticoloso della sua terra e coglie il frutto pienamente drammatico di un cinema contemplativo, di stampo quasi documentaristico.
Il locale trascende anche nell’universale, centrando una descrizione del lavoro agricolo come parte integrante del tessuto culturale di un paese che non può che suonare familiare in paesi come il nostro, costruiti su valori e sistemi economici simili.
Quimet, figlio dell’anziano pater familias Rogelio e attuale responsabile del business agricolo si intestardisce su una politica identitaria (avvertito a più riprese che occuparsi dei pannelli solari vorrebbe dire lavorare meno e guadagnare di più, insiste di essere un coltivatore e non un tecnico) e a puntare tutto su un ultimo raccolto mentre le ruspe attendono minacciose.
I piccoli attimi di gioia che gli sono concessi (una festa in piscina, la surreale gara di bevute, l’attenzione con cui dispone una teglia di lumache affumicate) non fanno che rendere più amari i suoi sfoghi, siano essi destinati a un solitario pannello solare o di fronte a una cassa di pesche rovesciata a terra.
Il film fotografa con accuratezza le particolari circostanze socio-economiche dell’industria agricola contemporanea. I conti non tornano, e il mondo sembra voler dire a famiglie come quella dei Solé che la loro esistenza non è sostenibile, anche prima di far entrare le ruspe sui loro terreni.
Eppure, ci ricorda Carla Simón, un lavoro rimane più che un lavoro, e l’identità merita di essere tutelata.
Concluderà la rassegna il 2 agosto “La Pantera delle Nevi”, documentario di Marie Amiguet e Vincent Munier (II)
Vincent Munier, classe 1976, premiato fotografo naturalista francese, invita il connazionale Sylvain Tesson (1972), scrittore e viaggiatore, a un’avventura invernale sull’altipiano tibetano. Munier condivide con il compagno una nuova attitudine dell’osservazione, la sacralità del paesaggio. Tesson prende nota e trasforma il senso di quell’esperienza in parola scritta, un diario che si fa voce narrante del film.
In punta di piedi e attrezzatura minima, occhi aperti e orecchie sempre tese, a oltre cinquemila metri e avendo come base una modesta baracca, si appostano sulle rocce, davanti a paesaggi mozzafiato, di serica bellezza e definizione digitale.
In una calma, felice, attesa, oltre al lupo grigio, l’orso e la volpe, i due individuano anche animali rari come l’antilope tibetana, lo yak, il baral, il gatto di Pallas. Con la pazienza, il rispetto e la curiosità di chi si mette in dialogo con la natura da ospite e non da predatore.
La presenza dell’obiettivo molto ravvicinato ai due si fa infatti quasi subito invisibile.
Chi guarda è completamente immerso in medias res, nello stupore, nel silenzio, nella lentezza alla quale l’umanità ha rinunciato e a cui quel sistema armonico, essenziale, grazie a una sorta di provvidenza laica, qui la riporta.
Unica aggiunta “esterna” a questo stato di beatitudine contemplativa, la colonna sonora di Warren Ellis, le sue composizioni strumentali per piano e violino e cori, featuring l’inseparabile Nick Cave, che in “We Are Not Alone” canta: “questo mondo ha orecchie e le rocce hanno occhi / la natura ama nascondersi / il mondo è un cespuglio pieno di occhi di fuoco / ho viaggiato molto / sono stato osservato e inconsapevole”.
Gli sguardi degli animali verso gli umani, invece, quando sono consci di essere ripresi, trasmettono un crudo, feroce disinteresse.
Spinti dall’istinto di sopravvivenza, non di violenta sopraffazione, mettono l’umano davanti alla pochezza di sé, alla sua inadeguata, ridicola considerazione del tempo e delle risorse.
Le proiezioni inizieranno alle ore 21, ingresso libero fino ad esaurimento posti
info@zer0971.org whatsapp: 3510493109
In caso di pioggia le proiezioni si terranno nell’adiacente Sala del Cortile.