Continua la pubblicazione digitale da parte dell’associazione Energheia degli studi e dei documenti che fungevano da corollario al Concorso per il recupero e risanamento dei Rioni Sassi, svoltosi nel 1977. Ecco il secondo fascicolo curato da Luigi Piccinato e Carlo Carreras.
Il PIANO REGOLATORE GENERALE DEL ’73
Nella relazione che accompagna il PRG del ’73, Luigi Piccinato richiama le questioni di fondo del PRG del ’56, quelle più rilevanti, evidenziando i limiti e le qualità delle scelte adottate.
Matera negli anni Sessanta presentava un quadro politico abbastanza bloccato, la Democrazia Cristiana, pur avendo un ampio consenso, non riusciva a garantire governi cittadini duraturi, con continui ricorsi a gestioni commissariali. Alle elezioni politiche del ’68, in piena gestione commissariale, la DC materana supera il 50% dei consensi, nonostante le insistenti crisi amministrative, “causate essenzialmente dalle persistenti lotte interne”. In quegli anni si conclude un ulteriore capitolo della storia contemporanea della città, sarà ancora una volta un Commissario Prefettizio a comunicare al Provveditorato alle Opere Pubbliche le aree urbane da dedicare all’ultimo piano di trasferimenti degli abitanti degli antichi Rioni. Le aree individuate furono: San Giacomo e la zona cosiddetta dei “Pini”. Giunge a termine definitivamente la vicenda dello sfollamento e con essa la fine dei finanziamenti statali. “Di tutte le abitazioni costruite in quel ventennio a Matera, quelle finanziate con denaro pubblico rappresentavano una quota di circa il 55%, a fronte di una media nazionale del 15%”. Alla fine degli anni Sessanta l’economia materana, non potendo più contare sul trasferimento di ingenti finanziamenti statali, comincia a mostrare segni di crisi, soprattutto nell’edilizia. E come spesso accadrà nei decenni successivi, la risposta alla crisi non può che tradursi in politiche di espansione urbana e di intensificazione a favore dell’edilizia privata. La fine degli anni Sessanta segna anche un passaggio generazionale nei gruppi dirigenti dei partiti. Si fa spazio dunque una nuova classe dirigente che sperimenta, a partire dall’elezioni amministrative del ’69, il primo governo cittadino di centro sinistra, grazie all’alleanza della Democrazia Cristiana con il Partito Socialista e con l’appoggio esterno del Partito Comunista, almeno nella prima parte della Consigliatura. La conseguenza benefica di questa alleanza significò per la città un lungo periodo di stabilità amministrativa e l’avvio di una stagione di riflessione sulla città, la sua identità, il suo ruolo nel prossimo futuro.
Il dibattito sul futuro della città si apre ufficialmente con la presentazione dell’indagine preliminare alla Variante Generale al Piano Regolatore, redatta dal gruppo del Politecnico nel ’71, il cosiddetto “Rapporto Musacchio”. Il “Rapporto” scatenerà vere e proprie polemiche appassionate che ancora oggi accende gli animi dei protagonisti.
Matera viene rappresentata come una “città di consumo”, sostanzialmente chiusa nell’asfittico circuito alimentata da mezzi monetari pubblici. La sua condizione si riflette nella crescente terziarizzazione e nella funzione di parcheggio provvisorio di forza lavoro, destinata a emigrare. La contraddizione reale di Matera, secondo il Rapporto, sarebbe nel suo atteggiamento a città quaternaria, cioè a centro burocratico amministrativo, senza apprezzabili capacità di farvi fronte. Questa, in sintesi, è l’analisi del gruppo del Politecnico costruita dal racconto di quel che Matera è stata negli anni Cinquanta, secondo gli estensori del rapporto, del significato che hanno avuto le Leggi Speciali sui Sassi e del ruolo che i fondi statali hanno esercitato.
Morta la civiltà contadina, il rapporto denuncia i rischi di terziarizzazione della società materana con l’emergere di un ceto sociale parassitario, sempre più distante dai processi produttivi di tipo industriale e moderno.
Questa analisi venne in gran parte condivisa dalla Democrazia Cristiana e dal partito Socialista. Sul piano urbanistico, secondo i critici, il “Rapporto” avrebbe offerto una “sistemazione teorica” al disegno di aggressione della città da parte del “super-partito edilizio”.
L’obiettivo demografico dei 70mila abitanti si giustifica, secondo i sostenitori del Piano, per realizzare la cosiddetta “città produttrice di beni”, in quanto funzionale al processo di sviluppo e di mobilitazione di risorse reali. Non si tratta dunque di una ipotesi solo demografica, ma di una linea di tendenza che assume chiari obiettivi di sviluppo.
Anche il dibattito sul destino dei Sassi sarà imbrigliato in questa disputa. La scelta del Concorso Internazionale rasserenerà momentaneamente gli animi. Per gli antichi Rioni si procederà, ancora una volta, con l’ennesimo rinvio del problema.
Dal censimento del 1971 la popolazione risulta essere di circa 44.500 abitanti, quella attiva risulta essere il 31%, suddivisa per i seguenti settori di attività: 13% agricoltura, 36% industria, 10% commercio, 4% trasporti e 37% pubblica amministrazione e servizi. Basta ricordare che nel 1951 gli addetti all’agricoltura erano il 44% della popolazione attiva.
In questo nuovo quadro di riferimento si delinea una nuova proposta di organizzazione urbana e di infrastrutture in grado di sostenere e assecondare, secondo le intenzioni, i nuovi processi produttivi e di emancipazione sociale. La relazione di Piccinato che accompagna la proposta di Variante Generale al PRG del ’73 si conclude con alcune brevi e significative considerazioni.
“Matera ha avuto da parte dello Stato, degli Enti Statali e Parastatali tutte le possibilità di uscire dalla antica sua situazione di sottosviluppo: studi; ricerche; analisi; azioni dell’Ente Riforma con il primo programma di ristrutturazione dell’economia agricola; il primo piano regolatore del ’56; l’edilizia economica e popolare… Il periodo che la città sta attraversando ora non è certo di crisi, ma trae le sue origine dai dubbi inevitabili nel momento nel quale la società materana ha acquistato una sua coscienza. Affiorano oggi tutte le spinte che un tempo non esistevano: attività terziarie, attività secondarie, speculazione fondiaria, speculazione edilizia, mobilità della popolazione… sono tutti elementi che spingono a porre oggi un nuovo programma urbanistico per il domani. Ed è su questo programma urbanistico che si pongono a confronto e si riscontrano le tendenze; ed è su questo che si compone così la “cultura” della città. Matera, un tempo città di attesa di un suo avvenire, scopre ora tante cose buone e tante cose cattive che, un tempo, non premevano. Se da un lato si svegliano gli appetiti per ottenere un aumento degli indici di fabbricazione, dall’altro lato si va facendo strada la coscienza che il problema non è già solo la città, ma l’intero territorio… Matera può avere il suo vero significato se si inquadra la sua attività nel mondo della produzione; se essa accetta di contribuire allo sviluppo del mondo economico che la circonda; se acquista la coscienza dell’importanza culturale dei suoi monumenti, dei “Sassi”, delle antiche masserie; se infine accetta di divenire essa stessa protagonista di se stessa…”
Piccinato è cosciente dei cambiamenti in atto nella città, mostrandosi preoccupato per le affioranti spinte “che un tempo non esistevano”. Denuncia il nascere di nuovi soggetti fortemente interessati alla rendita fondiaria e alla speculazione edilizia. Durante la discussione sul nuovo Piano Regolatore, non mancheranno le accuse nei confronti di Amministratori comunali impegnati a condizionare le scelte urbanistiche della città in favore del “super-partito dell’edilizia” e della rendita fondiaria. A partire dagli anni Settanta, la presenza in Consiglio Comunale di imprenditori, tecnici e addetti al ciclo dell’edilizia, sarà sempre più incessante, nessuna forza politica porrà mai più la questione. Il nuovo Piano Regolatore sarà adottato dalla sola maggioranza DC – PSI nella seduta del 26 novembre del 1973. E mentre la sinistra (PCI e PSI) discuteva sul cosiddetto “Rapporto”, il nascente super-partito dell’edilizia “trovò il varco per imporre le sue scelte…”
L’architetto urbanista Luigi Piccinato, a quarant’anni dalla sua scomparsa.
Per oltre cinquant’anni del secolo scorso Luigi Piccinato, architetto-urbanista, ha dominato da protagonista e da Maestro nel nostro Paese, con una presenza continua ed una operosità progettuale fuori dal comune, con l’insegnamento, la testimonianza politica e l’esempio. Giovanni Astengo, in un articolo apparso sulla rivista di “Urbanistica” nel 1983, ricorda l’amico scomparso in questo modo “… in tutta coscienza possiamo affermare che l’urbanistica moderna nasce in Italia con Luigi Piccinato e la sua opera lo testimonia “.
Fin dalle prime prove a Sabaudia nel ’33 e a Napoli nel ’39, la figura di Luigi Piccinato emergerà a tutto tondo. Come ricorda G. Astengo, in Sabaudia porterà “Il soffio della cultura razionalista europea con il richiamo alle siedlungen di Francoforte unitamente ad un controllato e poetico inserimento dell’urbano nel contesto naturale. Ma è nel Piano di Napoli che Piccinato si rivela un maestro”.
Per la città partenopea Piccinato propone un quadro urbano di eccezionale respiro ambientale di grande modernità. Un quadro tradito, subito dopo l’approvazione del Piano, con l’alterazione della “leggenda del colore” delle zone agricole, che scompaiono nel suo contenuto. Un Piano esemplare tradito da un’altrettanta gestione “esemplare” .
Sarà questa, purtroppo, la sorte della maggior parte dei Piani urbanistici che Luigi Piccinato produce per il nostro Paese nel dopoguerra, con straordinaria fecondità e inventiva.
La storia della creatività progettuale si intreccia in Piccinato non solo con l’insegnamento universitario quanto, soprattutto, con un’attività costante di partecipazione al dibattito culturale. Fu uno dei padri fondatori dell’Istituto Nazionale di Urbanistica (INU), di cui ne fu vicepresidente nei primi anni Cinquanta, accanto alla figura di Adriano Olivetti.
Definire la disciplina urbanistica e la “figura” dell’urbanista, la forma e i principi del Piano, riflettere sulla salvaguardia dell’ambiente e dei centri storici, aggiornare il quadro legislativo, sono tra i principali temi che occupano Piccinato.
“Per creare una più viva coscienza urbanistica non v’è altro da fare che fare dell’urbanistica. Trasferire cioè il pensiero teoretico in una sede di pragmatismo quotidiano”. AI centro, dunque, i Piani (Matera, Caprarola, Padova, Siena, Bassano del Grappa, Roma, Abano, Carrara, Legnago, Macerata, Eilat, Rosignano Marittimo, Atakoy, Istanbul, Bursa, L’Aquila, Benevento…).
Negli anni Sessanta, insieme a G. Samonà e G. Astengo, sarà estensore della proposta di un “Codice dell’urbanistica” e della “Legge generale di Pianificazione urbanistica”, presentata a Roma nel 1960 al congresso nazionale dell’INU. Per la prima volta si tenta di integrare la pianificazione urbanistica con la programmazione economica, di pubblicizzare, sia pure parzialmente, gli incrementi di valore delle aree urbane, di stabilire, entro certi limiti, una perequazione di trattamento tra i diversi proprietari. Viene proposto il meccanismo del comparto, oppure l’obbligo ai proprietari di cedere gratuitamente al Comune, nelle zone di espansione, una quota del 30% dell’area totale da destinare ad attrezzature pubbliche e di sostenere le spese di urbanizzazione primaria. Per incidere sulla rendita fondiaria è previsto anche un più deciso ricorso agli strumenti fiscali. Di riforma urbanistica si comincia a parlare concretamente anche in sede Ministeriale.
Da allora Piccinato partecipa ai lavori delle commissioni Zaccagnini, Sullo e Pieraccini, in rappresentanza dell’INU, insieme sempre a G. Samonà e G. Astengo, per la riforma della Legge Urbanistica, purtroppo naufragata con il fallimento del primo governo Moro di centro sinistra.
Sono gli anni dell’approvazione delle seguenti Leggi: n.167/1962 per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia economica e popolare; della Legge ponte n. 765/1967 recante modifiche e integrazioni alla Legge Urbanistica del 1942; del Decreto Ministeriale n. 1444/1968, con un ritardo di decenni su altri Paesi europei, che stabilisce come ogni cittadino abbia diritto ad un minimo di 18 mq di spazio pubblico (asili nido, scuole materne e dell’obbligo, attrezzature di interesse comune culturali, assistenziali, amministrative, religiose, sociali, sanitarie, parcheggi pubblici, verde, gioco e sport).
Ma come abbiamo accennato, il malgoverno dei “Piani” sarà una costante della classe dirigente del nostro Paese. Piccinato ne era ben consapevole. A questo proposito G. Astengo ci racconta un episodio quando, nel corso di un Consiglio Comunale a Roma su progetti urbanistici, concluse un suo lungo intervento, contro la Giunta di centro destra, con una battuta beffarda: “… Perché, Onorevoli Consiglieri, ciò che più mi preoccupa per l’avvenire di Roma, ve lo devo proprio dire, è la vostra ignoranza!”
Di questa forza sferzante. Di questa franchezza, fondata su interne certezze, oggi, più che mai, avremmo bisogno per continuare a combattere l’ignoranza e la presunzione, che tuttora sbarrano la strada alla battaglia, forse non del tutto perduta, per un serio Governo del territorio nel nostro Paese.
Michele Morelli
La Biblioteca di Energheia