Nel saggio Elena e le altre. Il lato oscuro della seduzione (Edizioni ETS), la lucana Liliana Dell’Osso, direttore della UO Psichiatria dell’Università di Pisa, presidente del Collegio dei Professori Ordinari Italiani di Psichiatria e Top WomenItalianScientist, e lo psichiatra fiorentino Primo Lorenzi confrontano il mito di Elena di Troia con le biografie di due bellissime del Novecento. Se Elena si è definita come l’icona del fascino femminile del mondo antico, Hedy Lamarr e Marilyn Monroe hanno intercettato e dato forma all’idea di bellezza e di fascino dei nostri giorni. Hedy, la “donna più bella del mondo”, attrice e scienziata (ha inventato il wireless su cui ancora oggi viaggia l’informazione), e Marilyn che, morta nel suo splendore, ha fermato la sua immagine e, a distanza di tanti anni, continua a incantare. Un’immagine che lei aveva creato con tanto sforzo, “a tavolino”, e che, l’autopsia psicologica rivela essere densa di traumi e fragilità, oltre che artificiale.
Il saggio è dunque un’indagine sul fascino femminile, con una specifica attenzione sul suo lato più oscuro ed inquietante: quello, per intenderci, che può portare a fare qualunque cosa per ottenere l’oggetto che ti ha ammaliato. Del resto questa era la specificità di Elena di Troia. Una pericolosissima qualità di cui si dovette precocemente rendere conto il padre, quello putativo, essendo ella in realtà figlia di Zeus. Tindaro capì il pericolo che la bellezza della figlia portava con sé e come sarebbe stato difficile trovarle un marito. Come, viene da dire, una donna così bella aveva difficoltà a trovare un marito? Purtroppo sì, perché tutti la volevano. Meglio: chiunque la vedeva non poteva non pretenderla. Per cui ne sarebbe nata una lotta all’ultimo sangue. Nessuno avrebbe accettato di rinunciarvi. Non fu facile trovare la soluzione. Ci pensò Odisseo dalla mente luminosa e versatile. Ma fu un rimedio temporaneo. Alla prima occasione (l’incontro con Paride) il problema si ripresentò e sappiamo tutti come andò a finire. Grecia ed Asia si scontrarono sulle rive dello Scamandro in una lotta all’ultimo sangue in cui la posta in gioco era proprio lei, a cui nessuno voleva rinunciare: non i Greci, certo, che rivolevano non solo la moglie di Menelao, ma la bellezza divina che si era incarnata nella loro terra. Ma nemmeno i Troiani che non pensarono mai di rinunciare al privilegio di averla fra loro. Scultoree le immagini con cui Eschilo, nell’Agamennone, descrive l’incanto che il suo incedere suscita. Ecco come la “fotografa” mentre compare davanti alle genti di Troia: In un primo momento sembrò che arrivasse in Ilio
un senso di placida calma
un dolce adornamento alla bellezza della casa.
Lei era un molle dardo che feriva gli sguardi,
un fiore di desiderio che tormentava il cuore.
Fascino, malìa, incanto sono i termini che si addicono a Elena. E anche alle sue succedanee odierne, molto più concrete, ma forse addirittura meno “vere” di quanto Elena di Troia sia stata e continui ad essere per l’immaginario collettivo occidentale.
Fascino, malìa, incanto vengono indagati nel saggio per capire che cosa li determina, dove affondino le loro radici. Perché alcune persone sono dotate di fascino e altre no? Perché ammaliano? E che cosa vuole dire essere affascinati? Siamo di fronte a doni che madre natura elargisce a pochi privilegiati oppure ad una vera e propria condanna per chi ne è portatore e per chi ne subisce le conseguenze? Oppure, perché no, ad entrambe?
Gli Autori mettono in evidenza come la capacità di fascinare sia strettamente collegata a esperienze traumatiche precoci, a loro volta connesse con una particolare predisposizione neurobiologica che altera la relazionalità di queste persone. Capace di dar loro eccezionalità, ma anche limiti e fragilità che le espongono alle violenze molto più di chi vive in dimensioni esistenziali scontate e consuete. Certo l’umanità si abbevera di questo fascino, di cui, una volta conosciuto, non si può più fare a meno. Nemmeno quando è chiaro come possa portare verso il baratro. Il fascino esalta chi lo porta e chi ne è investito. L’eccezionalità apre la strada ad alcuni degli approdi più grandi della mente umana e la poesia è nata anche per cantarne le gesta. Per cercare di esprimere, con le parole, quello che il fascino di queste persone è capace di suscitare con la sola presenza.
L’indagine viene condotta dagli Autori attraverso un costante rimando alla propria esperienza di psichiatri, che li porta a fare una vera e propria “autopsia mitologica” della regina di Troia, allo scopo di mettere in evidenza gli snodi critici che ne hanno decretato fortune e fallimenti. Le vicende di Elena vengono poi confrontate con quelle delle due “Elene” dei nostri giorni, per coglierne parallelismi e similarità. Nelle splendide immagini che il mito propone vengono messi in luce quei passaggi, segni ed anche“sintomi”, che alludono a possibili ricadute cliniche, da ricondurre all’area del disturbo borderline. L’opinione degli Autori è che sia proprio questo a rendere, sia Elena che le “altre”, Hedy e Marilyn, icone dell’incanto e della terribilità che compongono il fascino femminile. In conclusione: tutte e tre portano un’atipia neurobiologica, un “difetto di fabbrica”, premessa e trampolino per il successo, ma anche per le drammatiche cadute psicopatologiche. Tutte e tre mostrano i segni di una grave sofferenza psichica e vanno incontro ad una drammatica involuzione del funzionamento mentale e relazionale.
Lug 21