Negli anni Settanta per molti studenti meridionali ha rappresentato quasi un rito di passaggio. Durante le vacanze estive partivano verso le mete turistiche balneari del Nord Italia in cerca di lavoro come camerieri, baristi, lavapiatti, cuochi o qualsiasi altro mestiere utile nelle attività ricettive. Era un modo per aprirsi a nuove esperienze e avventure e nello stesso tempo avere l’opportunità di guadagnare un po’ di soldi. Il giornalista materano Biagio Tarasco nella sua seconda opera narrativa semiautobiografica “Baristi zen – Ondate e la ricerca dannata di Suzi Quatro (Robin edizioni), disponibile in libreria, scrive della propria esperienza lavorativa nella Riccione del 1974. Nel romanzo, scritto ricorrendo all’uso del verbo presente, l’adolescente protagonista decide di tentare l’avventura di un’estate da cameriere partendo con l’amico Gianni in direzione costa romagnola. Lo spinge la voglia di novità e, soprattutto, la speranza (quasi impossibile) di incontrare per caso la rock star americana Suzi Quatro, di cui è “dannatamente e meravigliosamente innamorato”. I due amici trovano lavoro in un ristorante-pizzeria sul lungomare di Riccione, dove il loro mondo ristretto si allarga grazie a nuove esperienze di vita e alla conoscenza di personaggi improbabili, come Zenzero, un barista che elargisce insegnamenti sull’arte del cameriere che sembrano attinti dalla filosofia Zen, pur non avendo mai sentito parlare di Zen. Al termine dell’estate lavorativa, segnata da avvenimenti al limite del paradossale ma anche tragici, con un finale che riserva due sorprese davvero imprevedibili, il protagonista ritorna nella sua Matera cambiato e soprattutto cresciuto. In un’estate ha capito che la vita va vissuta. E per farlo occorre riempirla di cose concrete e non di sogni imposti da un apparecchio televisivo. In “Baristi zen. Ondate e la ricerca dannata di Suzi Quatro” non mancano riferimenti alla musica, ai film e ai personaggi famosi dei primi anni Settanta. Come Suzi Quatro, che Tarasco usa come pretesto per una cornice narrativa. Non solo. Nel romanzo l’autore ha chiesto all’editore, il quale è stato d’accordo, che fosse rispettato il linguaggio degli anni in cui è ambientato il romanzo. Quindi l’uso di termini, come quelli per indicare le persone di colore o quelle con particolari tendenze sessuali, che oggi sarebbero censurati o perlomeno condannati. “L’ho fatto – ha dichiarato a Sassilive Biagio Tarasco – per un principio di coerenza e correttezza. Non si può scrivere una storia del passato secondo i criteri e il linguaggio di un’altra epoca, di altri anni. Suonerebbe falsa. Il rischio è che il nostro presente racconti il passato con criteri che al passato non sono mai appartenuti. Per esempio, quelli che oggi si chiamano gruppi musicali, negli anni Sessanta e Settanta erano conosciuti con il nome di complessi e tali sono definiti nel romanzo. Se li avessi definiti gruppi, la cosa sarebbe suonata ridicola e fuorviante. A parte questo, anzi forse proprio per questo, ‘Baristi zen’ si legge, come si usa dire, tutto d’un fiato. Il linguaggio è scorrevole. Non poteva essere altrimenti, considerato che il protagonista, al quale faccio raccontare gli eventi in prima persona, è un adolescente scanzonato, assetato di novità e a volte anche ingenuo, come a volte lo sono tutti a quell’età. Dopo il mio primo romanzo introspettivo e filosofico, “La Morte stanca” (Alcheringa edizioni), segnato da una scrittura a tratti ostica, ho avvertito l’esigenza di ‘disintossicarmi’ con una storia narrata in modo agile e fluido”.
Nov 12