Presentato nel pomeriggio nel Centro Carlo Levi di Matera il libro “Gite ad Auschwitz” di Emanuele Calò, DM Edizioni.
Hanno dialogato con l’autore il notaio Adele De Bonis Cristalli e la consigliera del Centro Levi, Maria Dora Ferretti.
Il romanzo racconta una storia tra luci e tenebre, che si dipana attorno all’eredità di Auschwitz, oggi spesso meta di gite, ma la cui memoria legata all’Olocausto continua ad incombere come un incubo sia su chi non riesce a sottrarsene, ancorchè non l’abbia vissuto, e sia su chi lo nega.
Emanuele Calò è nato nel 1948 a Montevideo, dove ha diretto il settimanale della NuevaCongregación Israelita. Direttore della Collana di Diritto Europeo ESI e Presidente del Comitato Scientifico di Solomon, è autore di studi e monografie giuridiche. Collabora con “Il Foglio”, “Shalom” e “Pagine Ebraiche”.
Di seguito la recensione di Vincenzo Viti.
“”Gite ad Auschwitz” (DM edizioni) reca la firma di Emanuele Calò, prolifico autore di monografie, promotore di una rete giuridica mondiale dell’Unione internazionale di un importante Ordine Professionale, come recita la scarna biografia. Un libro surreale per i tempi che viviamo fra tragiche smemoratezze e insensati negazionismi . In una stagione gotica e funeraria chiamata più che mai a combattere con le risorse della letteratura le viltà e le ipocrisie.
Questa era la strenua convinzione sia di Sciascia che la letteratura fosse l’ultimo rifugio della verità,sia di Vargas Llosa nel rivendicare la valenza storica della della letteratura contro la impudenza della negazione e il fallimento della ragione. Valga il richiamo alle memorabili pagine di Primo Levi, o di Ivo Andric, o di Elsa Morante a consolidare il merito che la Scrittura ha acquisito, quando si è posta al servizio della memoria e della civiltà umana .
”Gite ad Auschwitz’ è un libro sicuramente irrituale, un messaggio in bottiglia nel mare oscuro della coscienza europea.
Lea Orsini, non ebrea, moglie disinvolta, intellettualmente libera di Alberto Proceno,presidente di una comunità ebraica romana,anch’egli carattere icastico e indipendente, racconta la trama delle sue notturne effrazioni. Sottrae e legge avidamente i brogliacci cui Alberto affida le sue divagazioni : un diario immaginario che raccoglie episodi, simulazioni, accadimenti spesso severamente giudicati con la finalità che venga dalla trafugato e letto. Accade perciò che la scoperta dei capitoli via via manoscritti, da cui traspaiono confidenze irritate sui costumi e sulle libertà della consorte, solleciti in Lea riflessioni che la inquietano e insieme e la rassicurano. Si tratta, al di là delle confidenze urticanti , di un codice privato che ella investiga con spirito libero e anarchico ma anche con una tolleranza che diverrà con lo scorrere complicità. In esso Lea riconosce il vivace registro sentimentale di un rapporto carico di gelosie,inquietudini, insidie e perversioni in un tempo che è inquieto e rischioso.
Se non che il “pretesto” della incursione clandestina finisce con l’essere presto soverchiato dal “rumore di fondo” di un mondo straziato da crudeltà inaudite e intollerabili, che a volte figura stordito dalla “banalità del male” e divorato da un insensato e folle cinismo.
Dietro la ordinarietà di una vicenda borghese costruita intorno a vite eccentriche, sale la tensione vivida dei fotogrammi della tragedia immane che ferirà profondamente la coscienza infelice del mondo.
Lea, ch’è l’io narrante, conduce un gioco delicato e liberatorio. Il racconto si snoda fra ritratti di quotidianità rapprese di piccole controversie,dispute dottrinali intorno si temi della coscienza e della morale privata, insorgenze del razzismo di strada.
Irrompono personaggi singolarissimi, vicende di ordinarie crudeltà, treni che deportano vittime innocenti in una tragica allegoria della morte che pare tanto amara quanto assurda. Incalzante il racconto di una Roma oppressa dalla occupazione nazista con le persecuzioni e i rastrellamenti, i disperati tentativi di sfuggire alla cattura, gli adescamenti e le infinite risorse del travestimento e dell’impostura. Una sequenza di avvenimenti che, fra paradosso e tragedia, viene diffusa di amara, sottile ironia. Ripenso al surreale dialogo con Kappler, efficacemente rappreso di atmosfere insieme banali e drammatiche in un’atmosfera nella quale tramonta l’età della innocenza mentre inganno e ipocrisia”danzano” fra la vita e la morte. Finché il viaggio in ambulanza ad Auschwitz non squarcerà ogni velo, ogni simulazione,rivelando l’orrore dello sterminio e la tragica meccanica delle esecuzioni.
Un racconto allucinato e paradossale, popolato di equivoci e imprevisti che procede dentro la continua “guerra di posizione” fra Lea e Alberto : ch’è il filo conduttore di uns trama sorprendente,talvolta sinistramente divertente, che si snoda sotto uno sguardo cinico e disincantato .
Tutto appare infatti svolgersi come se il teatro dell’orrore appaia irraccontabile,forse “lontano da ciò ch’è visibile ad occhio nudo” così da rendere umana la tentazione di “allontanare la morte” rifugiandosi nell’inconscio di una vita parallela, quasi una via di fuga.
Finisce con il prevalere il doppio registro che per un verso trascende la realtà per un altro la assume a pretesto per confessare la dimensione infinita dell’orrore . Una operazione-verita’ nella quale davvero la letteratura assolve al suo mirabile servizio.
È un libro da leggere nelle molte dimensioni prospettiche ma che
proietta, sullo sfondo di una vicenda privata, un dolore disincarnato definitivo e totale,senza più lacrime. Perciò assolutamente vero. Un dolore arcaico, non pacificabile, irreversibile. Che ci interroga ogni giorno, chiamandoci a non dimenticare.
Nella foto l’autore Emanuele Calò con il notaio Adele De Bonis Cristalli e la consigliera del Centro Levi, Maria Dora Ferretti (foto www.SassiLive.it)