Lunedì 4 luglio 2016 alle ore 18 in via riscatto a Matera presso l’hotel Le Monacelle è in programma la presentazione del libro “Guarire la guerra. Storie che curano le ferite dell’anima” di Natale Losi. Discutono con l’autore Franco Arminio, Francesco Marano e Cristo Arévalo Cuadra.
“Guarire la Guerra” di Natale Losi (Edizioni L’Harmattan Italia)
Un etnopsicoterapeuta in giro per il mondo per curare comunità e individui ricostruendo storie
Con “Guarire la Guerra ” Natale Losi arriva al suo secondo saggio – il primo è stato “Vite altrove. Migrazione e disagio psichico” pubblicato nel 2010 da Borla- dopo una lunga elaborazione delle sue esperienze in zone di conflitto avvenute dal 1993 al 2007 e successivamente in Italia. E’ spinto dall’interrogativo di fondo circa la possibilità di realizzare, nell’ambito della salute mentale, qualcosa di equivalente alle attività di Emergency nell’ambito della chirurgia. Accumula così esperienze sul campo, lavoro clinico e riflessioni che producono un modello di intervento che è insieme clinico e di comunità.
Un approccio, quello definito come etno-sistemico -narrativo, che non rappresenta solo un modo di curare singoli e gruppi feriti nell’anima dai conflitti, ma un modo di “stare” nei territori lacerati che, implicitamente ma profondamente, critica il modo occidentale di esportare modelli di salute (e talvolta di salvezza) che spesso nascondono nuove forme di neo-colonialismo, come espresso anche dal richiamo nella prefazione al Luca Rastello de “I Buoni”, e soprattutto critica la categoria psichiatrica del Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD).
Questo sovvertimento si evidenzia soprattutto nella scelta dello stile, lontanissimo da quello di un saggio clinico in senso stretto, quale ci si potrebbe aspettare da uno psicoterapeuta con la formazione dell’autore, ma piuttosto vicino ad una lingua narrante come la concepiva Pier Paolo Pasolini, in cui le categorie vengono esplicitate ad un passo dall’espressione dell’Eroe, presso la sua propria dimora. In questa attenzione ad una lingua in molti casi tradotta, rielaborata e rappresentata, c’è tutto il lavoro del clinico che sulla parola e sull’intervento orale basa la possibilità di rinarrare le storie di ferite in storie di speranza.
Un libro oggi quanto mai necessario in una Europa attraversata dai fantasmi del conflitto in casa propria che, dopo gli attentati di Parigi e le aggressioni di Colonia, si trova ferita e disorientata alla ricerca di una nuova ricomposizione ed incapace di gestire l’arrivo di massa dei profughi ai suoi confini.
Attraverso la scrittura l’autore ha così potuto ripercorrere le tappe di un viaggio professionale e personale in comunità, famiglie ed individui in guerra nei territori più sofferenti del pianeta: un viaggiato iniziato in Kosovo nel 1999 alla fine dei bombardamenti, con un progetto, lo “Psychosocial and Trauma Response”, condotto per conto dell’Organizzazione Mondiale delle Migrazioni che cha costituito la trama degli interventi successivi. Lo studio attento del contesto, il lavoro di rete, l’intervento teatrale come attivatore di cambiamenti, il modello clinico con l’uso dei rituali e prescrizioni liberamente mutuati dalle medicine tradizionali, questi i cardini metodologici adottati. Ogni intervento ha lo stile della pratica tradizionale, come ha rilevato Pietro Barbetta in una recensione recente, ma il cui contenuto varia di volta attraverso un’analisi concreta della singolarità del contesto e degli eventi, a seconda delle sensazioni del terapeuta, dei suoi stessi sogni, delle sue impressioni e fantasie.
L’uso del teatro è, in questo modello terapeutico, un dispositivo fondamentale: attraverso la rappresentazione teatrale pubblica e la soggettivazione del corpo infatti si creano le condizioni affinché tutte le emozioni possano fluire in una forma condivisa ed accettabile per ciascuna comunità, innescando così un cambiamento dei “destini” in “progetti”. Nell’esperienza in Kosovo, ad esempio, nel lavoro con gli operatori sociali e sanitari che hanno operata durante la guerra la messa in scena porta ad una rielaborazione dell’esperienza traumatica, il trasporto dei cadaveri, la sepoltura come si può vedere anche dal video “Il corpo esiliato” (https://www.youtube.com/watch?v=sMKX-1GyTOY).
Il racconto del viaggio prosegue, dopo Bosnia e Kosovo, in Palestina all’indomani dello scoppio della Seconda Intifada con l’occupazione da parte dei coloni israeliani di territori palestinesi. Qui, nell’assenza quasi totale di servizi e in un tessuto sociale rigidamente scisso tra opposte fazioni, gli viene chiesto un nuovo intervento riparatore particolarmente difficile che lo porta a recuperare un’intervista a Bateson. Nel deserto palestinese così l’autore sogna e nel sogno gli viene regalata una pietra. La pietra del sogno lo porterà a cercarne una simile al mercato ed ad utilizzarla come un dono in una seduta con la Famiglia del Muro, permettendo così di riscrivere la loro storia e la scelta di continuare a vivere in un territorio occupato, superando i malesseri ed i sintomi di un loro membro.
E questo dispositivo di ritualizzazione e di co-costruzione di una narrazione nuova viene applicato in modo simile, ma differente, anche nel viaggio in Colombia del 2009, su invito della Commissione Nazionale per la Riparazione e la Riconciliazione, per lavorare sui traumi subiti dalla popolazione nei lunghi anni di guerriglia. E qui nel villaggio di Libertad, dove gli abitanti non si avvicinano più al fiume in cui molti cadaveri vennero gettati durante le rappresaglie, viene suggerito un rituale di sepoltura per riconciliare gli abitanti con una dimensione invisibile di suggestione che ha continuato a condizionare le loro vite.
Il viaggio poi termina in Italia, dove incontrando richiedenti asilo negli Sprar ed altri pazienti negli SPDC, viene messo a punto il modello clinico testato nelle esperienze internazionali con la collaborazione anche degli psicoterapeuti formati dalla Scuola Etno Sistemica Narrativa che nel frattempo Losi ha fondato. A Roma dunque, dove trovano accoglienza cittadini di ogni parte di mondo, l’approdo di questo lungo viaggio professionale e personale.