E’ disponibile in libreria il “caso” Matera (1861- 2019), edizioni “Il Rinnovamento” di Torino, scritto a quattro mani da Felice Lafranceschina e Giovanni Caserta. Il libro rappresenta l’occasione per avviare un dibattito sulla storia della città dei Sassi.
Un’opportunità o un’occasione mancata?
E’ imminente la pubblicazione di un volume scritto a quattro mani. Autori sono Felice Lafranceschina, ingegnere di origine ferrandinese, da sempre operante e residente a Torino, e Giovanni Caserta, che, storico e critico letterario, autore di opere narrative, in tutti questi anni è stato attento osservatore del ”processo” Matera 2019. Il libro si avvale di una postfazione di Antonio Serravezza, materano, per anni docente di Estetica Musicale presso l’Università di Bologna, dove risiede. Ha titolo Il “caso” Matera; come sottotitolo porta 1861-2019. Parte quindi dall’Unità d’Italia, arrivando ai nostri giorni. Siamo lieti di pubblicarne, in anteprima, la premessa,
La storia di Matera patrimonio dell’Umanità Unesco e Capitale europea della cultura 2019 comincia all’indomani dell’Unità d’Italia, quando la città, finalmente, si aprì ai tempi nuovi. Il Settecento illuminista la vide lontana e assente, chiusa in una secolare struttura economico-sociale di tipo feudale, organizzata intorno al latifondo. Fu assente anche durante il Risorgimento. La città continuava il suo lungo sonno e la sua assurdità di città ferma a condizioni di vita trogloditica. Così disse il Pascoli, docente di latino e greco, tra il 1882 e il 1884, nel Liceo “Duni” di Matera. Il nostro racconto, perciò, comincia col 1861, quando la città, pur priva di strade e di ferrovie, entrò nel circolo dell’Italia unita. Il vento nuovo cominciò ad entrare anche nei Sassi. Nel 1902 arrivò Zanardelli. Contemporaneamente a Zanardelli, ci furono duri moti sociali, che portarono ad un primo sciopero generale e alle prime forme di sciopero alla rovescia. Ad organizzare una lega di tremila contadini, già circolando idee socialiste e già operando i sindacati, era stato un giovane formatosi in America, figlio di ragazza madre grottolese, che dotti e ricchi della città, compreso il senatore Gattini, storico, qualificarono come “mattoide”. Si chiamava Luigi Loperfido(1877-1959) e fu detto il “Monaco Bianco”. Si scandalizzarono i giornalisti forestieri del “Pungolo”, quando, arrivati a Matera per quegli eventi, scoprirono “gente alloggiata in certe case fetide, senza aria e senza luce, dove esseri umani, asini e maiali, dormivano in una promiscuità orribile”. Un contadino moriva dopo uno scontro con i carabinieri.
Nel 1948, con la Costituzione repubblicana, col voto a suffragio universale, che toglieva valore al titolo nobiliare e al censo, i contadini dei Sassi diventarono anche loro cittadini italiani, portatori di diritti. Togliatti e De Gasperi, i due capi dei due più grandi partiti di massa, l’uno portatore delle dottrina comunista, l’altro esponente del solidarismo cattolico, scesero a Matera, simbolo di un mondo di cui si voleva la fine. Per Togliatti, i Sassi erano una “vergogna nazionale”. Lo disse nel comizio tenuto il 1° aprile 1948. Non era il primo a dirlo. Prima di lui l’aveva detto l’igienista grassanese Arcangelo Ilvento(1877-1936); e lo aveva detto, più volte, padre Marcello Morelli (1886-1972), parroco della chiesa di San Giovanni Battista, i cui fedeli affondavano in gran parte nella fossa del Sasso Barisano. “Vergogna nazionale” li considerò anche De Gasperi, giunto a Matera il 23 luglio1950. Qualcuno oggi, in vena di snobismo intellettuale, vorrebbe rimproverare ai due statisti scarsa chiaroveggenza e scarsa sensibilità per non aver capito il valore storico, culturale, urbanistico, forse artistico dei Sassi, beni da conservare e non da evacuare e chiudere.
Il volume contiene anche questa storia, fino alla proclamazione di Matera “capitale europea della cultura 2019”, titolo non in contrasto con “Matera vergogna nazionale”, ma naturale conseguenza. Si ricorda come nei Sassi si esercitò una disperata forma di sopravvivenza e di adattamento, testimonianza di una povera, diversa umanità. Il merito della loro valorizzazione e del loro valore, perciò, non va agli ingegneri o agli architetti o agli storici dell’arte, né tampoco al Comitato 2019. Esso è tutto dei contadini che vi abitarono, scavarono come talpe, fecero figli numerosi, si ammalarono e morirono senza conoscere altro. Il tufo in cui sono scavati è tutto dolore e fatica. Sono destinati alla riflessione prima ancora che contemplazione.
Ne hanno fatto beni da vendere e di consumo, tanto da far dubitare che sia stata una conquista la loro valorizzazione quale patrimonio dell’Unesco in una città conclamata “capitale europea della cultura 2019”. Sembrano non appartenere più a Matera e alla sua storia. Promotori e componenti del Comitato 2019 nulla hanno fatto per conservare il colore della città antica. Anzi! Si va formando una Matera mercantile, non più contadina, non più pensosa e piegata su di sé, ormai tutta intesa alla festa e – come direbbe Dante – ai “subiti guadagni”. Il “caso” Matera, perciò, è oggi ben più complesso di quanto normalmente si creda. Seri fenomeni di snaturamento e di fallimento si nascondono sotto la facile euforia del momento. Matera è, oggi, una città ebbra, vanesia, confusa, esattamente il contrario di una capitale europea della cultura, se la cultura non va immediatamente identificata con la enogastronomia e col divertimento. Ed è dialogo. Fermarsi un attimo e pensare, questo è lo scopo del nostro libro. Se non è troppo tardi.