Libro “I figli che non voglio” di Simonetta Sciandivasci, riflessioni di Franco Vespe. Di seguito la nota integrale.
Parecchie riflessioni suscita il libro provocatorio “I figli che non voglio”. di Simonetta Sciandivasci-Montemurro (come ama definirsi dopo gli ultimi pronunciamenti legislativi pseudo egalitari fra uomo e donna). Sono sicuro che a Simonetta non sfugga il grave pericolo per le nostre società e, più in generale, per l’intero genere umano, se la convinzione di quel 5% di donne ISTAT-modello Lara Croft- che, pur potendo, non vogliono figli, diventasse cultura prevalente nelle nostre società. Sarebbe l’estinzione del genere umano! Ma la sua è stata una raffinata provocazione che ha animato le pagine culturali dell’inserto “Lo Specchio” de“La Stampa” e che ha visto il contributo qualificato di tante donne e…uomini (pochi) sull’argomento. Insomma un efficacissimo pretesto per scatenare “verve” creative letterarie straordinarie. Anche la mia, nel suo piccolo, vuole scatenarsi! Qualche mese fa Anna Selvaggi mi invitò a scrivere un breve racconto dal tema “se fossi donna”, poi finito in una graziosa pubblicazione. Il mio racconto fu ispirato da quella profonda asimmetria di cui soffre l’uomo davanti al “miracolo” della nascita di un figlio. Tu maschio, prossimo padre, ti ritrovi forzatamente estraneo, ai margini ed impotente dinanzi a questo straordinario evento della natività vissuto in modo intimo, esclusivo,simbiotico fra la madre ed il nascituro. Scrissi così un manoscritto nel quale scelsi di identificarmi in mia moglie all’atto della nascita della nostra primo-genita per rivivere i dolori e le gioie del parto che a noi maschi è precluso. Nella versione francese di “3 uomini ed un Bebè” uno dei protagonisti si lascia andare ad un’amara riflessione sul racconto biblico della creazione:”Perché (Dio) ci hai illusi che la vita potesse nascere dalla costola del maschio, quando in natura essa sgorga solo e soltanto da quella della donna ?”Non è venuto in mente a nessuno, men che mai alle femministe in stile “soldato Jane”, che l’usanza di dare il cognome del padre ai figli sia un tentativo di compensare quella incolmabile asimmetria fra maschio e femmina dinanzi al”mistero” della natività.Di contro risuona fortemente discutibile la frase che Simonetta riprende in modo incauto da Natalia Aspesi: “Il destino delle donne non è fare figli, ma vivere!” Perché fare figli non fa parte del vivere? Perché dare la vita è un supplizio che opprime le donne? Perché bisogna ignorare che la natura ha corazzato la donna di ormoni utili a rendere “immortale” la specie, per superare la caducità dell’individuo? Quella corazza di ormonirende la donna “multi-tasking” e mediamente più longeve di 5 anni rispetto ai maschi. E’ questaparte di una miope rivendicazione di certo femminismo arcaico che predica la totale reciprocità fra uomo e la donna (omologando Lei a Lui) , invece di esaltare e tutelare il ruolo sociale del “genio femminile”sul quale la nostra società silenziosamente si poggia. Anzi! Esso diventa sempre più decisivo e vincente nelle società moderne dell’ “immateriale” dove l’esuberanza e la protervia fisica del maschio è ormai inessenziale ed il suo anacronistico ricorso non solo non serve più a proteggere, ma sta creando seri problemi nelle nostre società. Come altrimenti interpretare casi sempre più frequenti di femminicidio o, più in grande, la “maschia” brutale aggressione bellica dell’Ucraina ?
E’ poi parte di questo femminismo ritenere che l’aborto sia un diritto delle donne! Ma di grazia da quando si ritiene che la soppressione della vita possa essere spacciato per un diritto sovrano da garantire? Ma lo spirito della 194 /1978 non è questo! Essa recita all’art 1.“Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio”.L’aborto è considerata in quella legge una estrema soluzione a cui si dà legittima facoltà alla donna di ricorrere. Il vero diritto da difendere è quello alla procreazione. Capisci che il combinato disposto di un aborto interpretato in chiave radical-libertaria (osteggiato dalla legge 194/78 ma tanto cara ad Emma Bonino)e la propagazione culturale del modello di donna“Lara Croft”, crea un cocktail davvero distruttivo per la nostra società. A meno che non si pensi di separare forzatamente l’atto procreativo da quello dell’amore ed affidarci all’inquietante prospettiva di produrre uomini attraverso asettici uteri meccanici. Nella Fisica sappiamo dalla legge dell’entropia che tutto soccombe sotto i colpi del massimo disordine. Ma sembra che i principi che regolano la Biologia siano opposti.Sembra infatti che tutto converga verso un ordine maggiore ed a forme organiche sempre più complesse. Questa pulsione aggregativa nella biologia si chiama Sintropia o Neghentropia. Nella società degli uomini questa pulsione aggregativa la chiamano “amore”. Fu proprio Padre Balducci a cogliere questa illuminante analogia fra Sintropia e amore. L’amore è il motore che costruisce aggregazione, armonia, bellezza e che ci fa superare e vincere l’inevitabilità della morte. Escludere l’amore dalla prospettiva di creare sempre nuova vita nel Cosmo e fra gli uomini, finisce per ridurre l’atto procreativo come dovuto ad un’occasionale, dionisiaca e sterile tempesta ormonale, a meccanicistica reazione chimico-fisica. Alla fine quello di cui ha veramente bisogno il nostro mondo per acciuffare l’eternità è di generare e moltiplicare vita sospinti dall’amore.