Sabato 5 settembre 2020 alle ore 18,30 nella sala conferenze dell’Hotel San Domenico di Matera è in programma la presentazione del libro “Noi Sappiamo” – La morte di Luca e Marirosa” di Aris Alpi. Partecipano Luigi De Magistris, già magistrato e attuale sindaco di Napoli, Olimpia Fuina Orioli e Salvino Paternò.
Il libro – indagine realizzato da Aris Alpi negli ultimi quattro anni di duro e intenso lavoro fra mille difficoltà – silenzi – e fatica nel reperimento dei documenti – ed ovviamente totale muro di omertà da parte dei diretti interessati e dai loro paesani.
L’inchiesta, che si avvale dell’intervista-prefazione a Luigi De Magistris (il quale condusse l’inchiesta Toghe Lucane, ove era presente anche il fascicolo dedicato a Luca e Marirosa) è il lavoro più esaustivo fino ad ora fatto. Comincia da quel 23 marzo 1988, notte in cui Luca e Marirosa vennero rinvenuti cadaveri.
Si conclude nel 2011, ventitre anni più tardi, il giorno in cui il PM dell’ultima inchiesta archiviò definitivamente il caso.
Il contributo al lavoro di Olimpia Orioli e Salvino Paternò è la spina dorsale dell’intero lavoro.
Aris Alpi ha compiuto oltre 5000 km per realizzare questo lavoro a spasso per lo stivale tra Matera, Policoro e il Lazio, luogo ove vivono Salvino Paternò e l’ex medico Legale de La Sapienza, Giancarlo Umani Ronchi. L’intervista dell’anatomopatologo ad Alpi in “Noi Sappiamo” resta l’unica, da parte del medico, ad essere stata realizzata circa il caso dei “fidanzatini”.
Ronchi escluse categoricamente la morte accidentale.
Tuttavia, la sua perizia, effettuata all’epoca delle indagini di Salvino Paternò, non ebbe seguito, proprio perchè Paternò e il suo gruppo investigativo, vennero trasferiti in altri luoghi e l’inchiesta sui fidanzatini archiviata.
Un ampia sezione del libro è stata dedicata, cosa ancora non fatta prima, alla riapertura delle indagini del 2007, a seguito dell’inchiesta “Toghe Lucane”.
Infatti in questo frangente venne individuato un fotografo che sostenne di aver fotografato una scena del delitto diversa da quella ufficiale.
L’uomo, Salvatore Cerabona, fornì una testimonianza esclusiva a Gian Loreto Carbone di “Chi l’ha Visto?”, ove raccontava di esser stato accompagnato a casa Andreotta direttamente dai Carabinieri, che erano in possesso delle chiavi dell’abitazione!
Oltretutto, l’uomo evidenziò anche come i corpi dei due giovani, fossero disposti in tutt’altra maniera rispetto a come venne verbalizzato ufficialmente.
Tuttavia, il fotografo, dopo aver ricevuto pesanti pressioni, ritirò tutto in sede di interrogatorio.
“Mai mettere la parola fine su Luca e Marirosa” – L’intervista – prefazione di Luigi De Magistris per “Noi sappiamo”
All’epoca mi trovavo alla Procura di Catanzaro e non avevo la competenza per episodi delittuosi accaduti in Basilicata. La competenza di Catanzaro sulla Basilicata, nasce perché noi avevamo una idoneità ai sensi del cod. di procedura penale dell’ART.11, sui magistrati del distretto di Potenza. Quindi, nel cominciare a fare una serie di inchieste molto delicate, iniziavano a venire coinvolti, come indagati o persone offese, dei magistrati della corte d’Appello. Sia del Distretto di Potenza, ma anche di Matera e Lagonegro. E riguardavano i reati più vari, molto gravi. Per questo l’inchiesta venne ribattezzata Toghe Lucane.
All’interno di Toghe Lucane c’era tanto di esplosivo: proprio per questo sono stato fermato.
Erroneamente si parla soltanto di altre due inchieste, Why Not e Poseidone. Io ne ho seguite molte ma quella che, in qualche modo, ha prodotto la mia fine professionale è stata proprio Toghe Lucane.
Perché l’intreccio e il grumo fra magistrati era molto evidente. Tra l’altro, nel fare queste indagini, riguardanti diversi reati, sono emerse delle combutte non proprio cristalline. Con particolare riferimento a due vicende, che all’epoca, e anche molto prima, avevano interessato l’opinione pubblica nazionale e addirittura internazionale.
Una era quella di Elisa Claps, mentre l’altra quella dei cosiddetti “Fidanzatini di Policoro”. Poco a poco, iniziai a comprendere che l’inchiesta avviata a Catanzaro dava molto fastidio. Anche perché avevamo allargato il raggio d’azione, rompendo dei silenzi e degli equilibri che sembravano consolidati.
Inoltre, mi affidavo a degli uomini di Polizia Giudiziaria molto bravi, e dunque avevamo intuito che nella vicenda dei “fidanzatini” c’erano degli elementi di contatto con le cose che stavamo seguendo. A Policoro il tema vero erano le coperture che la magistratura dava a determinati ambienti, anche criminali. Criminali si intende criminalità organizzata.
E quindi, alcuni pezzi di magistratura che garantivano quest’omertà, questi silenzi e queste coperture. Un sistema di ricatti e condizionamenti, con interessi. Del resto la Basilicata e un po’ anche la Calabria, sono territori in cui il potere è concentrato in poche mani.
E di conseguenza la Magistratura assolve un ruolo di grandissimo potere, che se non esercitato in maniera trasparente diventa un “ganglo” vitale e mortale allo stesso tempo delle dinamiche di una comunità. In questi luoghi le devianze criminali e le condotte delittuose dei magistrati erano tante. Erano tante ed erano anche diffuse.
Una bella lotta, fatta anche da bravi magistrati, che avevano cercato la verità su tante cose ma sono stati ostacolati. Io, una parte dell’inchiesta sono riuscito a concluderla in tempo. Ossia quella centrale, con l’atto finale depositato ad agosto del 2008. È l’avviso conclusivo delle indagini preliminari, con riferimenti anche alle vicende di Policoro. Se poi non mi avessero trasferito, è chiaro, che avrei potuto concludere il lavoro riguardante la vicenda di Luca e Marirosa. Avevo già pianificato una serie di approfondimenti, sentendo alcune persone, acquisendo la documentazione, ascoltato ufficiali di Polizia Giudiziaria e questa persona: un pentito nel carcere di Melfi. Insomma, stavo facendo accertamenti importanti.
Ma poi nel giro di due mesi fui travolto. La bufera entra nel vivo nell’estate del 2007, consumandosi in
poche settimane. Era talmente alta l’esigenza di trasferirmi, che quando feci l’avviso di conclusione indagini, (avevo bisogno dei venti giorni per l’invio delle notifiche prima dei rinvii a giudizio), non mi fecero fare la richiesta di rinvio a giudizio perché il Ministro Alfano, chiese l’anticipato possesso del mio trasferimento a Napoli, con l’obbiettivo di non consentirmi di concluderla. E infatti, come me ne andai, arrivò un nuovo magistrato, il quale fermò tutto, archiviando.
Il tutto è molto indicativo, poiché molti dei magistrati coinvolti nell’indagine, avevano legami sia con Mastella (fino a poco prima Ministro della Giustizia) ma anche con magistrati che ricoprivano incarichi importanti al Ministero della Giustizia.
Nell’ufficio ispettorato, ma anche alla Procura generale della Cassazione.
E poi, in Toghe Lucane, rispetto Poseidone e Why Not, era ancora più spiccato il grumo di magistrati che era stato toccato, e di politici di destra e di sinistra.
In Basilicata altre buone inchieste le ha fatte Woodcock, che pure hanno cercato di colpire pesantemente.
Io, essendo a Catanzaro, ho cercato di coprirgli le spalle da un punto di vista istituzionale, nel senso che mi sono reso conto che lo stavano per fregare. E chiaramente il mio intervento è riuscito ad evitarlo. Ricordo che, quando feci alcune acquisizioni nel febbraio del 2007, e poi le perquisizioni che feci a giugno, tra cui al Procuratore Generale Tufano,ci fu un vero terremoto.
Feci personalmente la perquisizione a Tufano, cominciando la mattina presto e concludendo a tarda sera. Percependo chiaramente che me l’avrebbero fatta pagare. Era evidente che il mio intervento veniva preso come cosa di lesa maestà: ovvero, che non si poteva accettare. La cosa incredibile è stata che tutte le persone che hanno lavorato con me, finanche sono stati testimoni ai miei processi, hanno subito gravi ripercussioni. Non c’è stato uno che sia stato salvato. Queste sono le modalità tipiche delle massonerie deviate. Lo spirito di vendetta e questo spirito di colpire chi ha osato guardare in un sistema che non devi vedere (che poi condiziona oggi le istituzioni democratiche del nostro paese).
Loro non hanno mai perdonato il fatto di aver voluto mettere il dito e gli occhi nel cuore del sistema
criminale della Basilicata. E quindi, la loro attività ritorsiva non è stata solo contro di me. Ma anche contro quelli che hanno lavorato con me come finanzieri, poliziotti, carabinieri , testimoni e giornalisti che hanno raccontato quanto stava succedendo. È incredibile, credo non esista caso così pesante. Hanno del resto avuto vita facile nel colpirmi, poiché avendo aperto una serie di fronti tutti validi e pieni di materiale investigativo, era come se si fosse trattato di una montagna assediata da centinaia di focolai ai suoi piedi. E di conseguenza non si poteva discendere. Ne potevi spegnere uno, ma alla fine le altre fiamme ti divoravano.
Per me i “killer” sono purtroppo stati i magistrati. Perché alla fine, il Consiglio superiore della magistratura è composto da due, tre magistrati.
L’omicidio professionale è stato consumato dai magistrati assieme al potere politico, con una convergenza parallela di interessi.
Questo vostro lavoro può certamente servire a mantenere vivo il ricordo, anche se un magistrato con la voglia di vederci chiaro, prima o poi potrà sempre arrivare. Scrivere un libro, fare dei dibattiti, chiamare testimoni e persone che se ne sono in qualche modo occupate, è un modo per tenere viva l’attenzione. È un dovere, perché di fronte a certi reati non c’è prescrizione che tiene.
Occorre capire se ci sia qualche elemento di novità. Un libro può essere determinante. Certo, è un po’ triste vedere oggi la magistratura in queste condizioni. Una classe che ultimamente ha perso molta credibilità. Lo dico con grande dolore perché vengo da quattro generazioni di magistrati.
Ho creduto in quel lavoro talmente tanto da impegnarci la mia vita. Quindici anni di lavoro ma sono rimasto molto deluso da un corpo molto malato.
Ci sono magistrati onesti, per bene ed autonomi, coraggiosi, ma la mia sensazione è che non siano una parte predominante della classe.
Quindi questo è molto triste per una democrazia, perché tu quando vuoi verità, devi poterti fidare di un magistrato. Se invece il corpo è malato, con quale fiducia il cittadino si rivolge all’autorità giudiziaria? Purtroppo i casi di malaffare e malcostume, nella magistratura, di corruzione, di rapporti con le Mafie, sono a decine. Possiamo immaginare quelli ancora occulti.
Inoltre, per “acchiappare” un magistrato colluso ce ne vuole. Perché sono altri magistrati che lo devono scoprire.