La giornalista e scrittrice lucana Francesca Barra, originaria di Policoro, è ritornata nel pomeriggio a Matera per la presentazione del suo nuovo libro “Ad occhio e quanto basta. La mia ricetta di felicità” nell’ambito del Matera Film Festival. L’autrice ha conversato con Marianna Dimona nella sala convegni dell’Apt Basilicata Open Space e ha affidato a suo marito, l’attore Claudio Santamaria, la lettura di alcuni brani della sua pubblicazione, dedicata ad una delle sue grandi passioni, la cucina. In fondo alla sala c’è anche Atena, la quarta figlia di Francesca Barra, nata dalla relazione con Claudio Santamaria. La bimba piange e l’attore è costretto a lasciare il tavolo per riportare silenzio in sala. Così tocca a sua moglie riprendere il racconto dedicato alla nonna Emma, un racconto che ogni volte suscita lacrime di commozione. Proprio le nonne saranno protagoniste del nuovo progetto di Francesca Barra, che da qualche mese ha scelto di affidarsi al manager materano Angelo Calculli per la sua attività artistica.
“Ad occhio e quanto basta. La mia ricetta di felicità”. Un libro dedicato alla cucina. “Perché – dichiara Francesca Barra – la cucina è gesto d’amore, non tecnica, e anche dare vita con le proprie mani a dei piatti unici, serviti alla propria famiglia e ai propri cari, è un gesto indimenticabile, che parla di umanità”.
“A occhio e quanto basta” è una frase che chiunque di noi ha sentito almeno una volta nella propria vita, pronunciata dalle mamme o dalle nonne a cui abbiamo chiesto le indicazioni per replicare una loro ricetta. Inutile: le ricette “vere”, della tradizione famigliare, sono basate su un’approssimazione fatta di esperienza, d’amore, d’ascolto. “A occhio e quanto basta” è il nome della pagina Instagram che Francesca Barra ha aperto durante il lockdown per condividere con i propri lettori, e soprattutto le proprie lettrici, le sue ricette quotidiane, fatte di un’accurata gestione della dispensa e di radici e ricordi che si fanno sapori. Una pagina che oggi conta oltre 94.400 followers. Il suo primo libro di cucina è così, come la sua pagina: un mix di narrazioni famigliari tra Calabria, Basilicata, Emilia-Romagna, avventurose storie di nonne e tortellini, ricette recuperate da vecchie agende degli zii e trascritte a mano, piatti poveri della tradizione che rischiavano di essere persi per sempre e che sono ricchi di sapore più delle portate di un ristorante stellato, lieviti madre curati come figlioletti, imperfezioni da amare. Perché la cucina è gesto d’amore, non tecnica, e anche dare vita con le proprie mani a dei piatti unici, serviti alla propria famiglia e ai propri cari, è un gesto indimenticabile, che parla di umanità.
Michele Capolupo
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