Venerdì 29 dicembre 2017 alle ore 17,30 presso il palazzo comunale sala dell’Affresco di Salandra è in programma la presentazione del libro “Il treno del “bel canto”, il disastro di Grassano del 1888″ di Gianni Maragno – edizioni SETAC in Europa.
Moderatrice: Giovanna Locantore.
Saluti: Gianfranco Tubito, Sindaco di Salandra
Introduce: Berardino Iula, imprenditore
Ospiti: Giovanni Caserta, Giovanni Moramarco (che presentera’ la ricostruzione dei luoghi del disastro e della frana), Antonio Castellano, Gianni Maragno, autore del libro.
Conclusioni: Lanfranco Vetrone, Presidente Tribunale di Catanzaro
Il libro nasce con la finalità di promuovere la conoscenza della storia e far rimuovere la Basilicata.
“Come eravamo, come potevamo essere e come siamo”
Il treno 269 era partito da Napoli la sera del 19 ottobre 1888, diretto a Brindisi, via Metaponto. Erano le ore 19,20. Percorreva la linea Potenza-Metaponto, entrata in funzione, in tutta la sua completezza, il 10 aprile 1876. Era, dunque, una linea di recente costruzione, con cui il nuovo Regno d’Italia cercava di unire di fatto la penisola. Quella linea, sospirata, aveva una funzione strategica, poiché, unendo lo Ionio al Tirreno, attraversava l’intera regione di Lucania Basilicata, perforandone i monti. Non correva, perciò, in un territorio facile, anche se l’incidente doveva avvenire là dove il treno lascia le montagne e si avvia verso la pianura metapontina.
Il caso volle che, con tutti gli altri normali passeggeri, su quel treno ci fosse anche una “Compagnia del bel canto”, con orchestrali, cantanti e l’impresario Combonera. Quella Compagnia era diretta a Corfù, dove si sarebbe esibita ”nell’elegante Nobile Teatro di San Giacomo, già antica Cattedrale dei veneziani”. Intorno alle 5,40 del giorno dopo, cioè, giorno 20 ottobre, dopo un percorso di una intera notte (tanto durò il viaggio da Napoli), il treno aveva oltrepassato la stazione di Grassano e si dirigeva verso la stazione di Grottole e Salandra. Ma alla stazione non arrivò mai. “Giunto [infatti] alla curva dopo il casello 215”, in località “Tempa di Motta”, si infilò in una frana argillosa, caduta sui binari. La locomotiva a vapore si impennò “alla stessa guisa che un cavallo bizzarro sui piedi di dietro”, fermandosi “ben tosto per l’impossibilità” di superare l’ostacolo. Appariva “immersa nella terra franata, …situata come se fosse salita dentro la terra, rimanendo coi fianchi interrati nella medesima”. I vagoni che seguivano immediatamente, addossandosi l’uno all’altro, in parte si era accartocciati, in parte si erano fracassati.
Il bilancio, tuttavia, nonostante questo pronto intervento, non fu leggero. Presto si contarono 20 morti e 56 feriti, fra i quali anche alcuni componenti della “Compagnia del bel canto”. Era il primo incidente che capitava su quella linea; altri, come è noto, ne sarebbero venuti in seguito, meglio conosciuti. Di questo, invece, si era persa la memoria fino a quando, nei mesi scorsi, Gianni Maragno, curioso di vecchie cose della nostra regione, aggirandosi nelle sale dell’Archivio di Stato di Potenza, si è imbattuto in un ricco faldone. E ha pensato di pubblicarlo, offrendo notizie interessanti che aiutano a capire la nostra storia di ieri e di oggi.
Società e gli imputati che da essa dipendevano. L’obiezione fu accettata, sicché, sulla vicenda, in ultima istanza, in data 18 luglio 1892, si pronunziò il Tribunale di Bologna. Qui, nonostante un appassionato e dotto intervento dell’avv. Ferri, ricco di stimoli, ci fu l’assoluzione per tutti. Seguì allora un ricorso alla Cassazione da parte dello stesso avv. Ferri; ma anche qui, secondo le dichiarazioni del Ferri, “continuò lo stesso malaugurato influsso e la impunità pel disastro di Grassano (che gli fu confessato a quattr’occhi essere imposta dalla ‘ragione di Stato’ di non provocare il fallimento della Rete Mediterranea con l’obbligo di pagare qualche milione di “indennizzo”) … macchia per la magistratura italiana”.
La vicenda fu, quindi, oscurata; sui morti cadde una sorta damnatio memoriae. Al casello 215, nessuno pose una lapide con l’elenco delle vittime, come oggi si farebbe. Troppa era la fede nel progresso e nelle ferrovie. E non conveniva turbarla. Quei nomi, perciò, sono rimasti a lungo serrati e nascosti in un faldone, finché non se ne è impadronito il solerte Maragno, portandolo alla luce. A distanza di 126 anni, in fondo, la vera giustizia, a quelle vittime, gliela rendiamo noi.