Disponibile il libro “Toronto, andata e ritorno”, il nuovo libro di Giovanni Caserta, Villani editore. Di seguito la nota dell’editore di Franco Villani.
Rocco Tataranni, contadino dei Sassi di Matera, cadute le illusioni della lotta per la terra ai contadini, l’8 dicembre 1948 parte per raggiungere il fratello Vito a Toronto, in Canada. Quello che succede dopo, a Matera, è storia. Il 17 maggio 1952 fu approvata la legge di risanamento dei Sassi (n° 619); negli anni successivi i circa 15.000 contadini abitanti dei Sassi vennero distribuiti in borghi rurali appositamente costruiti: La Martella, Borgo Venusio, Picciano (A e B) e Agna. Altri, artigiani, piccoli commercianti e impiegati (cioè non contadini) furono trasferiti nei nuovi rioni di Via Lanera, Serra Venerdì e Spine Bianche, alla periferia di Matera.
I Sassi, svuotati di vita, diventarono ben presto discarica. Agli stessi materani e ai pochi viaggiatori che allora arrivavano in città apparivano “orribili buchi neri, occhiaie vuote, porte e finestre ricoperte da muschi”. La civiltà contadina era finita! Furono Giorgio Bassani e Carlo Levi, che i Sassi li aveva descritti nel suo famoso Cristo si è fermato a Eboli, a gridare all’Italia intera: “Bisogna salvare i Sassi”. Lo dissero in un convegno di “Italia nostra”, tenuto il 10 dicembre 1967.
In questo clima, Rocco Tataranni, protagonista del Pozzo, primo racconto del volume, torna a Matera dopo aver trascorso venticinque, anzi ventiquattro anni in Canada. Ovviamente il mondo che aveva lasciato non c’è più. Nei Sassi non abita più nessuno. Ritrova i parenti e gli amici di un tempo, anche se più di qualcuno non c’è più. Ma soprattutto riaffiorano i ricordi della vita di un tempo. Gli sembra di rivedersi mentre “la giumenta … beveva dal secchio l’acqua piovana di color rossastro, che sapeva di tufo e, talvolta, di melma e muffa”.
La vacanza sta per terminare. Si fa sempre più forte la nostalgia del ritorno in Canada, dove lo aspettano moglie e figli. Quasi come testamento spirituale ci giungono le parole che chiudono il racconto: “Tornando – dice Rocco Tataranni – ero venuto per riprendermi l’altra metà e vivere intero. Però, mentre intorno è tutto buio, sento che questa metà la sto lasciando definitivamente, come un sogno ingombrante, che non serve rimpiangere, come non lo rimpiange mio fratello Pasquale… Con la sera che cade, con la paura e l’ansia che mi assalgono, accelero incredibilmente il passo e sento struggente la nostalgia del ‘mio’ Canada, verde per chilometri e chilometri”. Rocco Tataranni muore a Toronto l’11 luglio 1981.
Intanto continuava il dibattito sul futuro dei Sassi. Qualche anno prima era stato bandito un concorso internazionale, cui avevano partecipato molti urbanisti, anche stranieri. Ma non venne dichiarato alcun vincitore. Finalmente, l’11 novembre 1986, fu pubblicata la legge 771 sulla “Conservazione e recupero architettonico, urbanistico, ambientale ed economico dei rioni Sassi e salvaguardia del prospiciente altipiano murgico…”. Partirono i lavori di ristrutturazione. I Sassi, ancora una volta, richiamavano l’attenzione della comunità internazionale. Nel 1993, infatti, quasi inaspettato, giunse il riconoscimento dei “Sassi”, quali “Patrimonio dell’Unesco”. Matera cominciò ad attirare turisti e anche registi. Sull’esempio di Pasolini, che anni prima vi aveva girato Il Vangelo secondo Matteo, nel 2004 Mel Gibson ambientava a Matera il film La Passione (di Cristo).
Tutto sembrava girare per il verso giusto. Il 17 ottobre 2014, Matera era designata “Capitale Europea della Cultura 2019”. La notizia fece il giro del mondo. Tony (Antoniuccio) Tataranni, pronipote di Rocco, che lavora per una compagnia aerea canadese, quale premio di produzione riceve un biglietto gratuito per visitare l’Italia. Sarà il padre, maestro elementare in Canada, a convincerlo che, forse, invece di visitare le grandi città come Roma, Firenze, Venezia…, delle quali, quotidianamente, parla il mondo intero, sarebbe stato più opportuno visitare Matera. Antoniuccio Tony accetta il consiglio del padre e, con un collega di Miglionico, arriva in Basilicata.
A Matera entra in contatto con le trasformazioni in atto nella città. Gli si racconta dell’emigrazione dei contadini dai borghi rurali; gli raccontano del sogno svanito della zona industriale nella valle del Basento … Ma nella città, in quel momento, si respira la speranza di trovare occupazione nelle attività che nasceranno dalla costruzione di alberghi, hotel e Bed and Breakfast. La città vive in modo straordinario l’evento; ma non tutto è andato come si sarebbe voluto.
Nasce la pagina conclusiva del secondo racconto Da terra a terra, messaggio di fratellanza, che non conosce confini. Prima di lasciare il luogo che fu del suo bisnonno, Antoniuccio Tony si reca sulla porta di casa, da cui il bisnonno era partito. Ci sono lavori in corso, con ammucchiato terreno di riporto. Porta con sé un bicchiere di plastica, una busta di plastica; trova un ferro a uncino.
“Cominciai a scavare – racconta – mettendo da parte polvere di tufo, chiodi e pietre. Alla fine toccai terriccio umido. Chinatomi, riempii due e tre volte il bicchiere di plastica, svuotandone il contenuto nella piccola busta. Quindi chiusi la busta con gesti lenti e leggeri, cercando di non romperla. L’idea mi era venuta durante la notte. Quel terriccio l’avrei portato sulla tomba del mio bisnonno, rimescolandolo con la terra canadese che la ricopriva. Era come sanare una frattura che si era aperta la sera dell’8 dicembre 1948, giorno dell’Immacolata Concezione, quando, sgualcito, dal muro pendeva un manifesto con l’immagine di Giuseppe Garibaldi. Sarebbe stato come colmare la fossa dell’Oceano Atlantico, o riunire le due vite di Rocco Tataranni, e rendergli, perché no?, tardiva giustizia. La cosa mi convinceva. Mi dava un dolce senso di quiete. Due minuti dopo, risalivo verso il piano, senza volerlo, avendo le spalle curve, svagato, lontano. Da terra a terra… Senza confini”.
Quando ho parlato a Caserta della volontà editoriale di pubblicare in un’unica edizione, nell’anno del “Turismo delle radici”, i due racconti brevi, ho riscontrato nell’autore alcune perplessità dovute al fatto che i due racconti sono stati scritti in tempi e periodi diversi. Ecco perché ritengo significativo riportare un brano di Carmelo Setaro, amico-collega, dirigente scolastico, cui ho inviato il testo per averne un riscontro: “Non vi è frattura – scrive Carmelo – tra il primo e il secondo racconto. Il primo richiama il secondo, che sgomitola quel filo che annoda la memoria di più generazioni, conferendo senso all’esistenza. E a suggellare il legame sono quei pugni di terra raccolta tra i sassi, per essere deposta sulla tomba del protagonista del primo racconto, nel cimitero di Toronto”.
Il lettore noterà che diverso linguaggio è stato utilizzato nei due racconti. È una diversità voluta. Nel primo racconto si è scelto di usare un linguaggio semplice e più vicino all’espressione orale, tipica di un contadino poco alfabetizzato; altro, invece, è il linguaggio del secondo racconto, che rimanda ad una cultura di livello superiore. Si vuol dire che acqua ne è passata sotto i ponti, anche sotto il profilo della istruzione e della evoluzione linguistica. Nel volgere di tre generazioni si è passati dalla condizione di semi-analfabetismo del povero Rocco, contadino, al diploma da maestro del nipote, per giungere agli studi superiori del pronipote. È volume, dunque, che ci porta oltre i confini della pura letteratura.
Del che, in qualità di editore, sento il dovere di ringraziare Giovanni Caserta, che ci ha consentito di pubblicare insieme Il pozzo, già edito (Paternoster) nel 1994, portato anche in scena dalla compagnia “Talia Teatro” eDa terra a terra, presente, con qualche riduzione, in una antologia di scrittori lucani uscita nel 2017 sotto il titolo di Basilicata d’Autore, reportage narrativo e guida culturale del territorio (Manni editore). Due racconti, insomma, così vicini, così lontani.